Pietro Pagliardini
Quell’edificio crollato non deve essere ricostruito com’era perché sarebbe un FALSO!
Quel progetto in campagna non deve imitare una casa colonica perché sarebbe un FALSO!
Quell’edificio è adatto a Disneyland perché è una copia quasi identica ad una villa palladiana, ed è un FALSO!
Tre situazioni diverse che raccolgono la riprovazione della “cultura” architettonica imperante verso il “falso” e la mimesi.
Per il momento non vorrei confutarla ma vorrei portare casi diversi:
Quel progetto è fantastico! Si vede che è un allievo di Ghery.
Quel progetto ha il dinamismo e il senso dello spazio di Zaha Hadid!
Quel progettista fa uso di tecnologia con sensibilità e grazia. Mi ricorda Renzo Piano.
Niente paura, nessuna sparata contro le archistar; i loro nomi servono solo per l’esempio.
Ogni architetto, in specie nella fase giovanile, fa riferimento ad una figura di riferimento. In genere, con il tempo, acquisita sicurezza nei propri mezzi e maturata la capacità di dominare il progetto, tende a distaccarsene, fino all’abbandono, e ad elaborare un linguaggio personale. Voglio immaginare che il nostro architetto riesca a raggiungere un livello professionale alto, tanto che molti riconoscono l’autore negli edifici da lui costruiti.
Ma siamo assolutamente certi che questo bravo architetto non debba niente a qualcuno in particolare o a ciò che osserva viaggiando o alle riviste e ai libri che legge o a tutto quanto ha studiato all’università e, ancor prima, ai suoi stessi ricordi giovanili? Siamo sicuri che esista veramente qualcuno, in qualsiasi campo, che non debba la propria conoscenza e competenza ad altri?
L’apprendimento inizia con l’imitazione. Successivamente non si chiama più imitazione, ma studio, osservazione, esperienza ed elaborazione di informazioni.
Qualsiasi disciplina, intellettuale o manuale, è un accumulo di conoscenza ed esperienza sedimentata nel tempo in opere o libri o trasmissione verbale. Oggi anche in forme più tecnologiche e nuove: immagini, video, audio. Cambia e si evolve il mezzo, ma il contenuto è lo stesso: conoscenza di alcuni, fissata perché possa essere trasmessa ad altri.
Ogni disciplina, intellettuale o manuale, è imitazione, mimesi; quello che si osserva viene elaborato e riproposto in forme e modi diversi e in base alla propria inclinazione.
Ma ecco che interviene la variabile “ricerca”. C’è sempre stata, naturalmente. Chissà se l’anonimo inventore della ruota riconoscerebbe il suo prodotto guardando un gran premio di formula 1 nel momento in cui i meccanici ne cambiano 4 in 4 secondi! Alta tecnologia e specializzazione, ma il principio della ruota è sempre lo stesso: un cerchio rigido che gira intorno al suo centro. Ma la ruota non si è materializzata nella mente del suo inventore da una tabula rasa, anche se la rivoluzione è stata grande. Vai a capire i millenni che ci sono voluti per fare meno fatica a trasportare roba! Certo, il passaggio intermedio di una ruota quadrata non credo ci sia stato, ma molte slitte su rulli sì. Il principio era già a portata di mano, bastava vincolare il rullo. Alla fine è arrivata l’ideuzza giusta. Da quel momento l’evoluzione del mezzo: di materiali, di tecnica per diminuire l’attrito, nel centro e nella circonferenza, e resistere all’usura. Ma il principio è sempre lo stesso: copiare le idee altrui, quelle che si ritengono buone, per andare avanti, aggiungendoci del proprio. Gli scambi di opinione, ad esempio, servono a questo e sono anche un modo per trovare nuovi stimoli.
Torniamo alle esclamazioni iniziali.
I tre campioni di “falso” sono riferiti a tipi architettonici antichi o semplicemente vecchi. Qual è il limite superato il quale non si parla più di “falso” ma, al massimo, di progetto “datato”? Difficile stabilirlo. Approssimando un po’ potremmo dire che il limite è l’introduzione di tecnologie nuove, quale il c.a., naturalmente nella fase di una certa diffusione. Ecco, un progetto anni ’60 di edilizia corrente, con mensole in c.a. a vista e marcapiani in c.a. riproposto oggi, magari con un minimo di “ironia”, verrebbe considerato “datato”, ma “falso” certamente no. Un progetto alla Rietveld, per alcuni datatissimo, per altri potrebbe essere l’inizio di un nuovo neo-ismo.
Fissando una data, credo si possa affermare sia considerato “falso” tutto ciò che non corrisponde ai canoni e alle forme di prima degli anni ’20 del secolo scorso.
C’è una logica. Apparente.
I nostri tre architetti che vengono confrontati con Ghery, Hadid o Piano, hanno, anche inconsapevolmente, “attinto” a quelle fonti; hanno fatto un’operazione mimetica. Hanno copiato, bene, da coloro che più apprezzano. Così come il nostro giovane architetto, venuto su bene, in autonomia e in libertà da banali copie del maestro di riferimento, non si è inventato tutto, né del progetto né, a maggior ragione, delle tecniche costruttive.
Diciamo che, al pari della ruota, hanno sviluppato e interpretato qualcosa che già esiste, aggiungendoci quel tanto di “gesto” individuale che lo rende riconoscibile e di successo.
Queste sono situazioni ideali! Ma se sfogliamo le solite riviste, cartacee oppure on line, si vedono centinaia di autentici “falsi” contemporanei. Hanno plagiato forse? Certamente no, hanno solo sviluppato ciò che ritenevano valido dell’opera altrui. E’ come con la musica: Ennio Moricone dice che il plagio musicale è ormai quasi inevitabile perché le combinazioni sono praticamente esaurite e quando una musica è nell’aria è facilissimo riproporla in buona fede come propria.
E’ normale, è logico persino, perché nessuno può pretendere, anche se vuole, di inventare ogni volta qualcosa di “nuovo”.
Ma i tre esempi iniziali invece vengono condannati senza appello come “falsi”. Solo loro tre, poverini, vengono additati al pubblico ludibrio. Perché?
Ma è chiaro, perché sono “modelli” ante anni ’20 del secolo scorso!
Il concetto di falso, così come viene utilizzato dalla kultura arckitettonica ha esclusivamente una connotazione temporale: è falso tutto ciò che non è moderno o contemporaneo!
Il concetto di moderno o contemporaneo, invece che servire da semplice “datazione” di prima approssimazione, assurge al rango di valore fine a se stesso. E’ una condizione del tutto priva di senso.
Io copio (come tutti, sia chiaro) un progetto che ho visto in internet e sono magari bravo; io copio un tipo di casa colonica della bonifica lorenese, perché devo fare un progetto in campagna, e sono un imbroglione!
Io devo ricostruire una casa nel centro storico e, se la faccio di vetro, copiando da un repertorio infinito di nefandezze attuali, va bene, ma se la rifaccio com’era, o come si può ricavare che fosse, vengo classificato antichista e nostalgico!
Bossi, Bossi! Qui ci vorrebbe la tua lapidaria frase in milanese per chiudere il discorso!
Credits: Le foto sono tratte da Dezeen.
L'idea del post mi è venuta grazie al dibattito seguìto alla conferenza di Ettore Maria Mazzola ieri 18 marzo ad Arezzo. Praticamente ho fatto un "falso".
19 marzo 2010
MA SOLO L'ANTICO E' FALSO?
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13 commenti:
pietro, fossi in te, organizzerei una manifestazione per la libertà architettonica.
robert
Vittimismo io????? Ma figuriamoci!
Contestami quelle immagini, invece. Sai quante avrei potuto metterne? Centinaia. In una decina di "stili" diversi. Avrei potuto metterne ad esempio una decina dello stesso genere di cui solo una di una archistar e fare il quiz su quale sia l'autentico e la copia. E, bada bene, io non condanno la "copia" (condanno il tipo di progetto) ma osservo che in verità sono tutti falsi esattamente come la copia dell'antico.
Contestami il concetto di falso e lascia perdere il vittimismo.
Ciao
Pietro
Pietro,
bello, bello, bello, beeeelllo, beeeelllllo!
Falso romantico: http://www.youtube.com/watch?v=Er2QLh1k35Q
Falso nostalgico: http://www.youtube.com/watch?v=J6nSkFT6MfI
Falso ma va a lavura’: http://www.youtube.com/watch?v=8zBvac61V1I
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Caro Pietro,
mi fa piacere che le mie conferenze aretine ti abbiano stimolato questo bellissimo post, mi auguro che il tuo scritto aiuti a far riflettere tutti i tuoi lettori e non solo.
Come ti ho scritto ieri, siamo pieni di "falsi Terragni", di "falsi LeCorbusier" e di "falsi Ghery" ma nessuno si lamenta!
Il problema di fondo (che è anche il paradosso) è che l'eventuale reato di falso, secondo la definizione normativa dataci da Brandi, si configura solo quando si ravvisi un'intenzionalità di vendere per "autenticamente antica" una "nuova opera", e non penso che nessun architetto possa essere così modesto da non voler figurare come l'autore di un progetto (è geneticamente impossibile), il che significa che rivendicherà sempre la paternità del progetto e la data di costruzione, vale a dire che non penserà mai di farlo passare come qualcosa che già c'era, ma semplicemente come un qualcosa che cerca di inserirsi rispettosamente nel contesto (storico, moderno o modernista che sia), quindi non cercherà di "fregare" nessuno, per cui non commetterà alcun reato secondo la definizione dataci da Brandi.
Insomma, potrei (o potremmo) andare avanti ore a dimostrare l'inconsistenza di questa teoria, ma se non cambia il modo ideologico di insegnare l'arte e l'architettura, e conseguentemente non cambia l'approccio, difficilmente si giungerà ad una liberazione culturale
a presto
Ettore
Una delle considerazione addotte per discriminare il falso dal vero è l’aderenza a temi contemporanei concreti cui si attribuisce capacità di ripensare e riscrivere, in toto, storia e contesto. Ma “l’oggetto” non scompare perché qualcuno lo desidera o perché così sembra destinato ad essere. Perdura, restaurato e rivitalizzato, interagisce, anche ridotto a rudere, e rammenta la sua esistenza.
Strutturato a linguaggio riesce a descriversi ed a descriverci al di la delle sfumature superficiali tra epoca ed epoca; non un semplice “utensile” ma organizzazione di pensiero e, id est, di vita, di atti concreti: il linguaggio “è” il mondo.
La Maison Carrèe dialogava con il demolito teatro ottocentesco; le casine basse ancora guardano all’edificio romano con rispetto ed amore. Non lo stesso può dirsi dell’astronave precipitata al posto del teatro. Bella, ben fatta e ben lucidata ma un “altro mondo” un’altra vita, un'altra lingua.
Si modifica ma non s’inventa; si può cambiare una parola ma non la struttura del pensiero.
Questa mortificante contraddizione fa dell’ architettura moderna “una cosa a sé”; separata dal mondo.
Gli “attori” si nascondono nel mormorio del linguaggio per iniziati: come se volessero stupire la vita, e riconquistarsi un posto con le loro monosillabiche dissertazioni in calcestruzzo o vetro.
Quaderni di schizzi, amuleti di cartoncino straziato a pennarello, mitologia a buon mercato, ingenui esorcismi, bastano loro per scongiurare la vita quotidiana, trascendere serpentoni stecche e cubi che i loro emuli od epigoni stanno inesorabilmente disseminando sul territorio.
Progettano, costruiscono (rectius…giocano) voltando le spalle alle affannose ore del mondo. La pubblica e pressante realtà in cui siamo immersi li sfiora appena senza penetrare nel loro cerchio. Il tavolo a cui siedono è un altro mondo. Lo popolano le avventure dell’accettare le sfide e le restrizioni, con l’imprevedibilità dei risultati ed altre appassionanti amenità dello stesso repertorio.
Vivono bene in questo loro piccolo mondo allucinato. Lo alimentano con flemmatiche esternazioni e sconcertanti boutade, lo covano come un fuoco. E’ un mondo angusto, lo si capisce benissimo, fantasma di politiche ed astuzie di “parrocchia”; un mondo inventato, in fondo, da stregoni di periferia e fattucchieri di riviste patinate; ma non per questo meno inventivo e diabolico nelle sue aspirazioni.
Parlare di un ambiente settoriale e limitato come questo e non trascenderlo o non approfondirlo ( i due termini possono star qui a simbolo di un unico atto, tanto è la loro precisione )può sembrare leggerezza imperdonabile. I diversi stadi della sua polemica, i rovesci improvvisi, i repentini innalzamenti sugli altari, i colpi di testa e di teatro, le sue superstizioni, non possono evitare di tornare all’unico sostrato da cui provengono; non possono non tornare ad essere “linguaggio” che tuttavia si vuole nuovo ma “individuale”con evidente e perniciosa contradictio in adjectus. Devono anch’essi, come tutte le esperienze ripetersi. Cos’è, per chi vi si impegna regolarmente, l’architettura se non un’abitudine ? Si consideri, in fondo, quanto v’è in fondo di reiterativo, il suo amore per le regole ripetute dell’invenzione, le giaculatorie sul genio. Ogni architetto, in realtà, non fa altro che ricalcare detestate formule già note, anche quando pensa di inventare qualcosa di nuovo e mai visto. Perché il materiale di provenienza, “l’argilla”, è quella. Il “gioco sapiente” è, inevitabilmente, una ripetizione di esperienze passate, vale a dire attimi di vita trascorsi; come se intere generazioni di architetti ormai invisibili, scomparsi, fossero sepolte in lui: anzi possiamo dire, senza metafore, che esse “sono” lui.
Ne traspare che il tempo è inganno e non è mai passato veramente.
Così da piramidi di carta scarabocchiata, da nebulose presentazioni multimediali, dagli studi di fattibilità, ci accostiamo alla metafisica: unica finalità e giustificazione di qualsiasi tema.
Pietro mi continua a stupire, cosa centrano quelli che copiano Ghery con quelli che fanno le case in stile?
Se oggi viaggiamo in auto, non ha alcun senso mettere in relazione quelli che viaggiano con la stessa auto e quelli che vogliono viaggiare con il calesse.
Pietro, tutto il discorso mi pare di una certa esilità.
Parti bene, quando dici che l'apprendimento è inizialmente un fatto imitativo, ti dà ragione persino la moderna neurobiologia dopo la scoperta dei neuroni specchio,
Il primo passaggio discutibile avviene quando dici 'imitazione-mimesi' una identificazione arbitraria e una banalizzazione del concetto di imitazione che, se correttamente applicato, è un modo di legare con una sorta di 'filo della memoria' quadri stilistici lontani nel tempo e nella cultura estrapolandone elementi di continuità assieme ad altri di autonomia.
L'imitazione non è facile, assai di più lo è la mimesi.
http://www.viaggidiarchitettura.it/news/speciali/stravaganze-darchitettura-costi-quel-che-costi/
Non credo ci sia chi sostenga che "solo l'antico è falso", anzi, in arte per esempio i falsi moderni sono assai più numerosi di quelli antichi, ci sono in giro più falsi Schifano, De Chirico e Troubeskoi di quanti siano gli originali.
'I nostri tre architetti' che attingono a fonti contemporanee, può essere che copino, più difficile che facciano una mimesi, più facile che si inquadrino in una 'scuola' (e conseguenti 'maestri'), concetto che non deve scandalizzare, dato che percorre tutta la storia della cultura: Giotto è stato a bottega da Cimabue, Caravaggio da uno sconosciuto Antiveduto Grammatica e poi da un mediocre Cavalier d'Arpino, Palladio restò a lungo sotto la tutela di tale Bartolomeo Cavazza da Sossano, poco più che scalpellino, Michelangelo seguì Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio .... tutti allievi che superarono i maestri, certo per tutti l'inizio fu imitazione, non c'è nulla di strano né di riprovevole , il che non impedì loro di sviluppare una propria poetica.
I prodotti di una 'Scuola' si differenziano dalle imitazioni per avere relazione diretta con con il maestro e con l’epoca (questo permetterebbe forse di risolvere la cavillosa distinzione tra falso e datato), non vengono copiati dai disegni antichi o dal rilievo di antiche architetture, sono frutto di un dialogo in tempo reale attorno alle stesse problematiche culturali e sociali, passibili di una variegata sfaccettatura di soluzioni. Un esempio per tutti, la Scuola di Chicago, che riunì un gruppo di eccellenti maestri ed ottimi allievi.
Quindi non "è falso tutto ciò che non è moderno o contemporaneo!", ma lo è quello che ha perso il contatto diretto con le sue stesse radici e rappresenta una copia orecchiata di ciò che altri hanno espresso in altri contesti e per altri motivi.
Vilma
Vilma, sempre molto sottile e analitica, mi costringe, anche di sabato pomeriggio, a riflettere.
Prima di tutto escluderei del tutto il confronto con l'arte dove, come spiega bene Paolo Marconi, il falso assume una connotazione del tutto diversa di truffa economica. Difficilmente si può vendere un falso in architettura, se si esclude la vendita del Colosseo, dove però il falso sta nella vendita.
Considero inoltre sbagliato in assoluto far coincidere l'arte con l'architettura, data la funzione totalmente diversa che assolvono. L'architettura, che nel suo complesso costituisce la città, assolve al compito di creare l'ambiente entro il quale l'uomo, essere sociale, vive e si muove e in questo suo muoversi non può scegliere l'architettura che incontra.
Mai come in questo caso utilitas, firmitas e venustas servono a comprendere la specificità dell'architettura rispetto all'arte la quale ultima soddisfa il senso estetico, ha certamente alcune utilità individuali e sociali di livello superiore ma non richiede certo la firmitas, se non per il fatto che anche una statua ha problemi di stabilità ed equilibrio. Se la trave di un tetto si rompe, non c'è verso, bisogna sostituirla subito perché la casa ha perso una delle sue caratteristiche qualificanti.
I tuoi esempi su Palladio e sul rapporto con il "maestro" o con la "scuola" sono assolutamente veri (tra parentesi anche Palladio era tagliapietre).
Ma la domanda è: ciò che vediamo oggi ripetuto migliaia di volte, i progetti che facciamo (lo dico in prima persona non per fare vittimismo come ha immaginato robert ma come puro espediente retorico) seguono qualche scuola particolare oppure non sono nè più nè meno che copie lievemente adattate di altre centinaia di originali veicolati nei media? Avrai visto anche te i vari "generi": quello del parallelepido a sbalzo come nelle foto del post, quello delle finestre verticali messe in modo disordinato, quello del taglio diagonale sulla parete verticale, quello della facciata continua di vetro, quello del tetto strampalato per il fotovoltaico, ecc. E' scuola questa? No, è come leggere Grazia e cogliere il look che ci piace al momento.
Ricostruire una parte di centro storico lasciando il proprio segno che poco ha di "proprio" e molto piuttosto ripropone manieristicamente uno dei tanti formalismi attualmente presenti nel mercato, è così diverso da una copia di ciò che c'era oppure da una rilettura delle "radici" della nostra storia? A me sembrano falsi allo stesso modo o meglio, a me sembra che l'uno sia un progetto copiato male e l'altro un progetto copiato bene.
La perdita del contatto con le nostre radici, come concludi te, c'è per scelta ideologica di pochi non perché quelle radici si siano spontaneamente seccate.
Domanda: ma tu faresti restaurare un Caravaggio ad Andy Wharol (se fosse vivo)?
Ad Antonio Marco Alcaro devo dire che il paragone tra casa e mezzo di locomozione è quanto meno improprio. L'auto è un bene di consumo, come gli abiti e la TV, la casa no, è parte integrante del paesaggio: lì è e lì resta per....sempre.
A memmo54 cosa posso dire: i suoi pensieri si leggono e si gustano, come il buon vino; i commenti enologici li lasciamo ai sommelier, a noi basta che il bicchiere sia sempre riempito.
Saluti
Pietro
"Contestami il concetto di falso e lascia perdere il vittimismo."
pietro, cosa penso del falso l'ho scritto in un commento del post di angelo gueli. lo avevo intitolato "il gioco delle verità". riassumendo più o meno suonava così: bisogna mettere in gioco sempre la verità, sennò si rischia il falso. mettendola in gioco puoi giocare col linguaggio che preferisci. se uno invece vuole giocare coi calessi e fingere che le auto non esistono non c'è problema... basta che non cerchi di far passare per "autentica" la visione del mondo che gli appare guidando un calesse. perchè è "falsa", molto "falsa".
comunque:
1 alla fine mi pare che riduciate tutto a linguaggio... ma non era sempre angelo ad avermi accusato che avevo sempre in mente il linguaggio? a 'sto punto gli do ragione... gli architetti si masturbano col linguaggia da sempre: è davvero un bel problema.
2 è veramente nichilista 'sta idea che tutto è vero e tutto è falso... e in effetti è così, è lo stato delle cose, per questo mi basterebbe che se ne prendesse atto e si mettessero in gioco le possibili verità.
robert
PS: ma finchè c'è qualcuno che gira col calesse e continua a dar del cretino a tutti quelli che passano in auto...
robert, ho già espresso il mio parere sul calesse e l'auto, sulle crinoline e i jeans nel commento precedente.
La differenza tra bene mobile e immobile è sostanziale: ma se da sempre esiste un "catasto" degli immobili non ti pare che voglia dire qualcosa? Ma tu credi davvero che gli antichi siano degli stupidi?
L'architettura, l'edilizia, la città hanno a che vedere con la geografia, con la terra, con la storia degli insediamenti umani.
Proprio adesso ho avuto via mail una considerazione di una conoscente, Witti Mitterer, della rivista bioarchitettura, che riporto, in parte, perchè è fondamentale:
C'è una differenza tra il mobile e l’immobile. L’immobile, la città, ha le radici, il mobile no. Quindi non sono la forma e la funzione i parametri dell’architettura, ma lo spazio e il tempo, la storia e la geografia.
E' un equivoco spaventoso ed è fuorviante paragonare le due classi di "beni". Io ho pochissima stima degli architetti ma non fino al punto da pensare che il loro lavoro sia quello di produrre beni di consumo come gli spazzolini da denti. E' per questo che abbiamo responsabilità enormi, perché lasciamo opere sulla terra destinate a durare. Per quale motivo si parla di etica dell'architettura?
Saluti
Pietro
giuro che non capivo per quale motivo tu mi stessi parlando di beni immobili e mobili. poi l'ho capita: era riferita al calesse/auto... le avevo usate in senso metaforico... mi son spiegato male. comunque se vuoi saper la mia ti rispondo che sono le persone stesse a trattar l'architettura come bene mobile ben prima degli architetti.
invece quella degli antichi non l'ho capita... certo che non li considero stupidi (tra gli antichi per me ci sta pure quasi tutto il 900) solo che li considero, come disse qualcuno, giganti e io, nano, ci sto sopra.
robert
L'importanza di esserci oggi: oltre a Bernardo di Chartres citerei Max Gluckman, "Scienza è qualsiasi disciplina in cui anche uno stupido di questa generazione può oltrepassare il punto raggiunto da un genio della generazione precedente"
Vilma
Se non ho capito male, Vilma, direi che è esattamente il mio pensiero: senza il patrimonio di conoscenza accumulata nel tempo non si va avanti.
L'unica differenza sta nel fatto che Gluckman usa l'esempio del "genio", forse per rendere più efficace l'aforisma, io non penso solo ai geni.
Ciao
Pietro
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