Leggo sul New York Times un articolo del suo famoso critico d’architettura Nicolai Ourossof, ipermodernista impenitente ma intelligente, sul nuovo progetto dello studio Herzog & de Meuron per il Parrish Art Museum a Southampton, NY.
Il titolo spiega molto: Quando la creatività diminuisce insieme ai contanti.
La storia è semplice: il progetto, partito con un budget di 80 milioni di dollari, è stato ridotto di due terzi, cioè circa 27 milioni causa crisi (purtroppo non posso pubblicare le foto perché protette da copyright ma queste sono consultabili sia nell’articolo linkato che qui.
Dalle poche immagini renderizzate disponibili del progetto si avverte il cambiamento: una di esse mostra un campo di grano con sullo sfondo un fienile o una stalla, né più né meno. Dalle altre immagini si comprende che l’edificio è composto da una serie di altri padiglioni stretti tra loro come un villaggio e gli interni sono caratterizzati da un tetto a capanna con travi di legno, il tutto rigorosamente a colori puri e privi di decorazioni: che diamine, non esageriamo.
Tuttavia il linguaggio è diverso dal solito, c’è uno sforzo di dialogo tra la campagna e l’edificio, non c’è accondiscendenza al gusto di apparire per forza creativi e di stupire. I materiali non si leggono ma nell’articolo c’è scritto che il tetto è di lamiera ondulata. In fondo per una stalla o un fienile è accettabile.
Ourossuf è combattuto tra due sentimenti: poiché non è sciocco rileva gli aspetti positivi di questo cambiamento ma teme che si vada verso un periodo di scarsa creatività, esattamente ciò che invece io auspico.
Scrive Ourossof:
"Eppure, il progetto è anche un importante passo indietro nell’ambizione architettonica. E suggerisce la possibilità di un nuovo sviluppo preoccupante nel nostro tempo di insicurezza finanziaria. Si tratta di un conservatorismo strisciante - e di avversione al rischio - che lascia poco spazio per l'invenzione creativa”.
Se per rischio intende quello degli investitori posso capire, se invece intende quello di sbagliare il progetto e quindi di ripiegare verso soluzioni più contestualizzate, evviva la paura del rischio, perché viceversa c'è certezza, non rischio, di sbagliare.
Certamente in lui prevale il rimpianto per i ricchi e grassi progetti dei tempi d’oro:
“Ciò che è spaventoso è ciò che propone il progetto per il futuro. È questo tipo di riduzione di scala l'inizio di una tendenza? Herzog & de Meuron non è l'unico studio di architettura che è stato sottoposto a questo processo. Pochi giorni dopo aver visto il nuovo progetto Parrish, Rem Koolhaas mi ha detto che si trovava in una situazione simile per un condominio e per il design di una sala di proiezione a Manhattan”.
Bene, molto bene, chissà che anche da Koolhaas non si ricavi qualcosa di meglio del solito.
In fondo l’architettura si è sempre trovata a combattere con problemi economici e la penuria di denaro, se non è endemica, non può che acuire la sensibilità e costringere a pensare a ciò che è essenziale in un progetto. Herzog & de Meuron l’hanno fatto e sembra anche piuttosto bene.
10 settembre 2009
LA CRISI FA BENE ALL’ARCHITETTURA
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11 commenti:
Devo dire che $ 27.000.000,00 per quel capannone mi sembrano comunque esagerati. Nonostante la minore "estrosità" rispetto a ciò che eravamo stati abituati, non riesco a vedere una grande integrazione nel paesaggio. Magari con dei materiali e dei colori diversi, e con una (anche minima) articolazione dei volumi, gli architetti avrebbero potuto esprimersi un po' di più ed avrebbero potuto integrarsi maggiormente in quel contesto agricolo. A me sembra un progetto il cui unico interesse sia quello della parcella finale, mi viene davvero difficile di immaginare che possa esserci stato alcuno sforzo progettuale ed alcun piacere di disegnare qualcosa.
Mi sembra che l'equazione di Nicolai Ourossof, alti costi=buona architettura, e viceversa riduzione di scala=mancanza di invenzione creativa, sia alquanto banale e superficiale (se non stupida).
Herzog & de Meuron hanno clamorosamente dimostrato il contrario e, dati i tempi che corrono e se la posizione della critica moderna è quella di Ourossof, hanno messo in atto una delle loro provocazioni più riuscite e sorprendenti.
Vilma
Due commenti tra loro opposti!
Ettore, intanto va detto che le dimensioni in lunghezza dell'edificio principale è di quasi 200 metri, se ho convertito bene e a memoria pollici in metri, il che vuol dire che è un edificio molto grande. Considera che nella parte posteriore (o forse anteriore) ci sono volumi articolati che non dovrebbero essere piccoli, per cui è presumibile una superficie complessiva di mq 10.000 con un costo di 2.700 dollari a mq pari a 1.900 euro a mq. Non è poco ma non è dato sapere se questo sia il solo costo di costruzione oppure ci sia tutto. Se c'è tutto mi sembra una cifra ragionevole.
A parte il costo io non posso non registrare un atteggiamento diverso rispetto al passato e non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere con 80 milioni di dollari!
Non oso immaginare lo stesso progetto in mano a Ghery o alla Hadid. Questo edificio non farà scalpore perché, a suo modo, si presenta volutamente con una certa modestia, il computer è servito solo a fare il rendering e servirà solo a disegnare i progetti esecutivi, tornerà dunque ad essere "strumento" e non "produttore autonomo" di progetti.
Quanto ai materiali esterni, a parte la copertura, nulla si sa, ma si sa che il progetto da 80 milioni secondo Ouroussoff era tutto in cemento armato! Qui, almeno, sembra non esserci.
Io credo che, passando in auto dal lato lungo, nessuno si accorgerà che quel capannone è griffato, se le immagini sono veritiere. Ma, anche se non lo fossero, l'intenzione è quella e questo significa che, per ora, il vento è un po' cambiato. I timori del critico del NYT lo dimostrano.
Saluti
Pietro
caro Pietro,
sono d'accordo con te su tutto ciò che dici, però davvero è un edificio di un'anonimia raggelante. Per carità, non vorrei che si pensasse che preferirei un gesto alla Ghery, però almeno un minimo di sforzo per una sana costruzione di carattere rurale che cerchi di inserirsi nel paesaggio non sarebbe male ... e magari costerebbe meno ... e forse si configurerebbe come quella provacazione che vorrebbe vedere Vilma.
La provocazione sta proprio nel contrasto tra l'anonimato dell'involucro e la raffinatezza del contenuto, nella decontestualizzazione concettuale della struttura 'rurale' rispetto alla funzione culturale. L'effetto straniante deriva proprio dal fatto che l'edificio non sembra né vuol sembrare "una sana costruzione di carattere rurale che cerchi di inserirsi nel paesaggio", ma qualcosa di anomalo che, pur riprendendo gli stilemi del capannone rurale, riesce ad apparire, anche ad una prima occhiata da lontano, come qualcosa di 'diverso'.
Ed infatti è un museo.
Vilma
Cara Vilma,
mi dispiace dover dissentire, ma per me è ora di dire basta alle pseudo spiegazioni di ciò che non ha nè alcun valore, nè un significato ... questo edificio merita lo stesso commento di Fantozzi sul "capolavoro del maestro Sergei Eisenstein La Corazzata Potemkin"
Caro Ettore Maria, io non mi identifico in Fantozzi, tu, evidentemente, sì.
Contento tu .......
Vilma
Cara Vilma,
io non mi identifico con Fantozzi, semmai ritengo che che Paolo Villaggio, nel suo impersonare il "povero ignorante" appartenente al mondo degli sfigati, sia riuscito magistralmente ad esprimere ciò che la gente comune pensa di determinate opere che alcuni pseudointellettuali giudicano capolavori. Se non ti piace il riferimento a Fantozzi, allora possiamo fare quello della "sora Ersilia" alla Biennale di Venezia in "le vacanze intelligenti" di Alberto Sordi, o sempre nello stesso film, il giudizio di Alberto Sordi sulla casa modernista che, al ritorno da quel viaggio gli fanno trovare i figli, oppure ancora il gesto di Leonardo Pieraccioni nei confronti del pittore astrattista lungo i canali di Venezia, oppure, infine, le migliaia di messaggi simili che ci vengono da tantissimi altri film. Spesso e volentieri, infatti, gli autori cinematografici inviano a noi architetti, e a molti "artisti" contemporanei, dei messaggi fortissimi circa il pensiero che i "comuni mortali" hanno del nostro operato ... perché non iniziare a raccogliere questi preziosi suggerimenti, piuttosto che cercare delle parole contorte per dare un significato a ciò che non ne ha alcuno? Capisco che nella società consumista, con la mercificazione delle opere, d'arte e perfino delle architetture, quello che ha detto Bonito Oliva è verissimo: "critici si nasce, artisti si diventa", tuttavia sarebbe il caso di invertire questa frase e tornare ad esprimersi come di dovere. So che da "critica" non accetterai mai questo pensiero, sarebbe come rinnegare il tuo lavoro, però sappi che tante persone sono stufe di sentirsi trattare come una massa ignorante che ha bisogno delle spiegazioni di un critico per comprendere l'eventuale bellezza di un opera. Tornando alle citazioni cinematografiche, una delle mie preferite è quella del film "compagni di scuola", quando un disperato Christian De Sica cerca di vendere un quadro abominevole al suo amico, ricco e ignorante, dicendogli: "un quadro come questo in salotto te risolve na serata"; l'apoteosi si ha quando l'ignorante gli risponde in maniera colorita con una domanda circa il possibile sapore delle nostre deiezioni. Ti prego di rifletterci su, perché non può essere un caso se ci sono miagliaia di messaggi come questi in tantissimi film
E' un discorso "un po' così" quello di Oruseff (mi incasino sempre a scrivere il suo nome).
Bisogna dire una cosa: l'architettura (con la A maiuscola, per intenderci), anche in passato, è costosa.
L'architettura, anche in passato, ha rappresentato la potenza.
Possiamo immaginare una architettura romana senza il suo impero? Possiamo immaginare Venezia senza la potenza della sua repubblica? ecc. ecc.
E spesso questo gioco è anche vano, come la potenza umana e gli Imperi.
Ora, la architettura oggi ha un po' l'ambiguità di dover rappresentare la democrazia. Il fatto se l'architettura possa essere democratica, rappresentare la democrazia e come, non è una questione da poco.
Può anche darsi che una architettura perfettamente democratica non sia una una architettura con la "a maiuscola", ma qualcosa di più pratico, di meno permanente, di più effimero, di "usa e getta".
Resto comunque convinto che Herzog e de Meuron sono fra i migliori in circolazione da15 anni a questa parte: la loro bravura si manifesta nella capacità di trattare le superfici in modo inconsueto ... e il trattamento della superficie, nella architettura "moderna", è moltissimo, data l'inibizione alla decorazione. Certo, un approccio costoso, ma H.e DM. sanno anche adattarsi a soluzioni meno costose, come mi pare questo esempio confermi (anche se per giudicare davvero un edificio, bisognerebbe vederlo dal vivo, come al solito).
Che ti devo dire, Ettore, sono recidiva, non mi identifico neppure nella signora Ersilia, neanche in Pieraccioni, sarà che sono pseudointellettuale …… e sono pure pseudocritica, infatti fare la ‘critica’ non è né è mai stato il mio ‘lavoro’, non devo difendere né poltrone né stipendi, sono dilettante ed autodidatta, nella vita vera sono, faccio ed ho sempre fatto l’architetto, mi sono avvicinata all’arte moderna sia perché mi piace sia perché mi sembra una formidabile chiave di lettura del mondo in cui viviamo.
E poi, secondo me, più che gli pseudointellettuali sono assai più pericolosi gli pseudopopulisti (come te) che decidono com’è la ‘gente comune’, quella alla quale bisogna dare “Panem et circenses”, film di Alberto Sordi e libri di Fantozzi ….
Hai visto mai che, magari, a trattarli da persone intelligenti, si scopre che lo sono davvero?
Sul fatto che il cinema invii migliaia di messaggi si dovrebbe aprire una amplissima parentesi - "Apriamo una parente", direbbe il grande Totò (Toto', Peppino e la malafemmina) - ed andremmo sicuramente off topic.
Mi scuso con Pietro per aver monopolizzato il suo blog con discussioni un pò troppo personali e prometto che in futuro eviterò di farlo.
Vilma
Nessuna scusa, Vilma. Io, da persona saggia quale sono inopinatamente diventato, mi guardo bene dall'inserirmi in questioni che riguardano le sensibilità degli altri e che, da grande paraculo quale sono sempre stato, rispetto.
Ribadisco solo che in questo progetto vedo una lontana e forzosa speranza di umanizzazione delle archistar, tra le quali Herzog e de Meuron, come dice Guido Aragona, alias biz, si distinguono nettamente per avere in più occasioni dimostrato di sforzarsi di tenere in conto dei luoghi e di non proporre il loro marchio sempre uguale a se stesso e ovunque. Vedi, ad esempio, lo stadio di Pechino dove, a parte la retorica e l'enfasi strutturale declamata nei testi, che invece non ha niente di nuovo, essendo una normale struttura con pilastri e travi, anche se confuse in mezzo ad altre che svolgono una funzione meramente estetica e architettonica, non si può non dire che sia "cinese".
saluti
Pietro
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