Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


17 settembre 2008

GEHRY, L'ANTI-PALLADIO SECONDO CACCIARI

Pietro Pagliardini

Massimo Cacciari, Sindaco di Venezia non conosce mezze misure ed è sempre esagerato, nel bene e nel male. Non mi riferisco, ovviamente, al Cacciari filosofo, ma al Cacciari sindaco, politico, uomo pubblico.

Ecco arrivata la conferma sul Corriere della Sera del 14 settembre con un articolo di Pierluigi Panza: Cacciari celebra l’architetto Frank Gehry indicandolo come l’anti-Palladio e dice: spazio all' «anti-Palladio» a Venezia, «che non è una città palladiana ma di dissonanze, perché non è possibile concepire un ordine senza caos. Per questo l'architettura anticlassica di Gehry è consona a Venezia».

Cacciari, che sa essere spesso anticonformista e fuori dal coro nelle sue posizioni politiche, si è comportato, almeno questo è il messaggio che traspare dall’articolo, come un Rutelli e un Veltroni qualsiasi, entrambi “fatti” dall’idea che le nostre città d’arte abbiano bisogno di rinnovarsi mediante l’architettura moderna (Ara Pacis, Pincio, MAXXI). Un’idea, prima che sbagliata, banale.

Gli stessi che, in nome del rispetto dell’ambiente, e talora a ragione, criticano le grandi infrastrutture che potenzialmente sono un fattore di sviluppo e di ricchezza, non si rendono poi conto che il primo ambiente da salvaguardare è quello antropico, la città e in particolare quelle città che in tutto il mondo sono il simbolo assoluto della bellezza e del genio artistico italiano e che rappresentano in atto, e non in potenza, il nostro petrolio.

Ma occorre dare ampio credito a Cacciari e cercare di interpretare il significato delle sue parole.

Venezia non è palladiana ma è una città di dissonanze.

Certamente è vero perché pur accogliendo Venezia opere del Palladio ed anche opere che si ispirano alla classicità, cioè opere il cui segno distintivo è l’ordine, la città nel suo complesso non è classica, urbanisticamente ed architettonicamente, nel senso che non è il risultato di un disegno, di un progetto unitario che si sovrappone al territorio e alla geografia (in molti casi artificiale), non è un manifesto del classicismo che pone al centro della propria visione l’uomo che misura lo spazio e domina la natura con forme geometriche e simmetriche; non è certo la simmetria a caratterizzare i canali, le calli e i campielli di Venezia.

Ciò non significa che Venezia non rappresenti una vittoria dell’uomo sulla natura perché questa è stata piegata e adattata splendidamente alle necessità umane mediante un disegno partorito non da un progetto unitario simultaneo, o sincronico, e realizzato poi nel corso del tempo, ma da un processo secolare di crescita della città, dominato in gran parte dalla coscienza spontanea.

Venezia è dunque una città di dissonanze come dice il suo sindaco, ma non è città “dissonante”. Il termine dissonanza ha origini musicali ed è l’opposto di consonanza. Consonanze e dissonanze, in musica, dosate nel modo opportuno originano l’armonia. Le dissonanze sono asprezze musicali inserite nel brano per renderlo più ricco e meno monotono. La minore o maggiore presenza di dissonanze (insieme ad altre complesse regole musicali che non conosco) crea sonorità diverse che vanno dall’armonia tradizionale fino alla musica dodecafonica.

Volendo paragonare Venezia ad un brano musicale credo che bisognerebbe essere molto spericolati per assimilarla ad un’opera di Shoenberg piuttosto che ad una di Mozart.
Venezia è perciò una melodia che naturalmente presenta dissonanze, smorzate nel modo opportuno e nella misura necessaria a non renderla né uniforme né “dissonante”.

Non è possibile concepire l’ordine senza caos

Qui esce fuori il filosofo con il quale mi è assolutamente impossibile competere. Sommessamente e pacatamente non posso però non osservare che, parimenti alla coppia di opposti citati, non esiste il bene senza male, il che non obbliga però nessuno a fare del male per pareggiare i conti con il bene; come non è necessario fare la guerra perché in giro c’è troppa pace.
Una cosa è dare risposte metafisiche alla domanda sulla relazione tra "essere" e "nulla", altra cosa è trasferire queste categorie nella realtà e nella città.

Sulla relazione tra opposte categorie esiste una storiella, vera, di una mia conoscente insegnante alla quale un alunno, richiamato per il suo scarsissimo profitto, rispose: “Ma professoressa, a scuola mica tutti possono essere bravi, ci vogliono anche i somari!
Battuta brillantissima perché non solo rende (apparentemente) inevitabile il fatto che esistano studenti che non studiano, ma anche assegna (apparentemente) un ruolo di necessità allo scarso rendimento del ragazzo; sembra dare realtà al fatto che gli studenti bravi lo siano in virtù dell’esistenza dei vagabondi.
E così, secondo Cacciari, il caos (cioè l’opera di Gehry) sarebbe giustificato dalla esistenza dell’ordine a Venezia o meglio l'ordine di Venezia non potrebbe sussistere senza il caos.

Ma l'armonia con dissonanze e l'ordine di questa città sono largamente apprezzati anche nello stato di fatto in cui sono (glielo posso assicurare signor Sindaco) e non hanno bisogno di alcuna controprova o giustificazione per continuare ad esistere.
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Questa intervista di Cacciari su Ghery e Venezia sembra, in verità, che non sia esattamente pertinente con l'opera da realizzare perché, se non sbaglio, l’Archistar americana ha progettato solo il Venice Gateway all'aeroporto di Tessera che con la città ha una relazione non proprio diretta ed immediata.

Se è così, la questione dell’architettura contemporanea dentro Venezia perderebbe consistenza, salvo quanto già realizzato; l’aeroporto è una tipologia che, per essere di origine novecentesca e, in genere, collocata ben lontano dai centri abitati, poco ha a che vedere con i centri storici, se non per relazioni di tipo territoriale, quanto con i luoghi in cui si va a collocare.

Ma allora, perché tutto questo discorso di Cacciari sulla contemporaneità dentro Venezia per non farla diventare un “arcaico museo”, come dice lui stesso? Difficile pensare che abbia detto parole di circostanza! Credo che tutto ciò rappresenti la sua filosofia di intervento per Venezia e per i centri storici in generale.

Trovo veramente difficile comprendere le ragioni profonde che spingono architetti o uomini di cultura come Cacciari a ritenere una sorta di obbligo morale quello di lasciare il segno dell’architettura contemporanea all’interno delle parti antiche e più pregevoli delle nostre città (diverso è il caso di un riuso dell’esistente per non farle morire). E’ certamente vero che quasi tutte le città sono il sedimento lasciato da ogni epoca storica e che non esiste epoca che non abbia lasciato traccia di sé ma come motivazione di una coazione a ripetere mi sembra, da sola, un po’ fiacca: è stato fatto prima, lo dobbiamo fare anche oggi. Tutto qui?

Ci sono molte differenze tra oggi e ieri che consigliano almeno maggior prudenza nei giudizi:

1) I canoni architettonici, dal ‘900 ad oggi, sono completamente rivoluzionati rispetto a prima, fino a determinare una rottura completa, un taglio netto tra un prima e un dopo, una assoluta diversità tra ciò che c’era e ciò che si fa oggi; non si tratta di modifiche formali limitate e circoscritte ma dell’azzeramento di ogni regola, di ogni criterio, sia morfologico che tipologico e, tra l’altro, aggravato dalla presenza di tanti linguaggi quanti sono gli architetti. E’ una babele di lingue dissonanti tra loro stesse il cui unico elemento comune è l’assoluto arbitrio progettuale e il ricorso ai materiali nuovi offerti dalla tecnologia. Niente di minimamente confrontabile con le evoluzioni e le rotture passate, del Barocco rispetto al Rinascimento, ad esempio o del Gotico rispetto al Romanico.

Sono incommensurabili le differenze dell’architettura moderna e contemporanea con tutto quanto c’era prima, nei confronti del passaggio da una fase all’altra nei periodi storici sopra citati: l’architettura è ormai indifferente al contesto, aldilà delle sciocchezze scritte nelle relazioni di accompagnamento ai progetti; ciascun progetto vive di vita propria, non dialoga volutamente con l’intorno, è un oggetto di design deposto nella città e nel territorio in modo casuale o determinato da esclusive scelte di mercato; la triade vitruviana è completamente abbandonata.

Perché, allora, si vuole andare a collocare questi oggetti proprio laddove la “dissonanza”, il contrasto appare più forte ed evidente, rispetto all’armonia delle nostre città storiche, amate nel mondo proprio per questa caratteristica? Perché si vogliono assimilare le città a Shoenberg quando è infinitamente più amato Mozart? Non è forse questa una volontà di danneggiare e dissipare un patrimonio culturale ed economico; non è come dare fuoco ai pozzi di petrolio per fotografarne le fiamme; non è un disastro ambientale almeno pari a quello di una petroliera che perde il suo liquido in mare?

2) La giustificazione corrente è che bisogna farlo in nome della modernità. Questa parola ha perso da tempo il suo significato positivo originario perché ormai svincolata da quella spinta e da quella fiducia al miglioramento della società che ha caratterizzato il nostro paese, e non solo, nell’immediato dopoguerra. Quella modernità che ha portato uno sviluppo impetuoso alla nostra società, nell’ansia e nella volontà di migliorare il proprio tenore di vita, ha avuto, tuttavia, come ricaduta, danni enormi al nostro patrimonio storico, artistico e architettonico: mura di città demolite per aprirsi, simbolicamente ed anche materialmente al mondo esterno e alle nuove infrastrutture stradali e ferroviarie, reperti archeologici fatti sparire per non intralciare la costruzione di palazzi, chiese abbattute per rinnovare parti di centri storici, ecc.

Questi che oggi verrebbero chiamati scempi, almeno avevano dietro una spinta della società, una motivazione, diciamo così, di ordine superiore che, nel bene o nel male, metteva al primo posto l’uomo, sotto forma di miglioramento delle sue condizioni di vita. C’era una corsa verso le città, viste come il luogo dell’emancipazione del benessere, a cui tutto il resto veniva sacrificato.

Oggi c'è bisogno di "un'altra modernità" che dovrebbe esprimersi con maggiore maturità e rispetto verso i segni del passato; oggi si manifesta un processo inverso di migrazione dalle città grandi a quelle piccole e alle campagne perché si ricerca la qualità della vita e dell'ambiente e, come è maturato il rispetto verso l’ambiente naturale, dovrebbe maturare quello verso l'ambiente costruito, cioè verso la città.
Invece vi è chi, inspiegabilmente, vuole ripercorrere gli stessi errori del passato recente con la sola differenza di un’architettura più scintillante, luminosa, high-tech, glamour.


N.B. Limmagine di Venezia è tratta da Virtual Earth di Microsoft

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Sarebbe interessante sapere cosa facesse Cacciari quando è stato perpetrato il restauro della Fenice dal fu Aldo Rossi, secondo un concetto che meno moderno di così si muore (appunto!).

saluti
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Se avessi il suo cellulare glielo chiederei ma non avendolo devo rimandare all'incipit del post.
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

Si potrebbe anche dedurre, da come s’è espresso il nostro e dagli atteggiamenti contradditori su “fenice” e “ponti”, che “ordine” e “caos,” strettamente connessi, agevolino il suo compito di sindaco (… più in generale di uomo…) di provvedere empiricamente ora all’uno ora all’altro ; evidentemente a seconda delle circostanze .
A meno che non ritenga, come Cainiti e Basilidiani , somma superbia non praticare il male qualunque esso sia.
Da perfido eresiarca moderno avrebbe potuto, più elegantemente, ridurre “l’ordine” ad un “disordine-caos” ripetuto .

Saluto

P.S.: Gli aeroporti ( aerostazioni) tolte le piste , si riducono (..fortunatamente..)ad una comunissima stazione o luogo ad uso di moltitudini ( terme ecc. ecc. ) tema ampliamente trattato nei secoli scorsi come recentemente nella superba Penn Station a N.Y..
Di queste mirabili adattamenti la grande metropoli americana non è avara, benché siano poco studiati e nascosti dalle intemperanze dei modernisti.

Pietro Pagliardini ha detto...

Memmo54 hai ragione sull'aerostazione. In effetti ho commesso un errore blù scrivendo che si tratta di nuova tipologia.
Tuttavia vorrai ammettere che l'unica differenza non sono le piste ma la complicazione dei percorsi d'arrivo e di partenza, i controlli di sicurezza, il movimento dei bagagli, la quantità di parcheggi esterni e poi, non ultimo, il fatto che, per essere normalmente fuori della città, è anche ammissibile un atteggiamento più libero dal punto di vista del progetto.
Però, se è giusto chiamare Tessera la Porta di Venezia, per chi viene in aereo, non è proprio il massimo scendere dall'aereo e pensare di trovarsi a Bilbao.
Pensare che è andata anche bene perchè se hai visto gli studi preliminari dell'attuale progetto.... hai presente la famosa Merda d'artista di Manzoni? Ecco, quegli studi, tutti su plastico, richiamavano molto non il barattolo ma il suo contenuto. Intendo alla lettera, come forma tipica e codificata della cosa e non in senso metaforico.
saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

In modo più soft, ma altrettanto efficace, Giulio Romano qualche tempo fa sul magazine del sole ventiquattrore, paragonò un'architettura di Gehry ad una brioche ........ evidentemente la differenza fra le varie versioni sta nella lievitatura

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Deve essere un po come in quelle prove psicologiche in cui ti fanno vedere delle immagini e c'è chi ci vede una.... donna e chi invece un ferita da taglio. E' vero che esistono brioche così, che guarda caso, da noi almeno si chiamano veneziane ma dubito che quando Gehry è stato a Venezia sia stato nutrito a brioche, tanto da ricordarsene così bene. Invece conosce benissimo quell'altra cosa. Ribadisco la mia impressione, comune tra l'altro a tutti qui allo studio.
In ogni caso, anche fosse un tacchino arrosto, sempre schifezza resta.
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

Non ho la stessa inclinazione politica del sindaco Cacciari ma devo ammettere che è veramente una persona intelligente. Finalmente un sindaco che dice le cose some stanno, che non si lascia influenzare dai partiti e dalle correnti. Venezia è sempre stata un crocevia di traffici non solo commerciali ma anche e soprattutto culturali, e ciò si vede nella forma e nella fisionomia della città lagunare, che ha assorbito influssi occidentali e orientali, antichi e moderni e li ha amalgamati insieme. Basta guardare San Marco o le differenze tra i palazzi che si affacciano sul Canal Grande per capire come questa città sia sempre stata permeabile a ogni influsso e a ogni cultura. Chiudere la città a riccio e impedire ogni nuova costruzione non è solo uno scempio per Venezia ma rischia di trasformarla in una città museo, morta e fredda, priva di vita e dello spirito esuberante che l'ha sempre contraddistinta nei secoli. Per questo difendo le idee di Cacciari, il discusso ponte di Calatrava, indiscutibilmente un genio dell'architettura di oggi, e ogni novità che dia alla città una nuova vitalità.

Pietro Pagliardini ha detto...

Non dubito affatto che lei non ne faccia una questione politica. Infatti l'incapacità di comprendere la rottura che c'è tra l'architettura moderna e contemporanea e quella precedente è assolutamente trasversale.
Pare non ci sia sindaco, di destra o di sinistra, che non voglia lasciare la sua traccia tramite gesti architettonici forti e di rottura, dissipando la ricchezza nazionale.
Quanto al Ponte...ne riparliamo tra un paio di anni. Per ora le consiglio di leggere il post sopra a questo che è un link a Camillo Langone proprio sul ponte.
Saluti
Pietro

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