Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


23 maggio 2009

PRATICHE PRE-MODERNE DELL'URBANISTICA MODERNA

Pietro Pagliardini

Una serie di commenti piuttosto critici agli ultimi tre post hanno affrontato il rapporto tra l’urbanistica, ma direi meglio l’abitare, e la libertà. In realtà credo che questi commenti fossero lo strascico di un precedente post, quello dell'Arch. Pier Lodovico Rupi, nel quale si sosteneva, in maniera esplicita, che le principali scelte urbanistiche fatte dal dopoguerra ai giorni nostri sono state influenzate da precise e consapevoli scelte politiche e ideologiche. Premesso che io condivido i contenuti di quel post, altrimenti non lo avrei pubblicato o almeno l’avrei fatto prendendone le distanze, non intendo proseguire quel discorso che mi sembra svolto in maniera egregia, esauriente e documentata dall’autore, quanto di riaffermare, più in generale, che la visione politica di una società si ripercuote in maniera consistente e diretta nella visione della città e nel rapporto, infine, tra stato e cittadini.

Non che io pensi che questa sia una mia grande scoperta, anzi direi che a me sembra così ovvio e scontato da apparire perfino banale doverci ritornare, ma sembra invece che questo aspetto sia dimenticato o rimosso al punto che, quando se ne è parlato, sono stato sospettato di farlo strumentalmente, in funzione di subdoli fini elettorali.
Giova perciò ricordare, per l’ennesima volta, che politica deriva da polis, città, e dunque la politica altro non è che l’arte di amministrare la città e in quest’arte rientra, a pieno titolo, la modificazione fisica della città la quale ha, ovviamente, influenza diretta sulla vita dei cittadini; perciò l’urbanistica, almeno per certi aspetti, è il metro per misurare il rapporto che esiste tra stato e cittadini e, in ultima istanza, per giudicare il grado di libertà che una società esprime.

Francesco Finotto, nel suo bel libro “La città aperta”, saggi Marsilio, 2001, ha mirabilmente sintetizzato questo rapporto stato-cittadini con questa frase ad inzio libro:
In che cosa consiste l'urbanistica moderna? Nella possibilità di condurre una pratica premoderna in una società moderna. Di fare una politica premoderna in una società moderna”.
La pratica pre-moderna è certamente quella che costringe gli individui a sottostare a limitazioni e controlli della collettività nell’uso del bene privato, in una società fortemente individualistica.

L’urbanistica moderna è il risultato del conflitto continuo tra il diritto alla libertà dell’individuo, che è anche diritto di disporre della proprietà privata, e l’esigenza di imporre limitazioni a questo diritto. Questo limite è connaturato all’idea stessa di città, che è spazio collettivo in cui si devono armonizzare interessi diversi, per cui esiste una soglia oltre la quale il diritto dell’individuo collide con quello degli altri e, infine, con la collettività. L’esempio più semplice è, ovviamente, quella parte del Codice Civile che impone determinate regole tra i confinanti.

Continua il libro di F.Finotto:
Si tratta di un vero e proprio rovesciamento di termini: prima era la libertà a doversi giustificare; la politica era di per sé legittima. Ora accade il contrario: è la libertà ad essere legittima; la politica, anche quella urbanistica, deve legittimarsi, fornire spiegazioni, darsi una teoria credibile, accettabile”.
Non si pensi, da queste poche righe, che il libro appartenga alla categoria dei libri militanti; è invece un serio esame storico delle varie teorie urbanistiche nate con la rivoluzione industriale e del conflitto tra la libertà dei cittadini e il disegno urbano.
Contrariamente ad altre realtà, quali ad esempio gli USA, dove esistono vaste aree il cui territorio non è sotto la giurisdizione di nessuna Contea o ente territoriale e in cui comunità di privati possono auto-organizzarsi (1), in Italia non esiste cmq di territorio che sia libero da tale giurisdizione e si può anche affermare che non è data città europea che possa ammettere una totale assenza di regole. Ciò che non è affatto naturale è il metodo con cui avviene questa limitazione.
Una breve citazione:
"La prima imposta (sulla casa), di questo genere fu il denaro del focolare, ossia un’imposta di due scellini per ciascun focolare. Per accertare quanti focolari vi fossero nella casa era necessario che l’esattore entrasse in ogni camera della casa. Questa odiosa visita rendeva odiosa l’imposta. Perciò, subito dopo la rivoluzione, essa fu abolita come segno di servitù". (Adam Smith- Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle Nazioni).
L’odiosa visita è esattamente l’atteggiamento prevalente nel rapporto tra stato italiano e cittadino. Uno stato occhiuto e invadente è preoccupato di ogni intervento, anche minimo, che viene fatto entro le mura domestiche. In realtà lo stato, attraverso norme di questo tipo, esercita un controllo sociale capillare proprio nello spazio sacro ed inviolabile di ciascun individuo, la casa, che la stessa Costituzione Italiana tutela, dichiarandola appunto inviolabile (art. 14 - Il domicilio è inviolabile).
Paradossalmente, tanto è curioso lo Stato di quanto accade dentro casa quanto è indifferente a ciò che avviene fuori di essa. Sembra avere dimenticato che “l’opera esterna non appartiene al proprietario quanto alla città”, e così ha fatto norme che rendono superflua la Commissione Edilizia e ha inventato la DIA che non è soggetta a valutazione di merito. Le procedure burocratiche sono aumentate a dismisura ma l’unica che è stata tolta è proprio l’ultimo residuo di un passato capace di dare senso alla scelta di condivisione del progetto, da sempre, specie per le opere importanti, appannaggio della civitas.
Controllo sociale in casa, indifferenza al valore della qualità della città.

C’è, inoltre, l’esclusione dei cittadini dalle scelte importanti per la città.
Almeno dal 1200, le principali scelte per quelli che Marco Romano chiama i “temi collettivi” non sempre sono state imposte alla città, anzi spesso sono state rimesse nelle mani dei cittadini in varie forme, tra cui quella del concorso. Osservo dunque che nella società pre-moderna l’urbanistica presentava qualche segno di maggiore modernità che non in quella moderna.
Senza voler mitizzare il passato non si può cioè non constatare che la “forma” della città era decisa con metodi più democratici di quanto avvenga oggi.

Sul piano della libertà individuale, il fallimento dell’urbanistica moderna è dovuto anche all’imposizione dall’alto delle idee elaborate da architetti ed urbanisti che, dal Bauhaus in poi, passando per Le Corbusier, sono riusciti ad imporre l’idea di essere loro gli unici depositari della conoscenza e della verità. Questa cultura architettonica elitaria, che ben si sposa oggi con la globalizzazione economica e culturale, configura l’idea di un potere non democratico e rifiuta con disprezzo la possibilità che i cittadini abbiano qualsiasi capacità di decidere.
Scrive Le Corbusier in una lettera del 1946:
L’alloggio è lo specchio della coscienza di un popolo. Saper abitare è il grande problema, e alla gente nessuno lo insegna”.
Anche Platone nel Politico afferma:
Non crederemo certo che sia possibile che una moltitudine in una città possa acquisire questa scienza?..Una moltitudine di persone di qualunque genere non diverrà mai in grado di amministrare la città con intelligenza per avere acquisito tale scienza”.

La sintonia è perfetta e dunque di pre-moderno in campo urbanistico non c’è solo la limitazione dell’uso del bene privato ma c’è anche il patto tra sapere e potere, appannaggio degli esperti e della politica, e da cui il popolo è escluso in quanto ritenuto ignorante.

Di un’applicazione diretta e grossolana di questo pensiero ne è testimonianza l’uso invalso nella Russia di Stalin di costruire abitazioni con servizi collettivi e comunitari, al punto che i singoli alloggi erano progettati privi di cucina, allo scopo di fare forzosamente convivere insieme gli abitanti anche in uno dei momenti più intimi della famiglia, quello cioè dei pasti, annientando così la libertà individuale ma anche scardinando la famiglia stessa, annullata e assorbita nel bene supremo che è la collettività, cioè lo Stato. Un sistema che è stato veicolato dalla critica urbanistica occidentale al mondo come una forma superiore di vita collettiva, suffragando questa idea con il fatto che essa è nata proprio nell’occidente stesso, dove analoghi concetti furono poi applicati e magnificati nell’Unitè d’habitation di Le Corbusier.

Ecco dunque che si giustifica, all’uscita della proposta di legge del Piano Casa , la reazione immediata e viscerale di alcuni governatori, con il loro: “Noi non lo adotteremo”. Perché tanta reattività, poi in parte rientrata, pena la defenestrazione da parte della base? Perché il diritto automatico all’ampliamento del 20%, piccola cosa in verità, mette in discussione il potere di controllo della politica su milioni di proprietari di case. Il piccolo proprietario avrebbe ottenuto, probabilmente, lo stesso incremento nel corso del tempo, al piano regolatore successivo, ma passando, in questo caso, per tutta una serie di procedure in cui sarebbero stati i vari enti ad elargire, al termine di quell’estenuante rito collettivo che è la trattativa del piano, durante il quale il cittadino viene portato ad essere totalmente alla mercé della politica e della tecnica (in genere architetti e geometri).
In questo senso il Piano Casa ha destabilizzato uno schema politico consolidato, è stato cioè un gesto dal forte significato liberatorio.

Se dunque è inevitabile che l’urbanistica sia praticata attraverso strumenti pre-moderni è anche vero che si tratta di dosare tale strumenti in modo tale che si ribaltino i ruoli, e l’onere della prova, per poterli applicare, spetti allo Stato. Deve insomma avere fine l’atteggiamento punitivo che caratterizza il tono, lo spirito e la sostanza di molte leggi.
L’interesse pubblico esiste in campo urbanistico ma le limitazioni all’uso del bene, e dunque alla proprietà privata, per essere accettate devono essere fortemente motivate da un interesse pubblico e trovare contropartite in efficienza dell’amministrazione pubblica, in incentivi e in partecipazione dei cittadini alle scelte fondamentali della città.

Perciò la città deve essere chiamata a prendere le decisioni importanti, come è avvenuto, ad esempio, per la tramvia in Piazza Duomo, a Firenze. Possono essere trovati anche metodi più informali ma ciò che conta è che passi questo principio: la città appartiene a tutti i cittadini e non solo ai politici e tanto meno ai gruppi economici e agli architetti; nel caso di nuovi importanti insediamenti, di opere pubbliche, di progetti di concorso, si affianchi al giudizio degli esperti quello dei cittadini, senza bollare la democrazia come populismo dato che il suo contrario è proprio l’autoritarismo platonico.



Nota 1) vedi questo link all’Istituto Bruno Leoni sul caso Partigliano:

http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/Focus/IBL_Focus_134_Boccalatte.pdf

22 commenti:

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
alcune domande:
pensi che ‘la decisione popolare’ sia un’opportunità per l’architettura ‘tradizionale’ amata da questo blog?
pensi che il ‘piano casa’ non sia un aiuto per le lobby del cemento, per rastrellare soldi anche dal ceto medio/basso? Ti suggerisco di leggere questo articolo di cronaca: http://www.corriere.it/economia/09_maggio_07/finanza_evasori_totali_edilizia_7daff96a-3ad1-11de-b512-00144f02aabc.shtml
pensi che le pratiche di abusivismo diffuso siano frutto dell’idea politica ‘urbanistica’ di sinistra e di Le Corbusier?
pensi che esista in Italia un’esigenza abitativa tale da giustificare un piano d’emergenza?
Mi puoi dire che tipo di città ‘la politica popolare’ dovrebbe progettare per i musulmani italiani, gli insegnanti del sud, le badanti romene, i muratori calabresi, i cingalesi, i magrebini, le veline sfortunate dell’est?
Saluti,
Salvatore D’Agostino

P.S.: la tua cultura visiva sembra ricalcare il cattivo gusto di alcuni giornali di destra. Immagini banali che solleticano la grezza ilarità. Non sempre occorre inserire immagini.

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, in questo blog, se ti fosse una cosa nuova, parlo di architettura tradizionale. E' scritto anche nel titolo e nel sottotitolo.
Ad oggi non mi ha censurato nessuno e tu hai, fortunatamente, una grande chance: se questo blog ti genera fantasmi, forse è meglio non leggerlo.
Anche perché non so per quanto tempo ancora tollererò il tuo tono infantilmente offensivo.
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
non capisco la tua risposta ‘architettura tradizionale’, censura e fantasmi. Rimango basito.
Registro l’ennesima tua non risposta, appena ti pongono domande su problemi concreti.
Rileggendo il mio commento, non credo di aver offeso qualcuno, se ti riferisci all’uso delle immagini sul tuo blog, ribadisco non hai cultura ‘fotografica’ (non si può essere perfetti).
Se l’essere adulto significa sostenere tesi ‘politiche’ infarcite da un’autorità celata dietro un paio di libri letti come bibbia, preferisco essere infantile e avere la gioia della scoperta.
Ti svelo un mio difetto, sono un uomo libero ma non qualunquista.
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Master ha detto...

Salvatore ha ragione nel farti notare, Pietro, che spesso non rispondi ai commenti o rispondi solo ad una parte di essi (magari quella meno importante), tirando fuori altre questioni che esulano dalle domande che vengono poste ai tuoi post. La tua fiera difesa dell'architettura tradizionale non vorrei che ti facesse perdere la passione, che ho spesso visto nel tuo blog, per la discussione aperta e priva di pregiudizi.

Detto questo io sono daccordo nel dare ai cittadini la possibilità di dire la propria sulle scelte urbanistiche della propria città, come per altro già accade in molte città americane, sempre però senza dare poteri di veto ma lasciando agli "addetti ai lavori" la possibilità di svolgere il proprio mestiere, se non altro perchè sono dei professionisti e il giudizio dei cittadini può essere di aiuto nelle scelte ma non può scavalcare la professionalità e la preparazione di un architetto o un ingegnere.
Un po' come funziona dal medico che spesso, se è uno bravo, può proporre diverse cure e lasciare al paziente la scelta di quella più congeniale.
Ho anche letto che in alcune città ci sono già da alcuni anni progetti di "urbanistica partecipata" che permettono di compiere un sondaggio tra i cittadini sulle future scelte e ciò mi sembra molto positivo.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, la mia passione per il dialogo con chi la pensa diversamente da me rimane intatta ma con una eccezione: non prendo lezioni ex catedra da nessuno e il tono e anche le parole di Salvatore sono sempre dettate da una sua presunta superiorità che, tra l'altro, non gli appartiene. Non voglio fare citazioni ma gli ultimi suoi commenti a cui non ho risposto erano ancora più sullo stesso registro, come sempre. Io rispondo ad esempio, a robert, con il quale siamo spesso in totale disaccordo ma il dialogo resta aperto, come pure con te e con quasi tutti, visto che chi mi scrive è quasi sempre critico.
E poi con Salvatore ci sono molti precedenti, anche di mail private, che mi fanno tenere questo comportamento. Vorrei però chiudere questi aspetti personali che davvero non interessano e che fuorviano dal discorso.
Vengo al punto: non si tratta di mettere in discussione il ruolo di progettista dell'architetto, tutt'altro. Chi vuoi che li faccia i progetti se non l'architetto!
Si tratta però di smitizzare questo ruolo, sia per quanto detto nel post sia perché, purtroppo, oramai abbiamo 1 architetto-1 teoria. L'esaltazione dell'architetto-demiurgo, creativo, artista, ecc che viene perpetrata da decenni nelle università e che negli ultimi anni ha raggiunto la sua massima esasperazione mediatica, impedisce di poterci presentare come portatori di regole base condivise entro le quali ogni architetto aggiunge del suo e interpreta la realtà. E' ben diversa la condizione del medico il quale applica precisi protocolli aggiungendo la sua preparazione e sensibilità individuale. Noi non applichiamo un bel niente, noi ci sentiamo creatori e, come ho scritto in un post, ogni volta reinventiamo la ruota.
E' una condizione, questa, assolutamente anti-scientifica.
In questo giudizio mi trovo, fortunatamente, nell'ottima compagnia di Caniggia e Maffei, già dagli anni 70, di Paolo Marconi e di moltissimi altri ben più autorevoli di me.
Anche per questo motivo è bene che i committenti abbiano la possibilità di decidere e di scegliere tra più soluzioni (nel caso del concorso), oltre che per essere la città un bene collettivo.
Oggi c'è già molta sfiducia nella scienza (e ci sono ragioni per cui ciò accade) figuriamoci per l'architettura.
L'ostacolo che io vedo ad una applicazione generalizzata di questo metodo non è di carattere concettuale quanto operativo, cioè individuare metodi, magari a scalare, che non diventino farraginosi e tali da scoraggiare la stessa forma concorso. Però, devi ammettere, che peggio di oggi non potrebbe andare, visto che nella gran parte dei casi gli esiti non soddisfano nessuno.
Saluti
Pietro

Master ha detto...

Mi spiace ma la mia visione non è così pessimistica. Ci sono decine di siti di architettura, più stranieri che italiani a dire il vero, che raccolgono esiti di concorsi e progetti in via di realizzazione di architettura contemporanea che, per la mia preparazione e per l'esperienza che ho potuto maturare sono per la maggior parte degli ottimi progetti, il più delle volte con una grande attenzione alle nuove migliori tecnologie (quelle che sono applicate e funzionano per dirla in breve) e alla sostenibilità ambientale (oltre che socio-economica).
Lo studio e l'analisi di questi progetti, per quanto posso documentarmi, sono fondamentali perchè permettono di fare sempre meglio.
Quello che mi fa tristezza è vedere il lavoro di tanti ottimi architetti venir denigrato per partito preso, magari in modo superficiale o senza neanche aver studiato il progetto con attenzione e purtroppo anche troppo spesso da "non addetti ai lavori" che si ergono a giudici e a presunti portavoce di una critica assolutamente gratuita e infantile.
Per quella che è la mia esperienza l'architettura contemporanea piace alla gente che preferisce vivere e lavorare in ambienti con forme e tecnologie di oggi, piuttosto che in vecchi edifici ristrutturati.
Da quella che è la mia esperienza personale non posso che essere favorevole e fiducioso verso una architettura contemporanea che si evolva continuamente per soddisfare sempre meglio le esigenze della gente.

Pietro Pagliardini ha detto...

Master, abbiamo punti di vista diversi. Guarda che non si tratta di "denigrare" gli architetti. Non mi piace affatto questo spostare il discorso sul piano personale. Io faccio l'architetto e so benissimo quanta fatica costa fare un concorso e soprattutto quanto è ingiusto e incivile fare lavorare per ogni nostro concorso centinaia di architetti gratis, in quella lotteria (truccata) che sono i concorsi italiani. Questa è l'immoralità, non affermare come faccio io, perchè ne sono convinto, che vedo solo progetti d'immagine. E non mi faccio certo ingannare dalla "sostenibilità" dichiarata.
Mentre scrivo questo commento c'è Anno Zero in TV che discute di EXPO 2015. C'è un signore del comitato No EXPO che, appunto, si sente preso in giro dalla retorica del bosco-grattacielo, come da CityLife. Ecco io alla retorica ambientalista non credo affatto, soprattutto se si presente sotto forma di grattacielo. Prodotti come questi vengono spesso veicolati tramite l'ambientalismo, che è diventato un lasciapassare eccezionale, ma in realtà sono solo forme più o meno fantasiose con ben poco dietro di sostanza, se non i metricubi.
da architetto io non ho niente contro il metrocubo, perchè è il mio lavoro e senza quello che cosa farei? Ma non tollero l'ipocrisia e l'ammantamento della realtà con contenuti che non ci sono o sono secondari.
E' divertente il bosco-grattacielo, ma cosa diavolo vuoi che abbia di ecologico, solo piante un pò più grandi delle fioriere e un bell'appeal per il compratore. Poi voglio vedere come dovranno essere ingabbiati questi alberi per evitare cadute di rami causa vento o seccume. Voglio vedere come fare a rimuovere alberi secchi o malati, voglio vedere come fare a potare senza cadere di sotto (ingabbaiandoli, appunto), come fare a manutenere e innaffiare quella massa verde in aria!!!!
Non è più semplice fare case più basse con gli alberi davanti o dietro? tanto più che dal grattacielo, se ci saranno tutti quegli alberi non si potrà nemmeno godere del paesaggio dall'alto!!!
E' così evidente che l'unica città che sia rispettosa dell'ambiente è una città orizzontale, densa ma orizzontale. Il bilancio ambientale è globale ed è il risultato di una serie di fattori da misurare in modo ponderale tra: i costi energetici per produrre e trasportare i materiali, per costruire gli edifici, per muovere la gente, i fluidi e i liquidi dentro gli edifici, la gestione termica durante tutto l'arco dell'anno. E io mi devo sentire dire che il grattacielo storto di CityLife, facendosi ombra da solo fa risparmiare energia refrigerante?
Ci rendiamo conto di quello che ci viene proposto? A tutto c'è un limite!
Saluti
Pietro

Master ha detto...

I grattacieli hanno una funzione all'interno delle grandi città e se vengono "venduti" come verdi o come un "bosco" è perchè tutti i progetti devono essere "venduti", lo facciamo anche noi con i render (che altro non sono che immagini accattivanti).
Spesso mi è capitato di storcere il naso davanti a progetti eclatanti perchè mi sembravano a prima vista solo pubblicità e poca sostanza, poi altrettanto spesso mi sono dovuto ricredere studiandomi il progetto e rendendomi conto che avevano innovazioni spesso geniali.
Se qualche progetto di qualche Archistar riceve delle critiche, questo non vuol dire che l'architettura contemporanea sia pessima, anzi, visto che i progetti delle Archistar costituiscono un infinitesimo di tutti i progetti realizzati nel mondo, direi che le preoccupazioni verso questi "problemi" sono abbastanza futili.
Questo è il mio punto di vista, tutto qui, ho capito perfettamente che lo ritieni sbagliato ma sinceramente le teorie "neo-tradizionali" e "anti-moderne" mi sembrano troppo superficiali e miopi per attirare la mia attenzione.
Rigurardo all'argomento penso di aver detto tutto.

Linea del West ha detto...

a quando un bel post contro con quel lazzarone di frank lloyd wright? eh sì... perchè se la città senza cucine è colpa degli archicomunisti le villettopoli (come le chiami te pietro) è colpa del wright. o no?

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Bravo robert, è da tempo che ci stavo pensando, anche perchè mi ero riproposto di commentare un bell'articolo di Vilma Torselli in occasione dei 50 anni dalla morte scritto per un quotidiano svizzero.
Trovare il tempo.....
Certamente Wright ha contribuito a diffondere l'idea individualista di villa per tutti ma credo però che, come si dice in questi casi, il problema sia più complesso e abbia a che vedere con l'individualismo proprio di una società aperta e libera, che tende a confliggere con la salvaguardia del territorio.
L'argomento è bello, ci penserò sopra perché a me piace non solo porre problemi ma anche cercare, sperare, tentare di individuare possibili soluzioni. Sono fatto così: se mi faccio domande voglio trovare una risposta. Non sempre mi riesce e non sempre mi riesce bene ma è una parte essenziale del mio carattere, anche se so che non a tutto c'è per forza una risposta.
Ciao
Pietro

LineadellaComplessità a prescindere e non ideologica ha detto...

"credo però che, come si dice in questi casi, il problema sia più complesso e abbia a che vedere con l'individualismo proprio di una società aperta e libera, che tende a confliggere con la salvaguardia del territorio"

complessità? ho letto bene? complessità?
cavolo, pietro, ma ricordartene quando tratti tutti gli altri temi no eh? :-)

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, io me ne scordo volontariamente perchè sono convinto che oggi le posizioni sono e debbano essere radicalizzate (non mi riferisco a questo blog, ma in generale) e la complessità quasi sempre viene tirata fuori per fare polverone ed eludere i problemi.
Da una parte c'è la cultura dominante, in campo architettonico, dall'altra c'è un pensiero che vuole farsi strada ed è in condizioni di minoranza mediatica (non tra la gente).
Dunque esiste la complessità dei problemi, ma non delle scelte. Se si porta la complessità nelle scelte sembra di fare cultura ma in realtà è un modo raffinato (ma ormai non troppo perché svelato) si sceglie per lo status quo.
Nei commenti, tra persone ragionevoli, ci si può lasciare andare.
Saluti
Pietro

LineadiSperiamoBene ha detto...

pietro, mi pare che il tuo commento si commenti da solo...

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, il commento si commenta da solo perché corrisponde al vero, è onesto e non vuole fare credere di essere altro da quello che è.
E, tra l'altro, è un concetto che credo di avere espresso qualche decine di volte nei post. Ovvio che non pretendo che tu li abbia letti tutti e nemmeno che tu lo condivida. Però mi sarei aspettata da te, questo sì, una reazione più tranquilla, perché la mia risposta non era contro di te ma semplicemente voleva ribadire il tema di questo blog che non è fare generica critica architettonica, cosa di cui non mi ritengo nemmeno all'altezza, ma di essere un blog "militante", di parte, schierato in uno dei due principali filoni che sono in campo. Sembra, infatti, che ce ne siano molti di più, che ci siano variazioni sul tema, che ci sia complessità e articolazione (e in qualche misura c'è) ma se li vai a distillare, alla fine sono solo due.
Ne parlavo proprio ieri sera con un collega e amico architetto il quale mi ha confessato di essere perfino stanco di ripetere da anni le stesse cose senza essere capito (lui fa anche PRG) e d'ora in poi se ne fregherà e continuerà, finché glieli faranno fare, con i suoi progetti tradizionali (alcuni molto belli)non cercando di convincere gli amministratori che vanno cercando "novità".
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
mi sembra doveroso riportare in calce un commento fatto sul mio blog che ti chiama in causa.
Non capisco come fa un uomo ragionevole ad avere posizioni radicalizzate.
Le idee radicalizzate appartengono alle persone guerrafondaie.
Mi chiedo perché in Italia non siamo maturi per avere una sinistra autorevole e non bipartica/centrista e una destra liberale e non autoritaria/populista?
Come affermi il tuo blog è fazioso.
La faziosità esclude.
L’esclusione implica mancanza di complessità.
La mancanza di complessità non concorda con l’empatia.
Un progetto senza empatia è autoritario.
Il P.R.G. tradizionale esclude la ricerca architettonica.
“La novità” (citazione da un tuo commento) è un concetto banale e banalizzante nei confronti degli architetti che cercano - a fatica - ciò che per loro è naturale: progettare il presente.
Immagino le gran risate alla cena con il tuo amico: il cubo! Ah ah ah. Il fallo! Ah ah ah. Il pene storto! Ah ah ah. Le Corbusier! Prrrrrr. Wright! Prrr prrr e prr. L’irania Hadid…(non oso immaginare).
Tu dici che non vuoi parlare della tua città ma questo blog parla esclusivamente dell’astio maturato negli anni nei confronti della tua gente e il suo paesaggio forse un po’ troppo di sinistra.
Saluti,
Salvatore D’Agostino

P.S.: Commento sopracitato:
---> Matteo,
concordo non vi è più un’idea politica autonoma tutto si è shakerato in una ressa sull’idea centrista. Non capisco come si possa ottenere un bipolarismo (a mio avviso non importante) con due schieramenti che mantengono al suo interno le posizioni di centro, non a caso amano definirsi coalizione di centrodestra e di centrosinistra.
Su Ugo e Pietro non ho dubbi.
Ugo ha il solito difetto dell’uomo di sinistra, grandi capacità intellettive che amano perdersi nella complessità.
Al contrario le idee di Pietro sono le più amate dall’architetto oppresso dall’architettura (cioè la maggioranza) per la capacità nel semplificare - possedendo pochi argomenti - idee complesse.
Il primo conosce la forza creatrice dell’ordine teorizzata da Khan.
Il secondo solo l’ordine nascosta nell’idea di sicurezza, come dice la cantante Maria Pia De Vito: Il prezzo della libertà è una continua vigilanza…
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Link: http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/05/0001-wilfing-sul-perche-ugo-rosa-si.html?showComment=1243581042254#c4958215641675876716

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, per essere un amante della complessità il tuo ragionamento è molto schematico perché il mio amico, incavolato nero, è uomo di sinistra, militante di sinistra, fa PRG per comuni di sinistra MA progetta edifici classici e tradizionali e fa piani regolatori che, nei limiti del possibile e della "complessità" delle norme vigenti e della testa degli amministratori, cercano di seguire le regole muratoriane.
Faccio volentieri il suo nome perché so che non gli dispiace affatto, si chiama Roberto Verdelli. Ma insieme a noi alla cena c'erano anche gli architetti Enrico Lavagnino e Danilo Grifoni, entrambe con la stessa impostazione culturale e politica. Tutti e tre rappresentano il meglio del professionismo aretino e non solo.
Non voglio sapere chi tu frequenti, ma loro non sono abituati a fare, neanche a cena e neanche dopo aver bevuto, pernacchie o sberleffi, tanto meno alle archistar, dato che hanno superato da tempo la fase infantile. Sono invece abituati ad esprimere il loro pensiero e il loro dissenso anche quando potrebbe convenire stare zitti.
Come vedi la complessità ti è sfuggita completamente per ridurti a banali e un po' volgari schematismi politico-culturali.
Di quello che dice Matteo, a dire il vero, non ho capito molto, ma anche lui cade nella banale "schematizzazione" destra/tradizione/grettezza, sinistra/modernità/raffinatezza.
Un pensiero molto conformista, completamente vittima del pensiero collettivo e mediatico dominante.
Cosa voglia dire: "le idee di Pietro sono le più amate dall’architetto oppresso dall’architettura per la capacità nel semplificare - possedendo pochi argomenti - idee complesse" francamente mi sfugge, se non il fatto che non è un giudizio positivo su di me. Ma potrei anche prenderlo come il suo rovescio, cioè un complimento, perché avere la capacità di semplificare idee complesse non è proprio da tutti, dato che da Aristotele in poi il mondo occidentale non fa altro che individuare "categorie", cioè semplificazione e sintesi della realtà. L'unica frase chiara è "possedendo pochi argomenti". Io sarei anche oppresso dall'architettura (a proposito di argomenti non spiega il perché). Io semmai sono oppresso dal fatto che i clienti tendono a non pagare le notule, e in questo sconsiglierei ai giovani dal seguire questa professione, ma per il resto sono felicemente e gioiosamente architetto, innamorato del mio lavoro "come il primo giorno", come si dice in questi casi, e lo sono così tanto dal divertirmi, alla mia età, a fare quando ne trovo il tempo, anche i concorsi, e a farli personalmente, non facendoli fare ad altri o dall'intraprendere iniziative folli e sconsiderate dal punto di vista professionale, pur di divertirmi a progettare.
Auguro a Matteo di divertirsi quanto mi diverto e mi sono divertito io a fare e realizzare progetti.
Sulla mia "mancanza di argomenti" è una sua rispettabile opinione che però .....io non condivido affatto.
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
Mi piace il tono della tua risposta, da moderato non da radicalizzato, ho la sensazione che questo blog soffra di bipolarismo.
Io evito accuratamente di frequentare architetti, odio le cene homophiliaci.
Tu dici che io sono: “vittima del pensiero collettivo e mediatico dominante”, libero di pensarlo.
Basta leggere i miei post per intuire che odio la contrapposizione destra/gretta e sinistra/colta. Il tuo commento in tal senso è fuori luogo.
Io credo che in architettura il linguaggio dominante/conformista sia la ‘casa tradizionale’ il cosiddetto ‘finto rustico’. Evidentemente i nostri occhi osservano in modo diverso le città e il suo paesaggio.
Concordo, è volgare usare parole come: cubo, fallo, pene storto, archistar termini che come sai non mi appartengono.
Non ti ho mai detto che ti mancano gli argomenti ma che elabori pensieri ‘architettonici’ con pochi argomenti. Qualsiasi pensiero va confutato comparando idee diverse e non simili. È sbagliato cercare di validare le proprie idee attraverso pensieri simili.
Punto. Non vorrei andare oltre, a che serve. Sono semplici nozioni.
Le solite domande:
Che cosa significa essere fazioso?
Che intendi per idee radicalizzate?
Nella tua città ‘tradizionale’ accetteresti la costruzione di una moschea per la nuova comunità di x abitanti musulmani –non è anche questa volontà popolare -?
A Prato essendoci una comunità di cinesi fortissima – come sopra volontà popolare –faresti costruire edifici e spazi più ibridi, rispettosi verso questa cultura?
Che cosa intendi per semplificazione e sintesi della realtà - in questa realtà c’è presente la lettura del mix sociale, i loro conflitti e le nuove esigenze -?
Questa realtà va letta esclusivamente dal progettista?
Se io avessi un lotto di terreno in un’area non periferica, da privato, potrei costruire una casa con un linguaggio non tradizionale – rispettando le regole del P.R.G. -?
La mia volontà deve sottostare alla volontà popolare?
Infine che cosa significa volontà popolare?
Saluti,
Salvatore D’Agostino

P.S.: Concordo con il commento telegrafico di Robert.

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, tanto per amor di verità, io non attribuisco a te lo schematismo tradizione/destra, modernità/sinistra nè ti attribuisco il pensiero collettivo, ma, se leggi bene la risposta, lo attribuisco a quello che tu mi riporti come il commento di Matteo, e cioè a Matteo. Anche se ammetto che non è del tutto chiaro quale parte del tuo primo commento sia la tua e quale sia di Matteo, dato che quella tua doppia firma trae in inganno. Io ho preso la prima parte come il tuo comemnto e la seconda, dopo il PS come quella di Matteo.
Tuttavia possono cambiare gli attori ma il contenuto resta e, diciamo, a quello ho risposto.
Tu mi poni ora, come sempre, una raffica di domande cui, ammetterai, per rispondere ci vorrebbe un trattato, a meno che tu non mi chieda un sì e un no. E' pur vero che mi attribuisci come una colpa il bipolarismo (ti assicuro però che non ho una personalità bipolare, in senso psichiatrico) ma non arrivo a liquidare proprio tutto in modo così semplice.
Il bipolarismo non è tanto nei miei auspici, anche se ammetto che io vi vedo un elemento di grande chiarezza, quanto nei fatti delle cose e io lo registro.
Ripeto per l'ennesima volta: io non sono un critico di architettura, io mi schiero da una parte tra le due in campo. Perchè solo due, dirai te, dato che ve ne sono migliaia, una per ogni architetto? Perché al fondo, usando le categorie, esiste un'architettura figurativa ed una astratta, cioè non figurativa.
All'interno di ognuna di queste grandi categorie ci sono tutte le sfumature, i movimenti e le differenze possibili, ma prima viene questa discriminante. E dato che io non sono un critico, non lo voglio e non lo so fare, ma sono un professionsita sul campo cui ogni tanto nel vuoto mentale un neurone mi fa osservare che l'architettura non figurativa sta distruggendo il nostro patrimonio storico, urbano e paesaggistico e che questo pensiero è quello dominante nella cultura ufficiale e nei media, io mi schiero da quest'altra parte. Dopo esiste villettopoli, la speculazione edilizia e tutto quello che vuoi ma prima viene questo. Se non si riequilibra il rapporto di forze il resto è inutile e non cambia niente. Io non mi sento di condannare i proprietari di schifosissime villette con archi in c.a. con rapporti altezza-larghezza ridicoli se l'alternativa sono gli assurdi, anti-umani, oppressivi e anti-urbani parallelepipedi delle nostre città. Come minimo l'abitantre della brutta villetta vive meglio di quello che appena vede il vicino di pianerottolo gli tirerebbe una fucilata.
Mi dice un amico cardiologo che c'è una ricerca che dimostra che una delle più frequenti cause di infarto del miocardio siano le riunioni condominiali (e non me la sono inventata).
Piuttosto, perché una volta tanto non mi rispondi te sul fatto che esiste una trasversalità politica nel pensiero tradizionale? Che spiegazione dai te ad un fatto che contraddice molti dei commenti fatti ultimamente su questo blog?
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Prima parte:

Pietro,

avevo già in mente di scrivere un post estivo sull’articolo firmato Paolo Masciocchi, Pietro Pagliardini e Nikos Salìngaros, ”LA NUOVA CITTÀ PER ESSERE DAVVERO MODERNA DEVE RIDIVENTARE MEDIEVALE” per non semplificare il mio punto di vista in un semplice commento. Spero di farlo.

Noto nuovamente che non rispondi alle mie domande.

Adesso mi poni due domande: «Piuttosto, perché una volta tanto non mi rispondi te sul fatto che esiste una trasversalità politica nel pensiero tradizionale? Che spiegazione dai te ad un fatto che contraddice molti dei commenti fatti ultimamente su questo blog?»



Ti rispondo (sperando di non essere etichettato con il solito epiteto ‘S. D. sale in cattedra’):

Recentemente al direttore dello stabile di Catania Pietrangelo Buttafuoco gli è stato proibito - dai parenti detentori dei diritti d’autore - di mettere in scena uno spettacolo in onore dello scrittore Leonardo Sciascia (si celebra il ventennale dalla sua morte). Una censura pregiudiziale, giacché Buttafuoco è un uomo di destra. Alla domanda posta da Paolo Bracalini: Chi sono gli sciasciani? Pietrangelo Buttafuoco risponde così: «In versione centrodestra sono i custodi del più banale garantismo, a sinistra invece sono i rappresentanti del peggiore conformismo».

Link: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=354503&START=0&2col=

Se mi fosse posta la domanda: Chi sono i tradizionalisti? Darei la stessa risposta di Buttafuoco.



Spesso utilizzi il termine villettopoli, parola creata da Pier Luigi Cervellati, un’urbanista sensibile verso i temi della città ‘classica’ ecco come reagisce nei confronti dell’ipotesi paventata dal governo del ‘piano casa’:

“Qual è l’aspetto più criticabile?
«L’assenza totale di qualsiasi programmazione pubblica, la privatizzazione del bene comune, la crescita senza limiti di quell’obbrobrio che chiamo "villettopoli"».

Non le piacciono le villette?
«Andrebbero proibite per legge, anzi dovrebbero essere demolite. Sono uno degli elementi che più contribuiscono al degrado edilizio del nostro paese».

Ma non esiste un problema abitativo in Italia?
«Abbiamo un numero di case esagerato, e allo stesso tempo troppe persone (specie i giovani) che non dispongono di un’abitazione. Perché abbiamo il mito della casa di proprietà, e mancano gli alloggi pubblici da dare in affitto a chi non si può permettere di pagare un mutuo. La cosa che più mi indigna è che tutti saranno favorevoli a questi ampliamenti del 20% previsti dalla legge, perché le loro proprietà aumenteranno di valore. Alla fine il risultato è che in Italia abbiamo case sempre più belle, ma delle città e un territorio che fanno schifo».”

Link: http://eddyburg.it/article/articleview/12848/0/356/?PrintableVersion=enabled



Io credo che la cementificazione non abbia colore sia essa puntuale e firmata, sia essa diffusa e anonima.

Occorre analizzare le due tematiche, chi se la prende solo con gli archistar sta facendo la stessa operazione di marketing, poiché si vuole sostituire agli architetti noti, dimenticandosi la complessità del fare architettura in Italia. Architettura vittima di una diffusa mentalità misoneista, a causa della mancanza di opportuna grammatica, necessaria per confrontarsi con la contemporaneità.

Salvatore D'Agostino ha detto...

Seconda parte:

«Sono cartografie alternative, irregolari e frastagliate. Ipertesti contraddistinti da un’armonia spezzata: da un ordine di tipo diverso, che si situa al di là delle nostre consuete categorie di lettura. Di fronte a questa confusione, restiamo interdetti. Dobbiamo fare i conti con lo smarrimento. Abbiamo abbandonato un porto sicuro, per naufragare nel mare aperto. Dobbiamo lasciare la terra ferma delle sicurezze e delle omogeneità, per assistere al trionfo della dispersione e della frammentazione. Dall’idea della città come opera d’arte, governata da un programma e da un piano, siamo approdati all’idea della città come installazione fondata sull’attrito tra parti. Ci siamo allontanati da un regno dominato da rapporti e proporzioni, per addentrarci in un labirinto di presenze diseguali. La metropoli di oggi, hanno ricordato sociologi quali Manuel Castells e Saskia Sassen, appare come una struttura governata da logiche contraddittorie. Oscilla tra il legame con luoghi particolari e una sorta di slancio globale. Per un verso, tendiamo a organizzare le nostre esperienze quotidiane nei limiti di un determinato ambito territoriale. Per un altro verso, si è venuto costituendo un «network interattivo di relazioni tra attività e individui, a prescindere dallo specifico contesto di riferimento». Una trama di segmenti che, anche se lontani dal punto di vista geografico, si connettono virtualmente in una rete estesa sull’intero pianeta. Dinanzi a questo tsunami, l’urbanistica deve ripensare radicalmente se stessa: il suo ruolo, la sua funzione»

Link: http://archiviostorico.corriere.it/2009/febbraio/04/citta_possibile_co_9_090204104.shtml



La mia idea urbanistica inizia dal rilevare che una città è: «una struttura governata da logiche contraddittorie.»

Per questo motivo considero la ‘radicalizzazione’ un pensiero guerrafondaio e pericoloso.

Saluti,

Salvatore D’Agostino

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, tu citi tre personaggi che sfuggono alla banale classificazione destra-sinistra: Sciascia, Buttafuoco, Cervellati.
Ma proprio per questo è una citazione giusta: se a Buttafuoco dici che è di destra si arrabbia.
Se a Cervellati dici che è di sinistra, dopo che ne è stato emarginato, alza snobisticamente le ciglia e ti fulmina con una battuta. Lo dico perchè l'ho sentito ad Arezzo. E' un personaggio fuori da ogni schema, è uno che ama il paradosso ma per lui non è paradosso, è realtà. Cervellati vuole museificare i centri storici, nel senso che chiede che siano conservati al meglio come il salotto di casa.
Ciò che dicono personaggi come questi non deve essere preso troppo alla lettera ma come una provocazione intellettuale che aiuta a riflettere.

Mi è piaciuta la trasposizione architettonica della battuta di Buttafuoco su Sciascia. Una volta tanto è spiritosa. Ora se è facile interpretare conformista, rimane più difficile garantista, ancorchè banale. Che significa in urbanistica garantista? Posso immaginare molte cose: che uno intende garantire la città dagli attacchi della speculazione ma può anche significare il suo inverso. Può significare, allargandone il significato, garantire la salvaguardia delle tracce storiche e la loro riproposizione nel presente per garantire un buon risultato.
Quanto a villettopoli non voglio togliere a robert il marchio di fabbrica, perché è lui che lo usa spesso e io lo riprendo nelle risposte.
nella seconda parte del commento francamente non ti seguo. Davvero questi discorsi non li comprendo. Mi sembrano distillato di sociologia e non riesco a trovarne un filo logico. ma cosa significa: "network interattivo di relazioni tra attività e individui, a prescindere dallo specifico contesto di riferimento"? Davvero non capisco e soprattutto cosa ci dice sulla città? Salvatore, noi facciamo gli architetti, diamo risposte, dobbiamo dare risposte. E' chiaro che prima ci vuole la domanda e noi dobbiamo farne e farcene, ma proprio quei discorsi mi restano oscuri.
Quanto poi al fatto che qualcuno si vuole sostituire alle archistar è un tuo leit-motiv ricorrente e ridicolo. Per due motivi:
1) Ma tu pensi davvero che per sostituirsi alle archistar basti scriverne e possibilmente male? Ma hai una lontana idea di come funzioni il meccanismo? L'unico che ci ha provato, con discreti risultati è stato Casamonti, ma lui ha creato una rete editoriale e accademica spettacolare, ed è stato molto bravo. E poi, cosa niente affatto indifferente, progetta da archistar. Non dubitare, il ragazzo è sveglio e intraprendente. Ne sentirai riparlare.
2) Ma volendo prendere per gioco e per assurdo questa tua idea come vera, non nella impossibile ipotesi che possa avvenire ma facendo un processo alle intenzioni di chi, secondo te, vorrebbe che quelle intenzioni si potessero avverare.
Ebbene, se fosse vero, quale sarebbe il problema per te? E quale sarebbe il problema in assoluto? Perchè ciò che è lecito ad alcuni non dovrebbe essere lecito a tutti? Forse non te ne sei accorto, e lo si capisce da questa storia delle archistar e della parola "invidia" che tu usi spesso, ma la vita professionale è fatta di lotta, di conflitto, di affermazione personale e non solo di cultura. Se non lo sai te lo dico io e se qualcuno ti dice il contrario, diffidane perché è in mala fede.

Dunque ti consiglio di metterti tranquillo e valutare la realtà con maggiore serenità di giudizio.

E la radicalizzazione delle posizioni non c'entra proprio un fico secco con la guerra. Il conflitto e la diversità delle idee è il sale della democrazia ed io ho in genere il massimo rispetto di chi si oppone con le sue idee alle mie. In genere mi guardo da coloro che, con la scusa del dialogo, del buonismo, vogliono farmi cambiare le mie idee, invece di discuterne rispettandole.
Vuoi un esempio fresco, fresco? Leggiti i commenti al post su Salzano.
Saluti
Pietro

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