Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


11 marzo 2010

MEMORIA

Jacques Delors, uno dei padri fondatori dell'Europa, in una intervista a Repubblica dichiara, in relazione alle modeste prospettive politiche a lungo termine per L'Europa:

"Abbiamo perso la memoria di dove veniamo, come possiamo avere un'idea di dove andare?".

Vale per la politica, ma vale per ogni azione umana e vale per l'architettura.
A questo proposito mi viene in mente la "tabula rasa" di Bruno Zevi.

27 commenti:

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
a me mi è venuto in mente quella di una certa caratteristica italiana di saper coniugare urbanistica e affare personale.
Ogni volta che cammino per le città non mi viene in mente assolutamente Bruno Zevi , magari ce ne fossero.
Siamo proprio sicuri che le città siano state costruite dagli urbanisti/architetti?
Siamo sicuri che ciò che vediamo non rispecchi la nostra identità (nel senso più caro a questo blog)?
Infine, sai chi ha usato per prima volta la ‘tabula rasa’?
Sai chi ha scritto il primo manuale per la ‘tabula rasa’?
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

I sofismi e le domande retoriche non riescono a nascondere la verità o a confutarla.
Il primo che utilizzato il concetto è Aristotele: l'ho trovato adesso su Wikipedia. Embè?
Pietro

Anonimo ha detto...

Breve post provocatorio di chi lancia il sasso e nasconde la mano, collaudata tecnica di guerriglia.
A cui rispondo consigliando una lettura:
"Memoria e identità. Simboli e strategie del ricordo", di Ugo Fabietti e Vincenzo Matera, 1999.

Cito la recensione (non mia):
Questo libro illustra come la memoria sia sempre un fenomeno culturale, il risultato di una costruzione umana guidata dalle aspettative, dalle idee, dagli obiettivi specifici che ciascuno sviluppa nella propria esistenza; una costruzione che investe eventi, luoghi, oggetti, immagini. Attraverso la presentazione di numerosi testi storici ed etnografici di noti autori, quali Bloch, Descola, Kilani, Remotti, Sahlins, viene approfondita la conoscenza delle condizioni alla base del rapporto fra l'uomo e la realtà che si organizza nel tempo.

Anche questo è un sasso.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, la guerriglia è l'arma di chi combatte ad armi "dispari", quindi lecita e spesso addirittura esaltata.
Ma, scherzi a parte, la memoria è conoscenza, accumulo di un patrimonio frutto di secoli di lavoro e pensiero altrui. Senza memoria non vi sarebbe scienza. Non sono troppo evoluzionista, ma direi che l'evoluzione stessa è basata sulla memoria: gli animali insegnano ai cuccioli le strategie di caccia e sopravvivenza. Infatti gli animali nati e cresciuti in cattività devono essere "rimemorizzati" e riabituati a vivere allo stato brado.
Ho usato adesso un'altra tattica: quella di confutare con le armi altrui.
Che la memoria sia di origine culturale non ho alcun dubbio, ma non va riferita ai singoli individui, ai loro stati d'animo, alle loro aspettative individuali, quanto all'organizzazione della società nel suo complesso, che, per progredire e crescere, deve partire sempre dal patrimonio accumulato nel tempo. Credo che questo sia difficilmente confutabile, basta pensare a qualsiasi scienza. Tu ora mi citerai Plank, ma anche lui, da giovane, ha studiato le tabelline come tutti gli altri. Se avesse fatto il fornaio, dubito avrebbe potuto parlare di quanti.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
che brutto vizio che hai sempre pronto a giudicare, dovresti sapere che a post retorico si risponde con domande retoriche, per la legge del contrappasso di chiare origini toscane nel rispetto della tua identità.
Alla tua età cerchi su Wikipedia, dovresti essere un pozzo di scienza pratica.
Ovvio che intendevo la ‘tabula rasa’ in architettura.
Quindi, risposta sbagliata.
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Resterò in ansia da quiz, allora.
Ma conta davvero chi l'ha detto per prima? O non conta che l'abbia detto un critico stimatissimo, e anche con ragione, e seguitissimo e a cui molti tutt'ora si appellano?
Guarda che Zevi difenderebbe ancora oggi questa sua posizione, basta leggere il suo ultimo libro e quindi la mia è un'accusa che lui rivendicherebbe invece con orgoglio.
Quindi inutile fare gli indovinelli per cambiare discorso. Zevi l'ha detto, prima di lui l'hanno teorizzato altri (mi verrebbe da dire LC ma dopo mi si accusa di esserne ossessionato e dunque non lo dico), oggi viene applicata a tappeto dalla stragrande maggioranza degli architetti, almeno di quelli che finiscono nelle riviste e direi più propriamente in internet. Ma a te non arriva Europa concorsi o archiportale, per citarne due? Guarda e converrai con me.
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
mi stupisci citi e condividi questa frase: «Abbiamo perso la memoria di dove veniamo, come possiamo avere un'idea di dove andare?»
Dopo, come fai di consuetudine, arrivi a una conclusione: «A questo proposito mi viene in mente la "tabula rasa" di Bruno Zevi».
Questa tecnica ‘critica’ si chiama ‘wishful thinking’ ti agevolo il compito cerca su wikipedia in inglese.
Tu pensi veramente che sia stato Bruno Zevi (o il solito LC) l’ideatore della ‘Tabula Rasa’?
Parafrasando Jacques Delors ti dico: «hai perso la memoria di dove vieni, come puoi avere un’idea di dove andare?».
La risposta alla mia domanda si trova da sempre a caratteri cubitali in questo blog?
Alla Vasari ti dico: «Cerca trova»!
Saluti,
Salvatore D’Agostino

ettore maria ha detto...

chi sia stato il primo è del tutto irrilevante, come ha mille volte sottolineato Zevi, Gropius ha teorizzato la necessità di non insegnare la storia perché limitativa delle potenzialità della mente dell'architetto!
Sono follie che vanno inquadrate nel pensiero del periodo storico in cui sono state teorizzate, oggi, a tanti anni di distanza, possiamo essere sufficientemente coscienti degli effetti collaterali di un deteminato approccio culturale. Il problema di fondo è comunque collegato alla lettura "storicista" e non "storica" che molti adottano nei confronti della memoria, e questo è un qualcosa che colpisce gli architetti e gli storici, mentre coloro i quali sono rimasti immuni ad un insegnamento di questo tipo non si preoccupano di un problema che nella loro mente non esiste, né può esistere. Se le città fanno pietà lo si deve a tanti fattori, ma la maggiore responsabilità va attribuita ai teorici dello zoning poiché i maggiori problemi sociali sono nati a seguito di questa idiozia impostaci a partire dal 1942 ... anno di pubblicazione, ad opera del solo LC, della Carta di Atene del '33 che avrebbe dovuto essere la trascrizione di un consenso ampio che non c'è mai stato.
Il primo passo per recuperare la "memoria" in campo urbanistico-architettonico è dunque quello di imparare a fare autocritica e avere il coraggio di mettere in discussione i nostri idoli, fatto questo, e riallacciandosi a quello che eravamo stati in grado di raggiungere prima dell'imposizione ideologica, potremo andare avanti.
Cordialmente
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, purtroppo sono in molti ad essere convinti, in evidente contraddizione con se stessi, che la figura dell'architetto non sia responsabile dei disastri urbani. Ora questo è del tutto singolare perché è come ammettere che l'architetto non esiste, non ha rilevanza; è, al massimo, uno che mette un timbro sull'opera altrui (la politica, la società).
Ironia della sorte:
chi esalta la figura prometeica dell'architetto al tempo stesso ne afferma l'inconsistenza;
chi, invece, crede che gli architetti debbano rinunciare a gran parte del loro protagonismo a vantaggio della città e dei suoi abitanti, gli attribuiscono invece grandi responsabilità nelle scelte urbanistiche.
Questa antinomia va risolta, in un modo o nell'altro.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

---> Ettore,
io sono molto critico su quello che tu chiami ‘zoning’, soprattutto quelli che tu chiami ‘idoli’ che per te saranno padri ma per me al massimo bisnonni. Ciò che non mi convince delle vostre teorie sono le conclusioni ‘antichiste’ credo che siano molto deboli.
Francamente l'imposizione ideologica che tu additi come male assoluto in Italia ha avuto una variante molto particolare, anche in questo caso abbiamo italianizzato le norme ottenendo un risultato a volte molto divergente o tantomeno distante dalle idee che tu pensi siano state imposte.
Non voglio fare polemica, ‘storicamente’ andrebbe recuperata l’idea della tabula rasa poiché è molto italiana (ma non come valore assoluto), se ci permetti ti faccio una domanda: che fare con la memoria delle nostre città costruite dal 1942 ad oggi?

---> Pietro,
questa è una tua interpretazione. Nessuno dice che l’architetto non ha responsabilità, dipende molto dalle qualità visive e storiche di chi l’osserva.
L’antinomia in Italia va letta non con la teoria ‘antichista’ ma analizzandola caso per caso, poiché ci sono città costruite solo da architetti o ingegneri o geometri o politici/costruttori o auto-costruite o come di consueto in un mix di sensibilità tecniche, ognuna con una propria valenza e se vuoi memoria.
La teoria, i compendi, le idee, le regole da molto tempo non collimano più con la pratica ‘urbanistica’ delle città.
L’urbanistica più avveduta da molto tempo ha corretto gli errori dei vostri padri e sta sedimentando nelle città più sensibili la memoria dei nostri giorni, non possiamo pretendere che tutte le città del mondo non costruite con la teoria ‘antichista’ siano sbagliate.
Un po’ di tolleranza, un po’ di diversità, un po’ di memoria e forse un po’ d’identità (nella sua valenza aperta e sana).
Buona giornata,
Salvatore D’Agostino

P.S.: Dimenticavo: ma la vostra idea antichista non ha la pretesa di essere imposta al mondo un po’ come il vostro “brrrr!” nemico Corbu?

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, dimmi quali sarebbe l'urbanistica avveduta che ha corretto gli errori dei nostri padri e dei tuoi nonni. Citami, per favore, esempi realizzati di piani urbanistici, eseguiti dalle varie "sensibilità", di cui parli, che hanno funzionato, funzionano e che non siano sullo stesso filone dei nostri "parenti".
Ricordati, inoltre, che all'inizio di tutto c'è SEMPRE un piano, redatto da un architetto. Se tu eserciti la professione ti sarai reso conto che da un posto all'altro il disegno, quando c'è, e le norme determinano progetti completamente diversi.
Poi c'è tutto quello che dici te, senza dubbio, ma il mondo lo si cambia in altre sedi, gli architetti invece riguardano noi.

P.S. Nessuno ha detto che "si nasce" antichisti, così come "nessuno nasce imparato".
Anche perché io sano nato "modernista" e dunque.....
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Salvatore,
il tuo problema è che non hai mai la possibilità di essere chiaro, lanci il sasso e nascondi la mano, l'unica cosa chiara è la tua avversione nei confronti di ciò che non conosci e non vuoi conoscere. Non so quanti anni tu mi possa dare, dicendo che i "padri" del modernismo per me sono padri e per te sono bisnonni, mi chiedo se tu hai un'età tanto lontana dai miei 44 anni. Se parlassi in maniera documentata, sapresti che non non abbiamo "italianizzato" proprio un bel nulla, abbiamo sposato in pieno, e tra i primi, quella macchina da guerra per distruggere le città che LeCorbusier non era riuscito a farsi approvare nemmeno dai convenuti del '33. Ne ho parlato nel mio vecchio post sullo sciagurato IV CIAM, quindi sarebbe il caso di dire basta col colpevolizzare l'Italia in quanto ci risiedono gli italiani, e faremmo bene (bada, come al solito parlo al plurale!) a saper fare autocritica e riconoscere gli errori del recente passato.
E poi, basta con sta storia dell'antichismo, credo di essere sempre stato molto chiaro circa il valore di quanto prodotto fino a prima degli anni '30 (e anche qualcosa di successivo), quindi il problema è riallacciare il filo che, fino a quel momento, aveva prodotto una modernità nella tradizione!
PS
Ti chiedo anch'io, come Pietro, di dimostrarci un (che sia almeno uno) esempio di piano urbanistico accettabile!

Peace & Love
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, a me questa storia dell'età mi sembra così idiota che non mi sono preso nemmeno la briga di rispondere e sono stato al gioco.
Hai fatto comunque bene a specificare la tua, anche se non servirà a niente, perché Salvatore vive nell'attimo, nell'istante, nella complessità, nello spazio-tempo, e a lui cinque o sei anni di differenza sembreranno comunque un'eternità!
Figuriamoci se io gli dicessi che ne ho 59 cosa penserebbe! Mi chiederebbe qual'è l'ultimo dolmen che ho disegnato!
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro e Ettore,
risponderò con piacere alle vostre domande.
Per evitare derive senza senso, una piccola precisazione questa mia frase non era legata all’età: «soprattutto quelli che tu chiami ‘idoli’ che per te saranno padri ma per me al massimo bisnonni» ma alle teorie urbanistiche.

E dopo perché giudicate gli altri senza conoscerli:

Ettore: « il tuo problema è che non hai mai la possibilità di essere chiaro, lanci il sasso e nascondi la mano, l'unica cosa chiara è la tua avversione nei confronti di ciò che non conosci e non vuoi conoscere» Boh!

Pietro:« perché Salvatore vive nell'attimo, nell'istante, nella complessità, nello spazio-tempo, e a lui cinque o sei anni di differenza sembreranno comunque un'eternità!» Boh!

Che brutto vizio.

A presto (spero domani),
Salvatore D’Agostino

P.S.: 44 anni! Che ti è successo?

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, ho pubblicato il tuo commento sopra solo perché che ti qualifica, ed è utile.
Altrimenti l'avrei censurato con grande soddisfazione.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
mi qualifica!

Ti prendi troppo sul serio.

Ripeto che brutto vizio giudicare le persone.

Francamente non capisco.

Saluti,
Salvatore D’Agostino

Linea del fattore B ha detto...

"I cittadini sono persi tra la dimensione locale e quella mondiale e per molti di loro la risposta identitaria è quella del localismo e del populismo. E i governi li assecondano e li inseguono."

è una frase estrapolata dall'intervista e precede quella riportata da pietro. localismi... populismi... governi che assecondano e inseguono i cittadini... chissà perchè ma a me, più che la B di bruno zevi questa frase fa venire in mente la B di un capo di governo e di un suo ministro...

per l'intera intervista:
http://www.avisoaperto.it/?p=5783

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, io ho estrapolato una frase, secondo me significativa in senso assoluto, e ho fatto, come dice Vilma un atto da guerriglia infilandoci Zevi. E' del tutto evidente che Delors non avrebbe potuto né voluto riferirsi a Zevi.
Tu fai peggio, perché estrapoli una frase, che parla di politica, di quella vera, e ci metti il riflesso condizionato della politica italiana.
La frase di Delors che tu riporti esprime anch'essa una verità, ma l'interpretazione che ne dai te è proprio sommaria.
La frase successiva è la seguente:
"Guardi, da Mendes France ho imparato una grande lezione: è meglio perdere una elezione che perdere l´anima e il senso della propria direzione. Una elezione si può rivincere dopo cinque anni, che vuole che sia? Ma se si perde la bussola, o se si perde l´anima, per ritrovarle ci vogliono generazioni".
Domanda: chi è che potrebbe avere perso l'anima, in chiave italiana?
Risposta facile.
Ma Delors non parla dell'Italia, parla dell'Europa, molto in generale, ad un livello superiore e fuori dalle beghe dei partiti. Peccato.
Ciao
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Prima parte:

De architettonici,
come promesso ecco la mia risposta:

Uno dei problemi più rilevanti dell’urbanistica concepita per zoning è stata l’incapacità delle amministrazioni di governare l’economia del territorio.
Spesso gli imprenditori più scaltri operavano una vera e propria strategia di restyling urbano creando dei fenomeni di gentrification, ovvero si facevano affluire nella zona gli abitanti ad alto reddito e defluire i vecchi abitanti a basso reddito.
Imprenditori che spesso sono diventati i veri artefici dei cambiamenti urbani.
Per questo motivo si è sentita l’esigenza di rivedere la vecchia urbanistica flat o 2D prestando attenzione alla regolamentazione delle dinamiche del territorio sia politico, economico e abitativo questo concetto è semplificato con il termine ‘sviluppo sostenibile’.

Grande scala

Un esempio ci proviene da Genova con la creazione dell’Urban Lab.
Link: http://www.genovaurbanlab.it/
Urban lab è un laboratorio d’idee pensato da Renzo Piano in collaborazione con Richard Burdett dove attraverso incontri mensili con tutti gli attori sociali della città, hanno redatto il nuovo PUC (Piano Urbanistico Comunale).
In questo modo si è passata da una città spesso pensata per singoli oggetti ‘architettonici’ a un progetto organico, dove i grandi e i piccoli progetti dialogano sinergicamente.

Un altro esempio simile ma con differenze sia ideologiche sia metodologiche lo troviamo a Palermo.
L’artefice si chiama Maurizio Carta, giovane urbanista siciliano, autore di diversi libri vi segnalo ‘Creative city’.
Ha firmato il progetto per la riqualificazione del porto e di recente è diventato assessore al piano strategico, al centro storico e alla riqualificazione della costa di Palermo.
Carta è particolarmente attento all’identità dei luoghi e crede nello sviluppo creativo e attivo che provengono dalle dinamiche interne della città.
Link: www.pianostrategico.comune.palermo.it

A Palermo si è istituito il PSP (Piano Strategico Palermo) gestito da una società esterna di Roma dove attraverso forum aperti a tutti gli operatori e gli abitanti della città si sta stilando il piano.
In questo modo la città non è lasciata alla semplice iniziativa singola sia essa privata o pubblica.
Tutti gli investimenti privati/pubblici partecipano -o meglio utilizzo un termine obsoleto - in ‘concertazione’ riqualificano la città.
Mel rispetto assoluto sia delle diverse sensibilità abitative sia alle nuove identità, vi stralcio un brano da un’intervista per capire questo concetto:

Giornalista: Prevede di affrontare i problemi di carattere sociale legati al centro storico, visto che ormai ci sono delle zone quasi completamente abitate dagli immigrati mentre i palermitani si sono spostati in periferia?

Maurizio Carta: Da qualche tempo c’è un progressivo ritorno dei palermitani nelle principali arterie del centro. E comunque secondo me, gli immigrati sono una risorsa, ci sono città come Marsiglia dove la convivenza tra più etnie è diventata una ricchezza, si pensi al commercio etnico, agli scambi culturali. Il problema vero per quanto riguarda gli immigrati è che spesso abitano case fatiscenti e pericolanti, devono avere le giuste condizioni di abitabilità. La loro presenza nel centro storico deve essere il risultato di una strategia, non può essere il risultato occasionale di una situazione di degrado. Loro vanno ad abitare in case dove i cittadini di Palermo non andrebbero mai a vivere.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Seconda parte:

Media scala

Settimo Torinese
Come ripensare le città che sono nate grazie allo sviluppo industriale e adesso si trovano ad affrontare la fisiologica legge economica fase in/out e riconversione, dove la riconversione coincide con la delocalizzazione?

La delocalizzazione significa avere degli stabilimenti strutturalmente non obsoleti ma vuoti.

Come fare a tutelare questi luoghi prima del suo inevitabile degrado?

Il sindaco Aldo Corgiat Loia senza perdere tempo ha subito predisposto con l’azienda un uso alternativo, affidando parte del progetto a Renzo Piano.
Quest’intervento ‘urbano’ permetterà al comune di Settimo Torinese di non ritrovarsi ‘fantasmi architettonici postindustriali’.
La riconversione sarà sia di matrice soft-industriale sia culturale.


Modena
Interessante il progetto di Marco Romano che da tempo con vigore chiede di tornare a ripensare in modo organico le città.
La sua idea - molto postmoderna - è concentrata prevalentemente sull’organizzazione degli assi viari.
Architettonicamente non si contrappone alle case costruite negl’ultimi anni, anzi riprende il tema di Modena delle case a corte di concezione moderna (corte aperta e non chiusa).
Unica e grande pecca è l’idea di pensare un PRG per i prossimi cento anni, ambizioso e forse troppo teorico.

Piccolo
A mio avviso una particolare attenzione dovrebbe essere posta ai piccoli comuni, dove abita il 25% degli italiani, spesso trascurati dall’attenzione mediatica e soggetti a piccole e grandi speculazioni spesso banali.
Un’idea interessante è quella del sindaco di Cassinetta di Lugagnano Domenico Finiguerra perdonate l’autocitazione qui una mia intervista --> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/11/0001-con-giustizia-citta-crescita-zero.html
Il sindaco si è posto una semplice domanda come possiamo coniugare virtuosamente l’economia degli speculatori con la città?

A tal proposito vi segnalo questo sito ----> http://www.comunivirtuosi.org/

Come si può notare non vi è più un’idea di urbanistica legata alla concezione ‘ideologica’ o zonizzazione ma un’urbanistica che viene progettata partendo dalle peculiarità delle singole città che rispetti la storia facendo in modo di riconquistare i luoghi museizzati e non abitati o degradati/abbandonati.
Le città italiane non hanno mai avuto un ‘dominio’ estetico prevalente e si sono stratificate.
Oggi occorre rileggere e riprogettare le città ‘organicamente’ e non ‘gerarchicamente’.
La rovina dell’Italia e stata quella di pensare alle rovine come semplice ‘catalizzatore’ di commercio turistico e quindi per sua natura intoccabile.
Le città vivono solo se sono abitate (aggiungerei diversamente abitate).

Questi sono semplici appunti, volutamente romanzati, ho evitato il linguaggio tecnico per rispondere alla domanda, quindi è una semplificazione di un tema più ampio (ho evitato anche di citare libri e quindi le idee per non essere troppo pedante).

Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore: tu hai una visione della città molto "contestualizzata", in cui la crescita urbana ed edilizia è vista solo come "speculazione". E' riduttiva, parziale e fuorviante.
Esiste la "speculazione", nella sua accezione unicamente negativa, ma se pensi che sia l'unica leva a smuovere l'edilizia ti sbagli di grosso. Se c'è chi costruisce c'è anche chi compra e allora se credi che tutti i compratori siano speculatori inutile sperare di cambiare le cose.
La causa dello zoning non è quella che dici te ma è solo una brutale semplificazione della città: è molto più facile dividere la città in settori omogenei, ognuno con le sue regole, specie per una amministrazione pubblica che intende effettuare un controllo "preventivo" su tutto, in specie sulle destinazioni d'uso, la fissazione di ogni urbanista.
La zonizzazione è non solo un aspetto formale della città ma è un modo di intendere la società del tutto illiberale. Insomma, la zonizzazione è un esercizio violento del potere ed eliminarla è anche, ma non solo, una scelta di libertà.
Urban lab di Torino e Palermo: in mezzo a tutte le parole che hai riportato, e che appartengono in verità al tipo di approccio di tentativi del genere e non solo al tuo linguaggio, non ho capito i risultati. Quando li conoscerò, giudicherò. Se devo giudicare dalle premesse sento molte chiacchiere delle quali diffido. Quando in Italia si mettono nel mezzo troppi soggetti diversi credo serva solo ad alzare grandi polveroni e cortine fumogene. In genere in queste operazioni scopri sempre che alla fine c’è qualche finanziamento europeo di mezzo, che andrebbe anche bene, ma che avuti i soldi, gabbato lo santo. Qualche opera pubblica di prestigio e buona notte suonatori. La città ha bisogno di soldi ma ha anche bisogno di un disegno che sostenga un’idea e che sia capace di dare i suoi frutti, con tutte le difficoltà del caso, in ogni parte della città.
Bisogna sempre mettersi dalla parte del singolo abitante che cerca casa, in affitto o da acquistare, e a cosa gli viene proposto come offerta quando dovrà scegliere quale sarà l’ambiente di vita per sé e per i suoi figli. La mia fiducia nei grandi processi di governance urbana è pari allo zero, non solo e non tanto per la qualità dei nostri amministratori ma soprattutto per il fatto che dove ci sono grandi “tavoli” ci sono grandi appetiti, non necessariamente economici ma anche di potere e di rappresentatività. Metti insieme tre enti, quattro associazioni, due comitati e venti architetti e il niente è quasi certo.
Diffido perciò di un'urbanistica in cui si mescolano insieme mille problematiche diverse, un'urbanistica di "processo" piuttosto che quella di "prodotto".

....continua.....

Pietro Pagliardini ha detto...

....continua la schiavitù dei 4096 caratteri.


Modena: ho visto il piano, è fatto su una delle idee portanti di Marco Romano, che apprezzo moltissimo, quello dei viali, boulevard e passeggiate come strumento non formalistico ma di riduzione delle differenze tra centro e periferia. E’ un’idea interessante, probabilmente mutuata dal piano di Parigi di Hausmann anche se con richiami più antichi. Siamo comunque nel campo di un piano molto disegnato e poco chiacchierato. Il fatto che abbia una visione di lungo termine è, secondo me, un pregio e non un difetto, perché significa avere un’idea. Poi capisco che le amministrazioni di oggi vivono alla giornata, hanno una visione che arriva ad una settimana, ancora più breve della programmazione televisiva e allora….
L’esempio realizzato di Cassinetta di Lugagnano è molto interessante, l’avevo già visto sul tuo blog, avevo anche lasciato anche un commento positivo ma, da quello che ho potuto capire, è significativo per un metodo, dovuto ad un sindaco, di quotidianità di piccoli interventi non eclatanti ma ben fatti che restituiscono ai cittadini il gusto di mantenere la propria città. Non so cosa succede oltre quegli interventi. Mi sembra insomma un esempio virtuoso di buona amministrazione della città, che nulla ha a che vedere, dalle informazioni in mio possesso, con una scelta urbanistica in senso stretto. Insomma: com’è e come sarà il resto della città?
E’ certamente vero quello che dici in merito alle città medie e piccole, ai piccoli centri in genere, che sono l’asse portante della struttura urbana di questo paese: questo è il campo in cui è possibile e necessario cambiare rotta. Ma quello che vedo intorno a me, che ci vivo una realtà del genere, non va esattamente nella direzione auspicata.
E io vivo nella Toscana felix, la patria della pianificazione, la madre della legge urbanistica regionale che ha fatto scuola in Italia, la legge che fa uso qualche centinaio di volte della parola sostenibile ma che ci fa rimpiangere (Ettore, tappati le orecchie) la legge urbanistica del ’42!
Saluti
Pietro

LineadiSenso ha detto...

"La zonizzazione è non solo un aspetto formale della città ma è un modo di intendere la società del tutto illiberale. Insomma, la zonizzazione è un esercizio violento del potere ed eliminarla è anche, ma non solo, una scelta di libertà."

capperi! e sarei io quello che ha il riflesso condizionato della politica italiana? sant'iddio... mi par di sentir silvio in 'sta frase :-) suvvia pietro, non infarciamo l'urbanistica di ideologie. se 'sto paese non sa farla, l'urbanistica, è semplicemente dovuto al fatto che siamo italiani e il paesaggio degli ultimi cinquant'anni ne è il nostro autoritratto.

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Mi dispiace robert, ma anche questo è un tuo riflesso condizionato, non mio: ti consiglio di leggere il libro di Francesco Finotto, La città aperta, Marsilio editori, che tratta proprio della contraddizione dell'urbanistica come "pratica pre-moderna in una società moderna". Cioè della inevitabile limitazione della libertà in un un mondo che invece aspira a ha libertà.
Non c'è mai un richiamo a Berlusconi, te lo posso assicurare. E' un libro serio e molto da "professore" universitario quale Finotto è.
saluti
Pietro

Linea della Libertà !?!? ha detto...

grazie pietro, io invece ti lascio questa citazione tratta da D di repubblica di u. galimberti

"Il capitalismo, come ricerca dell’interesse e della ricchezza individuale è senz’altro di origine cristiana, per la semplice ragione che il concetto di “individuo” è stato fondato dal cristianesimo a partire dalla nozione di “anima individuale”, fondamento della persona e della sua identità. Non era così per la cultura greca dove la CITTA' AVEVA IL PRIMATO SULL'INDIVIDUO. Col cristianesimo, invece, e con la storia della salvezza inaugurata da questa religione, l’individuo ha il primato sulla società, perché la cosa più importante è salvare l’anima che è “individuale”."

il territorio che aspira alla libertà ti posso assicurare che lo conosco benissimo e ne conosco il suo paesaggio, è il solito che avrò citato mille volte: città diffusa. si basa sul lotto singolo e sui 5 metri da confine. sai perchè esiste? tralasciando le origini che si perdono nell'800... esite perchè la giurisprudenza ha sostenuto un sacco di volte che per godere di une bene come il lotto di terreno tutti dobbiamo distanziarci dai confini: tu ti distanzi e io godo, io mi distanzio e tu godi... è la città individualista che anela alla libertà per ciascuno di noi e che si basa sul principio la mia libertà si ferma dove inizia la tua: a 5 metri dal confine. non è città, è campagna urbanizzata, ma piace moltissimo a tutti i miei concittadini (e a moltissimi altri nel mondo) e, per farli tornare in città, bisogna convincerli che hanno un guadagno. per il momento il ritorno alla città lo sentono semplicemente come una restrizione (molto forte) della loro libertà e per molti versi hanno pure ragione: la voglia di libertà se la portano (e me la porto) nel sangue. ragion per cui: stai a 5 metri dalla mia RINGGgHHHiera se non vuoi una scarica di pallettoni nel culo!

robert

link all'intero articolo:
http://periodici.repubblica.it/d/?num=685
pag 290

Pietro Pagliardini ha detto...

Che ti devo dire? Siamo d'accordo e dunque qual'è il problema? Non c'è alcuna contraddizione tra quella citazione che ti ho fatto e quella di Galimberti, che condivido totalmente.
Quella di Galimberti diciamo che viene prima, sta a monte, come si dice, quella di Finotto invece applica il concetto di libertà all'ambito urbano.
Finotto dice che la difficoltà sta nel trovare l'equilibrio tra due esigenze opposte: la libertà individuale e la logica della città che vi pone dei limiti. Conclude poi osservando che, proprio per l'acquisito principio della libertà individuale, oggi lo Stato, in senso lato, per apporre limiti deve giustificarli e non darli come presupposti scontati.
C'è anche altro nel libro, ovviamente.
Buona domenica
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
forse hai ragione sono stato poco chiaro ciò dipende dal luogo in cui vivo che se ne frega altamente della zonizzazione e pensa solo alla speculazione.
Tu invece vivi nella patria della pianificazione e quindi dai la priorità al ‘prodotto’.

A proposito di Palermo ho appena pubblicato un’intervista con l’Assessore del Comune di Palermo con delega al piano strategico, al centro storico, alla riqualificazione urbana della costa e ai rapporti con l’università' nonché giovane urbanista Maurizio Carta.
Hai un’occasione per parlare concretamente dei temi legati alla città storica.
Mi piacerebbe un tuo/vostro commento.
Premetto Maurizio Carta è di destra ed è disponibile al dialogo.
Qui il link ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/03/0002-con-giustizia-next-palermo.html
Saluti,
Salvatore D’Agostino

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