Pietro Pagliardini
Rudy Ricciotti è, per me, il prototipo dell’archistar, forse suo malgrado, non saprei dire. Però devo riconoscere che quanto da lui detto nel comunicato stampa rilasciato al Centro Studi CESAR, sul tema “Archistar a L’Aquila”, mi è sembrato ragionevole e, soprattutto, intellettualmente onesto.
In particolare questa frase mi ha colpito:
"È impensabile a mio avviso - ha osservato - che ci sia una presa in ostaggio, estetica, del dolore; questa è piuttosto una questione politica. Se veramente dovessero venire coinvolte delle archistar, queste dovrebbero confrontarsi con le più umili necessità, con i budget più modesti e con i programmi più urgenti, come la ricostruzione delle abitazioni per le famiglie. La bellezza è sempre utile ma la priorità va data all’efficacia sensata".
La chiarezza con cui ha inquadrato il “fenomeno archistar” nella sua essenza profonda e ineluttabile è formidabile. Quando Ricciotti parla del rischio di “una presa in ostaggio, estetica, del dolore” non credo voglia fare del facile moralismo, non vuole dire che qualunque archistar andrebbe volontariamente a fare la passerella tra i terremotati, in barba ai lutti subiti; non vuole attribuire a nessuno in particolare il cinico calcolo professionale di sfruttare il terremoto come una ghiotta possibilità di apparire a livello mediatico. A me sembra proprio che Ricciotti abbia capito la ineluttabile, intrinseca e tragica “condanna mediatica” di un’operazione del genere se affidata alla presenza delle archistar.
Qualunque progetto, anche non eseguito, ma direi qualunque dichiarazione fatta sul campo da una qualsiasi archistar avrebbe una risonanza spettacolare, capace di coprire la realtà della fatica della ricostruzione, anche contro la volontà dell’archistar stesso e di mettere in secondo piano i problemi e i drammi umani dei cittadini di L’Aquila.
Le archistar, per loro natura, devono apparire continuamente, devono essere al centro dell’attenzione di TV e giornali. Loro sono archistar proprio per questo, altrimenti sarebbero bravi e normali architetti. Non può esistere l’archistar che si mimetizza, che si mette in seconda linea, che “si confronta con le umili necessità” perché il suo progetto sarebbe in ogni modo sotto i riflettori e dovrebbe esprimere comunque “una tappa” del suo lavoro e non potrebbe permettersi il lusso, un vero lusso, di fare un’opera “normale”, modesta, umile, non riconoscibile. Se anche lo facesse verrebbe interpretata, suo malgrado, come un’opera che si è calata nella realtà ma che porta impresso il marchio dell’architetto. La macchina mediatica del successo svolgerebbe, per conto dell’archistar e indipendentemente dalla sua volontà, la “presa in ostaggio, estetica, del dolore”.
L’archistar, fino a che non decade, è condannato ad essere grande e famoso comunque e a coprire e sovrastare tutto ciò che gli è intorno. Non è certo una novità, questa, per il mondo dello spettacolo e ormai non lo è neanche più per il mondo dell’architettura.
Ricciotti mi sembra abbia avuto il merito di cogliere il fenomeno archistar in tutta la sua dimensione mediatica e perciò effimera e questo, a prescindere dal fatto se egli stia o meno all’interno del cerchio di quel fenomeno, non può non essergli riconosciuto come prova di grande intelligenza.
30 maggio 2009
LA PRESA IN OSTAGGIO, ESTETICA, DEL DOLORE
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3 commenti:
Rudy Ricciotti ?
Chi era costui ?
Una volta riavuto indietro il prorio dolore, ostaggio di organizzanizzazioni preposte alla corretta gestione di questo (... una sorta di compagnia della buona morte...) rimarrà il problema di "che fare" in concreto, per tutti ed in qualsivioglia opportunità.
Oltre alle "archistars", cui potranno affidare tutt'al più qualche informe slargo di periferia tra "cubi" di cemento e comò con cassetti in disordine, e di cui si potrebbe, con una certa dose di fortuna, anche contenere capricci e le illazioni (...l'Aquila è un palcoscenico troppo piccolo e defilato per accogliere tutta la claque al seguito...), c'è da temere il diffusio restauro tecnologico e "cementizio": quello di "fantasia"; quello che si estende fino alle molle e tasselli gommati, ma che si potrebbe spingere agevolmente alle case sospese su tiranti ( sostenti dai palloni frenati.. per sicurezza...)
Lo stesso che, fino ad oggi, ha concorso allegramente ad appesantire i tetti ( …capriate in c.a. come la Basilica di Assisi.. ) e solai in genere; a "produrre" irreparabili lesioni su i vecchi muri con l'alibi del consolidamento.
Quello che continua a proporre materiali e tecnologie che costituiscono il peggior nemico delle nostre murature e dei materiali storici.
Rischiamo, in somma, che il poco rimasto venga sopraffatto ed annientato dall'insipienza di tecnici che prendono per oro colato l'encomiastico depliant del materiale e si prodigano per apporre reti elettrosaldate e betoncini miracolosi.
Gli stessi e per eseguire un foro nel muro ne fanno distruggere la più parte.
Il risultato peggiore potrebbe divenire, senza sforzo, il colpo di grazia: il sigillo finale ad una città malamente toccata dal destino.
Piuttosto mi chiedo se esistano, oltre agli architetti che si battono il petto per le sciocchezze proprie e degli altri, anche "ingegneri" disillusi dai miti d'oggi.
Saluto
Sì, il restauro tecnologico è proprio un bel rischio. Tanto più che in questo momento fa molto tendenza presso la politica e la stampa: le piastre di c.a. (che saranno, boh?), i cuscinetti "come fanno i giapponesi" che non muoiono mai (solo 7500 mi pare negli anni 90), le leggi regionali sul piano caso dove ogni intervento dovrà essere rigorosamente anti-sismico (che vuol dire rigorosamente? o è o non è e se c'è una legge, come c'è in effetti, allora deve essere, e basta, senza nemmeno ribadirlo), insomma tutta una serie di conformiste quanto inutili grida manzoniane. Tanto per scaricarsi la responsabilità, fare bella figura e poter dire: io l'avevo detto, l'ho messo anche nella legge!
Ma nessuno che dica che la tipologia edilizia è la prima regola, che le stranezze in genere non sono adatte al sisma. Questo cavolo di paese rincorre ogni emergenza come un vucumprà ogni cliente e sembra che ogni volta si debba cominciare daccapo con nuove norme, come se non ce ne fossero già abbastanza e quella che manca è invece la regola d'arte e le imprese, che non esistono più. Perché tutti credono che le case le facciano gli architetti, e quando cadono o si lesionano gli ingegneri, invece le fanno i muratori, i carpentieri e se questi lavorano a cottimo o vengono da chissà dove non c'è molto da fare.
Comunque consiglio, se già non lo conosci, questo bell'articolo di Ettore Maria Mazzola su il Covile.
http://www.stefanoborselli.elios.net/news/archivio/00000524.html
Saluti
Pietro
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