Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


13 luglio 2009

INSUFFICIENZA DELLA DISCIPLINARITA' DELL'ARCHITETTO

Un altro brano tratto da "Il progetto nell’edilizia di base" di G.Caniggia e P.L. Maffei, 1984, che condensa temi diversi e attuali quali la crisi dell’urbanistica, l’egemonia culturale di un’idea dell’architettura dell’"io" e del "mio" fuori da ogni logica disciplinare e che fornisce una risposta non complottista o dietrologica al pensiero unico dominante che oscura ogni altra forma di pensiero che si basi sulla lettura del processo di crescita della città, il meccanismo “imitativo” dei maestri imposto nelle scuole che la dice lunga su quale sia il vero “falso” in architettura, la denuncia della volubilità modaiola della critica di architettura, l’irrazionalità di un’urbanistica basata su discipline diverse che fallisce nel momento in cui deve trasporre dati numerici nella realtà del piano, il richiamo alla disciplina contro un’architettura che attinge ovunque ma che è incapace di riversare nel progetto alcun contenuto che non sia frutto di personalismi.
Brani che non rendono giustizia ad un corpo disciplinare fortemente strutturato che può essere apprezzato e valorizzato solo dallo studio complessivo ed in sequenza logica e temporale dei due testi(1) i quali richiedono un atteggiamento culturale non effimero ma disposto a riconsiderare e rimettere in discussione gran parte di quanto appreso “nei banchi di scuola” e quanto ci viene quotidianamente propinato e spacciato dai media e dalla vulgata corrente tra gli architetti di un’urbanistica e un’architettura figlie ed espressioni di invenzioni artistiche individuali. E non gli rende giustizia nemmeno l’uso polemico che io ne faccio dato che il testo completo non ha certo le caratteristiche del pamphlet.


Gli economisti partono da dati e da indagini economiche per arrivare alla formulazione di proposte riguardanti l’economia; come i sociologi partono da dati e indagini sociologiche per giungere a rimedi dei disagi permanenti alla società. L’architetto della crisi presume di utilizzare dati propri di discipline diverse dalla sua (economia, sociologia, ma anche psicologia o magari arti figurative, ecc) e pretende di riversare tali dati nel fare che gli è proprio, in progetti e piani: ottenendo in realtà uno iato tra dati e progetti, tra dati e piano. Iato che colma, o crede di colmare, con un personalistico intervento di invenzione non suffragata da alcun dato specifico. Nella pratica l’architetto parte dal riversare in indici, in dati numerico-statistici una realtà che contiene effettivamente tali dati, ma aggregati non numericamente, bensì a configurare organismi reali, case, strade, campi coltivati ecc.: tutti organismi che perdono appunto la loro natura di “organismi” una volta trasferiti in dati numerico-statistici.
Basta ad esempio notare la progressiva indicizzazione dei dati fisico-organici dai “regolamenti edilizi”: già dall’Ottocento e nella prima metà del nostro secolo basati sulla limitazione della mera consistenza metrica degli edifici, ed ora ulteriormente astraenti nel delimitare quantità di edilizia attraverso indici metrici e “standard” quantitativi.

Quindi la pratica della pianificazione è fondata sulla traduzione del reale in indici numerici, solo in parte desunti dal costruito ed in parte preponderante derivanti dalle altre logiche disciplinari non proprie né rappresentative del costruito stesso; e sulla nuova proposizione di indici numerici, costituenti il “piano”, ma ancora estranei alla qualità del futuro assetto da questo previsto, indicando piuttosto le quantità futuribili. E’ il passo ulteriore che trova l’architetto sguarnito di strumentazione specifica: il momento in cui le proposte di quantità giudicate compatibili con un nuovo assetto si devono ritramutare in un nuovo reale costruibile, fatto di case, strade, ecc. e non di mere quantità. Ed è in questo trapasso che si rivela la insufficienza di una disciplinarità dell’architetto, che si trova ad intervenire con il solo suo personale corredo di opinioni, con il suo solipsismo architettonico, con la storia personale del “suo” progettare.
Sulla scorta di esperienze, sue e di altri, condizionate da una dialettica del “fare architettura” imitativamente, su modelli di “maestri” riconosciuti internazionalmente, su dettami di circoli elitari, di correnti, di –ismi, di scuole, al di fuori di ogni coerente rapporto con la continuità civile del costruire, e soprattutto con l’incertezza del fare data dalla pletora di modelli reciprocamente oppositivi che gli pervengono dai mass-media della “cultura” e della critica architettonica del momento. (omissis)

Così l’architetto diviene strumento e protagonista della crisi, contribuendo pesantemente a provocare un nuovo assetto condannato a priori ad un minimo rendimento per la radicale opponibilità tra strutturazione esistente ed inserimento da lui proposto: opponibilità che è un insieme di risultato, ossia tra costruito vecchio e nuovo, e di metodo, ossia tra la strumentazione che ha provocato il costruito vecchio e la strumentazione che provoca il nuovo assetto.


Nota (1):
Lettura dell'edilizia di base, 1979
Il progetto nell'edilizia di base, 1984

34 commenti:

Anonimo ha detto...

Due parole su un post che meriterebbe lunghe pagine.
Pietro, le considerazioni che proponi sono senz’altro condivisibili e senz’altro datate (una trentina d’anni oggi sono un’eternità). Credo che neanche G.Caniggia e P.L. Maffei, pur nella loro illuminata analisi, prevedessero lo sviluppo sociale, demografico e soprattutto tecnologico che la comunità umana ha in parte subìto negli ultimi vent’anni. I numeri, per quanto aridi ed anti-umanistici, sono una chiave di lettura generale e necessaria per contenere ed organizzare il sapere umano, specie oggi. Faccio un esempio banale: in medicina il metodo statistico è tutto, pieno di falle e di tranelli, ma fondamentale per dettare grandi linee di protocollo. Oggi si cerca di recuperare l’aspetto umano di questa scienza, si parla di terapie personalizzate, di pazienti come soggetti individuali, ognuno diverso dall’altro, ma nel frattempo, per necessità, all’insegna del ‘meglio che niente’, la statistica ci dice se un farmaco è efficace sulla base del numero di persone che ne hanno tratto beneficio. I numeri dei regolamenti edilizi hanno permesso un controllo, seppure grossolano sempre ‘meglio che niente’, se non sulla qualità dell’architettura, almeno sul fatto che i locali abbiano opportuna aerazione e che, statisticamente, una persona fisica abbia a disposizione un tot di mq di spazio sia abitativo che accessorio (i famigerati standard, grazie ai quali, comunque, parecchi quartieri disgraziati hanno avuto parchi e strutture sportive, meglio che niente).
Ben prima di Caniggia lo spazio costruito è sempre stato, quand’anche inconsapevolmente, paradigma di una struttura sociale ed oggi la nostra società è talmente complessa rispetto alla data del 1984 che è ormai indispensabile utilizzare “economia, sociologia, ma anche psicologia o magari arti figurative, ecc” per capire la realtà multiculturale, multietnica, interdisciplinare, transnazionale ecc. entro la quale progettare “un’urbanistica basata su discipline diverse”. Fra l’altro, oggi non è neanche vero che gli economisti guardano solo all’economia, i sociologi alla sociologia ecc. (le oscillazioni della borsa sono il perfetto esempio di quando la psicologia collettiva influenzi i mercati mischiandosi a economia e finanza).
Diviso tra “la storia personale del “suo” progettare” ed il “fare architettura” imitativamente” (non va bene né l’uno né l’altro, dicono gli autori) l’architetto di oggi è incapace di “ritramutare in un nuovo reale costruibile” i famigerati numeri in grado di sostenere solo “proposte di quantità”. Eppure proprio la quantità si va affermando sempre più come, se non qualità, almeno caratteristica del gesto architettonico (“La Bigness è il punto in cui l’architettura diventa insieme massimamente e minimamente "architettonica" , “schiera la generosità dell’urbanistica contro la grettezza dell’architettura.”)
Bisognerebbe definire il significato di ‘qualità architettonica’ oggi, magari ricordando un brano della retrocopertina di un libro di Rem Koolhaas, centrato sul rapporto storia-identità, che recita: “L’identità concepita come questo modo di condividere il passato è un’affermazione perdente: non solo in un modello stabile di continua espansione demografica c’è proporzionalmente sempre meno da condividere, ma la storia stessa possiede una emivita: più se ne abusa meno si fa significativa ……”.
Questo è il nostro presente, banalmente e cinicamente, e viene da pensare con un certo rimpianto ai cattivi maestri ……… in mancanza di meglio, ovviamente, e meglio che niente.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Questo commento supera il limite max di caratteri. Per questo lo devo dividere in due parti.
Parte prima
Vilma, se ho ben capito, mi dici, con molta classe, che sono….un vecchio rimbambito! Vediamo di smontare questo giudizio, anche se non sarà facilissimo. Quali sarebbero i fatti nuovi e sconvolgenti avvenuti dal 1984 ad oggi tali da rendere l’analisi dei nostri Caniggia e Maffei ben più vecchia dei suoi 25 anni (l’età esatta di mio figlio più grande, oggi considerato dall’opinione comune un ragazzo)? Lo sviluppo tecnologico e il fenomeno dell’immigrazione, mi sembra di capire. Potrei aggiungerci anche la globalizzazione economica e quella culturale. La memoria non è mai stata il mio forte però ricordo bene che quando cadde l’impero sovietico (prendiamo come data simbolo il 1989, caduta del muro di Berlino) si fecero molte analisi sulle cause: il papa polacco, Gorbaciov, la corsa al riarmo voluta da Reagan che sfiancò l’esausta economia sovietica, ed altre ancora tra cui una mi sembrò significativa: Internet, cioè l’informazione per tutti che rese possibile il confronto tra due mondi. Dunque il 1984 non è proprio la preistoria anche se è innegabile che in 25 anni c’è stata una grande modificazione nelle abitudini e negli stili di vita nel mondo occidentale e anche in molti paesi di quello che veniva chiamato terzo mondo e che ora siedono al tavolo di uno dei tanti G8, 14, 20, ecc. Soprattutto mi sembra che sia cambiata la percezione dello spazio, non tanto in termini fisici quanto nella consapevolezza di appartenere tutti ad un unico mondo interconnesso in cui necessariamente le distanze (mentali) sembrano ridursi. E’ chiaro che la crisi economica in atto ha contribuito molto a rendere palpabile ciò che prima era forse solo intuibile grazie alla rete alla portata dei più.
Ma tutto ciò come si riversa o si dovrebbe o potrebbe riversarsi nel progetto urbano, nel disegno della città, nella forma fisica dello spazio antropico? Qui avviene la divisione tra chi, come me, crede che l’uomo non perda così facilmente le sue caratteristiche biologiche che lo tengono ancorato saldamente alla realtà, allo spazio fisico e alla natura e chi invece tende a considerare l’uomo come un essere astratto dotato di solo cervello e in specie, immagino diresti te, della parte corticale, quella più evoluta, più giovane e più propriamente umana. Nel primo caso, il mio, l’uomo non necessita di grandi novità sostanziali nel proprio ambiente, dato che i sensi sono sempre cinque e gli stimoli che inviano al cervello provocano reazioni abbastanza costanti e comuni. Diciamo, banalizzando, che tra natura e cultura, tra pancia e cervello io credo che l’uomo reagisca all’ambiente naturale e antropico più con i primi termini delle due coppie che con i secondi. La cultura conta moltissimo, ma in quei soggetti che per studi o professione o passione personale tendono a razionalizzare o meglio a intellettualizzare l’ambiente legandolo a fattori legati a questa attitudine. Naturalmente esiste una vasta gamma di gradazioni intermedie tra i casi limite, difficilmente classificabile. Ad esempio la bellezza di una cattedrale gotica viene percepita da tutti, colti e incolti: nei primi prevarrà uno stimolo spontaneo che fa apprezzare inconsapevolmente la complessità e la ricchezza dell’opera nel suo insieme e nel dettaglio e nel fatto che tra insieme e dettagli non c’è sostanziale differenza e viene vista come un’opera unitaria: i secondi potranno apprezzarne anche i significati profondi di ogni scultura e decorazione legandole alla simbologia religiosa o mitica di riferimento, o le caratteristiche costruttive evolutive rispetto all’architettura precedente. Ma restare al gotico è troppo semplice; prendiamo invece un volume puro, soffitto e pareti bianche, pavimento uniforme grigio, vetrata a tutta parete, divano nero (o bianco), quadro astratto appeso, panorama metropolitano: i primi o si sentono male o si trattengono perché sanno che è di moda e lo accettano, i secondi apprezzeranno l’opera inquadrandola, cerebralmente, in un filone culturale.

Pietro Pagliardini ha detto...

Seconda parte
Questo per quanto riguarda l’architettura ma per l’urbanistica è esattamente la stessa cosa. Escludendo gli aspetti funzionali, su cui è meglio soprassedere per carità di patria (dato che non c’è problema creato dalla modernità che sia stato risolto dall’urbanistica della modernità se non con divieti del tipo le zone blu che altro non sono che un ritorno inconscio all’antico), l’uomo vive bene in spazi che contribuiscono alle relazioni tra gli uomini, essendo l’uomo animale sociale che, non a caso, si è riunito nelle città dove può esprimere al meglio le sue grandi capacità. Oggi troviamo questi spazi di relazione solo nei luoghi del consumo (che sia consumo di beni materiali o immateriali, quali spettacoli ed eventi non cambia molto) ma è una forma completamente artificiale e in ogni modo obbligata da un’urbanistica del potere economico che non consente altre scelte.
Da quanto sopra detto sembra dunque che io abbia una visione statica ed immutabile della società.
Invece a me sembra sempre uguale ed immutabile nel tempo, da ben prima del 1984 fino ad oggi, e impermeabile ai cambiamenti l’atteggiamento culturale proprio degli architetti, specie di quelli che si dedicano con grave pregiudizio dell’altrui salute all’urbanistica. Applicano sempre lo stesso modello urbano, cambiando solo la veste grafica, ad ogni luogo e in ogni tempo. Le norme numeriche esistono da lungo tempo, almeno dall’ottocento, quando però davano risposte ad un fenomeno nuovo e sconosciuto come l’industrializzazione e l’inurbamento, ed era perciò necessario il risanamento igienico di suburbi e di abitazioni sovraffollate. Non è cambiato niente da allora ad oggi: si continua con norme numeriche e quantitative che hanno mostrato tutta la loro inutilità ad offrire un ambiente sano per la mente. Non che i numeri non siano necessari ma mai nessuno, salvo pochi, che accompagni ai numeri norme tipologiche e morfologiche, che dovrebbero appartenere al bagaglio culturale dell’architetto. Invece niente, norme e piani che potrebbero essere redatte da qualsivoglia figura professionale: uno statistico, un economista, un sociologo, un informatico, un avvocato 8che le scriverebbe almeno in maniera più corretta).
Gli architetti sono ormai un elemento di conservazione, immobili nell’applicazione degli stessi metodi da decenni cui credono di dare risposte moderne abbarbicandosi a nuovi feticci nominalistici quali la sostenibilità ambientale. Ma come può essere sostenibile una città che fa vivere male le persone? Che le costringe a vivere in edifici verticali o orizzontali senza possibili contatti umani e quando scendono in strada non trovano la strada ma un’auto su cui montare per andare a vedere un po’ di gente al centro commerciale o nel centro storico?
Dunque cos’è cambiato dal 1984 ad oggi? Non vorremo credere davvero che face book escluda il rapporto umano tra le persone? Semmai è solo un’opportunità in più offerta dalla tecnologia, ma cosa deve cambiare nella città e nell’abitazione a causa di facebook?
In questo momento io sono nel divano di casa mia, ho un net book sulle gambe, con il wireless scrivo senza fili in giro, mia figlia era qui con me fino a dieci minuti fa che guardava in TV M. Jackson e adesso è andata in camera sua a dormire: cosa cambierebbe per queste funzioni se la mia abitazione fosse del 1700 o del 2001? Niente, se non che alzando gli occhi vedrei un soffitto bianco e troppo basso senza niente di naturale invece di un solaio a travi di legno e pianelle di laterizio, del tutto naturale.
Domande retoriche:
• Da che parte sta la sostenibilità ambientale?
• La vera modernità è nella tastiera del mio net book che mi permette di risponderti o nel soffitto bianco di casa mia?
• Perché deve esserci coerenza formale tra il mio net book e il soffitto e l’arredamento?
Ciao
Piero

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, rileggendo ho trovato un errore macroscopirco nella prima parte: quando parlo della cattedra gotica scrivo "i primi" e dal testo risultano "i colti".
L'ordine deve essere letto invertito.
Scusa
Piero

Maurizio Arturo ha detto...

Mi intrometto :P

Deve esserci corrispondenza formale tra il tuo net book, il tuo soffitto e il tuo arredamento perchè: (cito testualmente) "[...]prevarrà uno stimolo spontaneo che fa apprezzare inconsapevolmente la complessità (semplicità ndr) e la ricchezza (potenza ndr) dell’opera nel suo insieme e nel dettaglio e nel fatto che tra insieme e dettagli non c’è sostanziale differenza e viene vista come un’opera unitaria.

Pietro Pagliardini ha detto...

Paragone del tutto incongruo Maurizio: l'unità è all'interno dell'opera e nulla c'entrano oggetti d'uso. Se così fosse, per assurdo e tanto per divertimento, in un edificio antico dovremmo mettere lavatrici...antiche oppure...demolire l'edificio. O, ancora, niente luce elettrica a Palazzo Vecchio, solo candele e, ovvio, niente telefoni e ascensori.
Non giochiamo con le parole perché non serve. Vecchio sostiene tranquillamente la corrente elettrica, i telefoni, l'ascensore (con un pò di fatica)il riscaldamento e quant'altro. Insomma, la modernità.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

E coprire tutti gli edifici pubblici, anche quelli antichi come per esempio Palazzo Vecchio, di pannelli solari per inquinare meno? Questo si può fare? E' equiparabile a bucare i muri (storici) del Vecchio per distribuire l'elettricità o il riscaldamento o le reti?

Pietro Pagliardini ha detto...

No Master, non si può fare. Ma sarebbe bene non esagerare neanche negli edifici nuovi.
Saluti
Pietro

biz ha detto...

Dato una occhiata anche alla obiezione di Vilma.
Il fatto è che tutti questi numeri, su cui si basa l'urbanistica contemporanea, non riguardano l'architettura della città, ma semplicemente regolano lo "scambio economico" nelle trasformazioni urbane.
Mentre le analisi e i numeri nella medicina contemporanea, credo, riguardano la cura del malato, non la regolazione dei fattori economici attorno alla sua cura.
Quindi il paragone non è calzante

Pietro Pagliardini ha detto...

Giusta osservazione biz. Aggiungerei che i numeri regolano lo "scambio politico". In ogni caso sono un fattore di potere. Ma il vero problema è che i numeri, intendendosi con questo anche astruserie interpretative del tutto astratte e assolutamente indipendenti da elementi architettonici, non hanno appunto alcuna attinenza con i tipi edilizi o la forma urbana, cioè con la realtà, anche se in effetti producono assurdi tipi edilizi che potremmo definire come un progetto delle norme. E producono anche tessuti urbani che, a causa delle distanze, degli indici, degli standard, delle misure del Codice della strada, ecc. di urbano non hanno proprio niente.
Ma, come dicono Caniggia e Maffei nel medesimo libro, il progetto si fa in tanti modi, anche imponendo numeri, e i risultati si vedono.
Dunque norme sì, ma tipologiche e morfologiche, per poter prevedere almeno l'esito finale, dato che il progetto è, in fondo, solo una previsione di ciò che sarà.
ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Biz, sei sicuro che i numeri nella medicina contemporanea riguardino la cura del malato, non la regolazione dei fattori economici attorno alla sua cura?
Sai che in autunno ci vaccineranno tutti contro una influenza-bufala che ha fatto danni nel mondo quanto il banale raffreddore, solo sulla base di numeri, non so quanto veritieri, che permetteranno all'industria farmaceutica di arricchirsi sulle nostre paure e sulla connivenza del potere politico (in questo caso sanitario)?
Il guaio è che a volte i numeri la raccontano giusta, a volte no, nel dubbio, via alla vaccinazione di massa ........
Purtroppo i numeri si prestano facilmente alla manipolazione, così come la statistica (ricordo sempre un mio amico psicologo che mi raccontò di un caso in cui, rilevato che quasi tutti gli assassini erano stati allattati dalla madre, si concluse che il latte materno predisponeva all'omicidio).
Tuttavia i numeri presi in sé stessi e valutati correttamente forniscono dati apparentemente oggettivi, per questo sono la base di molte discipline, compresa l'urbanistica e la medicina, li ho citati per questo motivo.
ciao
Vilma

Master ha detto...

Scusa ma perchè non possiamo mettere i pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici pubblici (storici o no)?
- Riduciamo l'inquinamento da riscaldamento a caldaia.
- Produciamo energia pulita
- Riduciamo la spesa pubblica

I muri di palazzo Vecchio sono pure percorsi di cavi elettrici ...

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, non vorrei aprire un capitolo nuovo e diverso ma ti rispondo:
non riduciamo certamente la spesa pubblica perchè il fotovoltaico, come tutte le energie alternative, pubbliche o private, si sostengono sui contributi pubblici, cioè il famoso conto energia. Senza contributi nessuno le potrebbe utilizzare. Cerchiamo di smitizzare i luoghi comuni delle energie alternative che mi sembrano diventate una religione.
Che l'energia sia pulita non c'è alcun dubbio, però solo dal momento in cui che i pannelli sono stati prodotti e installati; vorrei però conoscere il bilancio energetico complessivo, cioè vorrei sapere se l'energia necessaria per produrli e trasportarli, che non è poca, viene almeno riprodotta in quantità un pò superiore durante la vita del pannello. A occhio e croce direi di no, visto che sono necessari i contributi.
Insomma, gira e rigira, se non tornano i conti economici vuol dire che ancora è più conveniente il petrolio e il fotovoltaico, ad oggi, non è la soluzione.
Quanto al riscaldamento globale da azione antropica, sorry, ma non credo sia dimostrata. Ricordo che la Groenlandia si chiama così perchè un tempo era verde. Ricordo anche che in Scozia nel medioevo si coltivava la vite.
Non capisco poi, anche se il fotovoltaico fosse così alternativo e conveniente, perché dovrebbero essere messi sui tetti degli edifici storici a distruggere la visione della città, se non per motivi chiaramente religiosi e di culto. Immagino tu penserai che sono un segno di modernità ma questo dimostra appunto il culto, la fede, la religione perchè in realtà sono solo brutti e, per fortuna, molte amministrazioni le vietano.
Saluti
Pietro

Biz ha detto...

Master, non escludo certo che esistano interessi extra-medici nella medicina.
Ma sono extradisplinari: cioè sono finalizzati ad uno scopo che è alieno alla cura del malato.
Ora, l'accusa all'urbanistica attuale è proprio quella: le sue pratiche sono finalizzate alla gestione politica economica della merce territoriale ed edilizia.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la "arte di costruire le città" (che rientra al massimo come elemento di "marketing").

Pietro Pagliardini ha detto...

Scusa biz, ma l'obiezione sulla medicina era di Vilma e non di Master.
Pietro

biz ha detto...

Chiedo perdono ... in questi giorni il lavoro mi ciuccia la quasi totalità delle cellule cerebrali :-)

Master ha detto...

Sull'utilità e l'efficienza del fotovoltaico ci sarebbe da parlare parecchio e presto magari scriverò un articolo sul mio blog. Quello che chiedevo è: se si dimostrasse una efficienza oggettiva del fotovoltaico, magari anche più evoluto di quello in commercio oggi sarebbe utile una diffusione massiccia di queste tecnologie?
Gli edifici storici in Italia e in Europa sono una grossa percentuale e praticamente tutti sono oggi dotati di reti elettriche e di riscaldamento, pena l'inutilizzabilità (e tanti sono edifici pubblici o abitazioni dove le reti di servizi sono necessarie). Se ci siamo spinti a modificarne la dotazione di servizi perchè dovremmo fermarci di fronte all'installazione del fotovoltaico?
L'idea che un edificio è immutabile in eterno è utopia e la storia lo dimostra. E' una "moda" della conservazione a tutti i costi che è nata in questi decenni, forse anche spinta dalle devastazioni e dalle distruzioni dell'ultima guerra mondiale, ma come tutte le mode lascia il tempo che trova, la realtà dei fatti è ben diversa.
Cercare di rendere efficiente un edificio, anche storico, dotandolo di tutto la tecnologia utile che può renderlo capace di soddisfare le esigenze dell'utenza a cui è destinato mi sembra logico e intelòligente.
Altrimenti togliamo gli ascensori, gli impianti elettrici, idraulici, telefonici, l'illuminazione, i condizionatori (tanto utili al mantenimento delle opere d'arte di cui spesso questi edifici sono pieni) e li trasformiamo in edifici morti, non più utili a nessuna funzione umana.
Scusa per la deviazione dall'argomento dell'articolo.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, per ironia della sorte proprio ora è apparso sotto questo post un banner pubblicitario dell'energia solare (devo avere sbagliato a colloccare qualcosa nel layout). Scherzi a parte, il tuo ragionamento dimostra, secondo me, che tu ragioni in termini di "architettura" e basta. Mi spiego: poniamo l'ipotesi (forse in futuro più realistica) di una grande efficienza energetica del fotovoltaico: per quale motivo la produzione di elettricità deve essere legata all'abitazione e, addirittura, agli edifici storici? E' semplicimente ridicolo in un condominio costringere, come fa la legge, a mettere i pannelli sul tetto. L'energia è un bilancio globale e non dei singoli dunque possono essere fatti campi solari di tipo condominiale o di società cui i singoli, se vogliono possono aderire con quote. Luogo di produzione e luogo di consumo possono e devono essere separati.
Purtroppo questa mentalità ideologica dell'autosufficienza è diffusa e confonde ogni cosa. Esistono luoghi degradati che possono accogliere le centrali solari invece che andare a degradare il paesaggio urbano o quello naturale di pregio.
Vedi, anche il banner è venuto a mettersi nel luogo sbagliato: bisogna che lo delocalizzi.
Ciao
Pietro

LineadiZelig ha detto...

Se un fisico s’inventa studioso di urbanistica nel tempo libero… produce delle teorie scientifiche.

Se un buon libro parla di città… diventa la prova provata che “le regole esistono”.

Se serve citare una langonata per dimostrare qualche strafalcione architettonico… la si cita, ovvio.


Alla faccia dei maggiori centri ricerca al mondo si può dire:

“il riscaldamento globale da azione antropica, sorry, non credo sia dimostrata”.


Scusatemi, adesso c’ho da fare… vorrei riuscire a dimostrare che Antonio De Curtis, in arte Totò, è fratello minore di Charles-Edouard Jeanneret, in arte Le corbusier.

Pietro Pagliardini ha detto...

caro Robert, i maggiori centri di ricerca del mondo, come li chiami tu, è l'IPPC, che è legato all'ONU e che, insiema da Al Gore ha vinto il premio Nobel. Ora se tu non lo sapessi, non tutti gli scienziati di quell'istituto sono d'accordo su quanto categoricamente e ideologicamente affermato da Al Gore. Ti informo poi che esistono le lobbies ambientaliste le quali hanno tutto l'interesse a sponsarizzare questa idea.
Anche in Italia esistono scienziati i quali dicono che non esiste prova dell'effetto antropico. Tra questi, ad esempio, il fratello di Romano Prodi.
Ma se vuoi documentarti non dalle solite fonti vai nel sito dell' IBL di cui ho il link a destra a fondo colonna. Se poi ti piace credere che la Groenlandia si chiami così per caso, va bene lo stesso.
Quest'anno, ad esempio, è stato piuttosto freddo e piovoso. Io preferisco il caldo, così spendo meno di metano.
Saluti
Pietro

LineadiSenso ha detto...

forse non mi sono spiegato.

il mio commento non riguardava l'ambiente ma il fatto che spesso e volentieri attraverso il tuo blog leggo di strafalcioni culturali ai quali cerchi di dare verità e fondamenti scientifici mentre visioni ben più serie e ben argomentate dal punto vista della scienza tu me le liquidi con un sorry...
francamente sorvolerei sulla faziosità e partigianeria del tuo blog e passerei direttamente alla categoria "confusione".

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

"il mio commento non riguardava l'ambiente ma il fatto che spesso e volentieri attraverso il tuo blog leggo di strafalcioni culturali....".

Sullo "spesso e volentieri" tralascio perché è un modo un pò cialtrone di screditare gli altri e non so a cosa ti riferisca. Sull'ambiente invece vorrei rimandare al mittente la "confusione" speigando che: rispondo a Master sull'ambiente (non sugli asini che volano) e contesto l'azione antropica come causa del riscaldamento globale. Tu mi citi i "maggiori centri di ricerca" (di cos'altro, se non dell'ambiente?), io ti rispondo su questi e ti cito due esempi stranoti ma che tutti fanno finta di non sapere (Groenlandia e vite in Scozia) e tu......mi dici che non ti riferivi all'ambiente!!!!!
E mi accusi di essere confuso!!!!
Totò diceva: ma mi facci il piacere, mi facci!!!!
Saluti
Pietro

Master ha detto...

La produzione di energia elettrica in maniera estensiva è oggi affidata all'eolico (vedi Spagna che ha riempito molte colline della Mancha con mulini eolici, da noi andrebbero bene in Toscana ...) mentre per il fotovoltaico la delocalizzazione puntuale su edifici abitativi e pubblici si è dimostrata molto efficiente (non credo sia solo pubblicità visto che gli studi e le ricerche che vengono da diversi anni mostrati alle varie fiere del settore sono fatte da istituti di ricerca internazionali di un certo livello).
Inoltre tu parli di degrado ma io personalmente vedrei bene i "tetti blu" al posto di tanti tetti malconci e ammuffiti di tegole. Ma qui si va sui gusti personali visto che i tetti spesso non si vedono quando si gira una città e quindi parlare di degrado mi sembra forzato.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, non so dove tu abiti, ma in ogni zona collinare o montuosa italiana, cioè la stragrande maggioranza del paese, è strapieno di città (Siena ad esempio) e borghi di cui si coglie l'immagine complessiva con i tetti. Che ne dici poi di Roma, dove basta salire su un colle (trascurando le terrazze) per avere una visione dei tetti?
Tetti malconci ammuffiti da tegole?
Quanto all'eolico, anch'esso valido grazie ai contributi, perchè non farlo su piattaforme marine, dove il vento non manca? Comunque in Toscana NO, GRAZIE.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

Ci siamo abituati a dei bellissimi paesini collinari con i tetti rossi, ci potremmo abituare anche a dei bellissimi paesini collinari con i tetti blu! A parte gli scherzi, forse non troppo, io parlavo di città di una certa dimensione dove ha anche senso parlare di fotovoltaico su edifici di una certa dimensione, i paesini arroccati non credo abbiano molto futuro visto la desertificazione di quei luoghi sperduti. A Roma starebbero bene a mio avviso i "tetti blu".
Per quanto riguarda l'eolico non so se hai visto le dimesioni dei mulini ma le piattaforme marine ne potrebbero contenere uno o due al massimo! Ti consiglio un viaggio nella Castiglia-La Mancha in spagna per vedere quanti ne hanno disseminati! Toscana e Sardegna sono secondo me due zone papabili per questo tipo di energia rinnovabile.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master davvero stento a comprendere la tua disinvoltura verso questi aspetti del paesaggio. Non posso trovare risposte ad un atteggiamento del genere.
In Spagna le ho viste le pale, come le ho viste in Olanda, in Germania e, purtroppo, anche in Italia. Ma già, che vuoi che sia il paesaggio.....conta niente e poi, se i tetti di Roma possono essere neri, le pale possono stare al posto degli alberi!!!!!!
Ma non sei anche te uno di quelli che parla sempre contro la speculazione?
Mi spiace, ma davvero non capisco.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

Speculazione? Qui si tratta di energie rinnovabili che, volenti o nolenti, sono il futuro della produzione energetica, visto che quelle non-rinnovabili prima o poi finiranno e non c'è una soluzione concreta ed economicamente fattibile al momento attuale. Io non sono certo un fan di Al Gore e neanche di tutti i catastrofisti che pubblicizzano scenari apocalittici, anzi, ma il problema energetico rimane e va risolto nel modo credo più intelligente, quello di fonti rinnovabili diffuse su tutto il pianeta e oggi i migliori sistemi sono le pale eoliche e il fotovoltaico.
Da sempre l'uomo modella il territorio per adeguarsi alle esigenze di una società in continua mutazione, è quello che ha sempre fatto e sempre farà anche perchè senza questo continuo adattamento non ci può essere progresso di nessun genere. Dalle ferrovie alle autostrade, dalle reti elettriche alle dighe e a tutte le grandi opere di ingegneria, si è sempre "adoperato" il territorio che abbiamo a disposizione per produrre qualcosa di utile, dall'agricoltura all'energia elettrica. Pensare che il territorio rimanga tale e quale nei secoli è un'utopia infantile e un po' nostalgica e purtroppo è abbastanza diffusa tra le associazioni di difesa ambientale che impediscono ogni intervento a prescindere.
Le colline della Mancha sono bellissime con i loro bianchi mulini a vento, non vedo dove stà lo scempio.
Bisogna convincersi che tutto muta nel tempo per adattarsi al meglio alle nuove esigenze. Una volta acquisita questa consapevolezza si capiscono molto meglio e si apprezzano di più tutti i cambiamenti.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, forse non c'intendiamo. Io non sono affatto contro il progresso e non considero il territorio immutabile. E non appartengo neanche ai fans del NIMBY, tant'è che vicino a casa mia c'è un termovalorizzatore (nome ipocrita per inceneritore) e non presi parte a suo tempo ai comitati "contro", convinto come sono che non si può andare avanti a discariche. Però di qui ad accettare tutto ovunque ce ne corre. Tanto più per tecnologie che, per quanto utili, possono portare solo apporti modesti rispetto ai bisogni reali della nostra società e non è detto affatto che siano la soluzione futura. Ti ripeto che non c'è relazione, o almeno c'è una relazione relativa, tra luoghi della produzione e luoghi del consumo dell'energia elettrica, tant'è che noi importiamo energia dalle centrali nucleari francesi! Quindi, potendo scegliere, andiamo a collocare i campi fotovoltaici nei posti dove si raggiunge la massima efficienza, cioè al sud. In Spagna la centrale fotovoltaica è appunto nel deserto al confine con l'Andalusia e ti dirò che, passandoci accanto, non si vede proprio.
Perché non salvaguardare il paesaggio urbano e naturale il più possibile? Solo una presa di posizione ideologica spinge gli architetti ad accettare tutto in nome della modernità, perché vi è chi crede, nella crisi profonda dell'architettura, di aver trovato nelle energie alternative un filone progettuale capace di generare nuove forme e di dare consistenza teorica alla disciplina. E' una pura illusione e uno sbaglio, si tratta solo di high-tech con nome diverso. Se non è questo allora è ideologia ambientalista che vuole imporre stili di vita agli uomini. Si dà il caso che io lo stile di vita me lo vorrei scegliere da me, almeno nell'ambito della libertà concessami. Sono abbastanza stufo di chi mi dice di non fumare, di non bere, di andare in bicicletta, di riciclare, di andare piano in auto, di mangiare poco, di non consumare, di questo e di quell'altro. Non mi piace affatto una società che impone un'etica ambientalista e salutista fine a se stessa. Se devo scegliere preferisco di gran lunga la morale cattolica, che almeno è finalizzata ad un bene superiore e perdona le debolezze umane, perchè le conosce. Ho divagato un po', ma il tema si presta perché "tutto si tiene" e poi stamani sono "di festa" per motivi personali, dunque ho più tempo a disposizione.
Saluti
Pietro

LineadiRitornoall'Ordine ha detto...

"è un modo un pò cialtrone di screditare gli altri"

povero pietro... ho diffuso troppo "odio"? ma non eri tu il teorico dell' "odio" per imporre le proprie idee?

e poi, da quale pulpito viene la predica... uno che scrive post con i quali attacca le persone invece delle opere. suvvia pietro, troppo '68! un po' di "ritorno all'ordine" non ti fa male!

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Robert, anche l'"odio" richiede una sua classe, un suo stile.
Senza stile diventa, appunto, cialtroneria.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

pietro, l'odio richiede solo stupidità e ingnoranza. all'odio preferisco la cialtroneria. ma il caso peggiore si verifica quando vanno a braccetto...

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, si vede che appartieni ad una generazione che non ha vissuto la goliardia, quella vera. Nemmeno io l'ho vissuta, ma ne ho sentito l'eco molto vicino.
Ciao
Pietro

Master ha detto...

Sono anche io per la morale cattolica, Pietro, ed è appunto questa morale che mi spinge a fare qualcosa per migliorare la vita di tutti, per dare alla mia vita e a quella degli altri una qualità maggiore. Se l'etica sociale di moda oggi spinge a non fumare, non bere, andare in bicicletta, riciclare, andare piano in auto, mangiare poco, non consumare, ecc... beh sono tutti ottimi comportamenti che non possono che giovare, poi si è liberissimi di non seguirli ma l'importante è sapere che si può fare qualcosa per migliorarsi la vita.
Tu puoi non credere all'efficienza delle nuove tecnologie quando queste "deturpano" il tuo ideale di architettura, e sei liberissimo di farlo, ma io credo che l'ambiente e il paesaggio urbano siano importanti fino a che non impediscono di migliorare la qualità della vita delle persone, impedendo interventi che seguono le esigenze del periodo storico in cui viviamo. Prefersco mettere le esigenze delle persone al primo posto, se non altro perchè ho sperimentato che il grado di soddisfazione del commitente è una esigenza primaria per me, oltre che deontologica.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, la mia è una morale razionale che non mi spinge a salvare il mondo, non ho questa pretesa.
Quanto ai divieti vari, non dico che sia male dire che tutte quelle robe lì fanno male, dico che mi infastidiscono e mi preoccupano un pò quando si trasformano in divieti di legge. Passi per i minorenni, ma come non si può configurare una società che, per volere essere perfetta, rischia di toglierci spazi di libertà? Siamo in Italia, un paese che le regole le trasgredisce per DNA, però nel regolare i comportamenti siamo inflessibili e anche i primi in Europa, più realisti del re. In Germania non ci sono divieti generalizzati di velocità, ad esempio, ma prova a superare il limite quando c'è e poi lo vedi cosa ti succede. Noi no, noi regoliamo tutto, non controlliamo niente ma l'importante è che il cittadino sia obbligato a sentirsi sempre in colpa: stai tranquillo che se ti ferma la polizia qualcosa fuori regola ce l'hai. Ma questo non c'entra niente con la morale, è semmai un aspetto politico.
Quanto a soddisfare il committente mi trovi assolutamente d'accordo.
saluti
Pietro

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