Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


11 dicembre 2008

SOCIETA' LIQUIDA, CITTA' SOLIDA (2)

Concludo con questa 2° parte il resoconto del convegno URBS2008.
Essendo già molto lunga la trascrizione degli interventi di Paolo Portoghesi e di Orazio Campo, non aggiungo alcun commento, solo una precisazione: purtroppo nella registrazione di Portoghesi alcune parti non sono ben comprensibili al registratore e quando questo avviene ho inserito dei puntini. In alcuni casi avrei potuto interpretare ma ho preferito lasciare il compito a chi legge.

PAOLO PORTOGHESI
Bauman è un analista della contemporaneità e ha la forma mentis di chi leggendo il presente dà anche un’idea del futuro. …. Ha una visione che si basa sulla prevedibilità: è un errore perché i secoli hanno dimostrato una capacità di contraddizioni interne, di cambiamenti che rendono la storia assolutamente imprevedibile, fanno parlare i filosofi di destino, cioè qualcosa che supera la prevediblità, il meccanismo di un fenomeno nato ad espandersi all’infinito. Per esempio la mondializzazione....: è proprio sicuro che sia la prospettiva del futuro? Secondo me è legittimo farsi la domanda soprattutto di fronte alla crisi economica che stiamo vivendo in questi giorni. In fondo la mondializzazione è stata creata da una idealizzazione del mercato. I produttori si sono mossi alla ricerca del minimo costo di produzione. Questo ha prodotto una vera e propria rivoluzione nei rapporti. Con questo può darsi che continui all’infinito, può darsi anche che abbia una inversione.
D’altra parte noi parliamo di architettura che è una disciplina che ha sempre avuto molta difficoltà a sposarsi con la democrazia. Per esempio l’architettura moderna è nata proprio come rivolta di una piccola minoranza di persone contro la stragrande maggioranza della borghesia dell’ottocento che era arretrata nel gusto e continuava per la sua strada ad autocelebrarsi. Poi l’architettura moderna ha scoperto la democrazia e si è resa conto che i bisogni, i desideri delle persone sono importanti, non basta soltanto imporre il proprio punto di vista di minoranza. Questo discorso della maggioranza e della minoranza è importante finché la democrazia si basa sulla maggioranza io trovo che sia legittimo che l’identità di base di una città continui a svilupparsi e non si debba invece arrestare di fronte a questa tematica del dialogo. Il dialogo è necessario io ho costruito una moschea e sono felice di averlo fatto perché ho visto come abbia risolto dei problemi concreti
però io ho cercato di costruire a Roma una Moschea romana. Non mi sono fatto imbavagliare dal discorso del dialogo che ha un senso finché è sincera e concreta, quando invece diventa una volontà diciamo pure politica, tra virgolette, rischia moltissimo.

Prima di decidere del futuro della città bisogna soprattutto guardare alla città, ascoltarla. Ascoltare la città nel suo divenire storico è fondamentale. In fondo il futuro non è altro ciò che noi costruiamo con le nostre mani adoperando i materiali necessari …. Roma, per esempio, è una città in cui noi possiamo vedere mummificate, sintetizzate tracce di epoche storiche diversissime e il dialogo di Roma è di essere una città eterna …..mantenendo ovviamente una coerenza che non ha nulla a che fare con le forme…..
L’architettura è legata alla terra. Quando si parla di liquidità dell’architettura si parla di qualcosa di paradossale perché il liquido tende a spandersi dappertutto. I fiumi sono in un certo senso il tessuto formativo della terra e rappresentano un’ambiguità alla permanenza e alla stabilità del luogo.
Io penso che, se si deve pensare al futuro di Roma, la cosa più sbagliata sia quella di cercare di adeguarsi, senza uno sguardo critico, a ciò che sta succedendo in tutto il resto del mondo. In questo modo Roma potrà essere soltanto l’ultima degli ascoltatori senza poter in nessun modo intervenire e dire una parola propria.

Per questo secondo me è molto importante che si riportino .... dell’architettura in italia che è stata un’architettura che ha accettato l’influenza e ha assorbito criticamente, tranne forse il più celebre architetto della vicenda italiana, Terragni, un personaggio che ha vissuto l’identità italiana dell’architettura moderna in modo drammatico, profondo….

Ben vengano le riflessioni dei sociologi che ovviamente sono uno strumento che ci consente di conoscere meglio la (realtà) ma non pensiamo che la mondializzazione possa essere un modo per sfuggire alla grande responsabilità di opere per la città come quelle.
Abbiamo visto chi è venuto da fuori, abbiamo visto Meier, abbiamo visto Zaha Hadid: io francamente non credo che abbiano aggiunto granché. Sono stati scelti gli architetti che alle sorti di Roma erano totalmente disinteressati. Se noi avessimo scelto Louis Khan, ad esempio (applausi prolungati in sala) se avessimo scelto anche Robert Venturi il risultato sarebbe stato molto, molto diverso.
Roma è una città che continua a insegnare architettura a tutto il mondo, noi volenti o nolenti. Chi studia architettura si trova di fronte a questo straordinario fenomeno di un momento unificante che ovviamente è proprio il contrario di questo frammentarismo.
Mi dispiace di non poter colloquiare (Nota: si riferisce al fatto che non è previsto dibattito con il pubblico).

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Interviene a questo punto la coordinatrice che torna a Bauman e osserva che, se è vero che lo stesso Bauman non ha mai parlato di liquidità dell’architettura, è anche vero che esistono fenomeni, sociali più che di cultura architettonica, come la provvisorietà di intere città (si riferisce a baraccopoli e favelas) che è in fondo una forma di liquidità dell’architettura. Domanda che relazione c’è tra questi fenomeni e l’architettura.

ORAZIO CAMPO
A questo punto risponde Orazio Campo, che riassumo velocemente:
L’architettura si è mossa distruggendo quei punti fissi che erano accettati. Questo cambiamento ha portato l’architettura ad essere moda e hanno portato una serie di problemi nelle città. Campo non parla di linguaggi architettonici ma, ad esempio, Meier a Roma si è posto con grande arroganza come a voler cancellare ciò che esiste e rendersi protagonista. Un altro aspetto è che questi tipi di interventi sono insostenibili economicamente. Questi interventi si portano dietro un costo in termini di cubature sempre maggiori. E cita il caso delle torri di Renzo Piano all’EUR. 

Cita inoltre il caso del Ponte di Venezia che è costato quattro volte il preventivato e una durata quattro volte superiore a quella prevista. Ciò avviene in deroga alle leggi che impediscono che questi fatti possano avvenire. Se invece l’opera è griffata questo può succedere. Allora che si dichiari apertamente che in presenza di opere firmate da archistar si può tranquillamente deregolamentare sia in termini di parametri urbanistici che di costi.

Sul problema dei centri commerciali racconta di come questi si stanno modificando e stanno trasformando arte della loro volumetria in residenziale, cioè stanno nascendo veri e propri quartieri con un mix di funzioni, alla socialità della piazza e delle strade. Dunque attenzione alla sperimentazione perché questa è “fatta sulla pelle dei cittadini, e penso al Corviale, che devono poi sperimentare quanto qualche architetto fantasioso ha pensato”.
Orazio Campo conclude con una battuta sui concorsi i cui giudizi risentono del continuo scambio delle parti tra giurati e concorrenti (grandi applausi a questa affermazione) e propone che le giuria non siano costituite solo da architetti, ma anche da altri soggetti quali i cittadini, qualcuno rappresentativo, ecc.

Devo dire che non potrei riportare il testo esatto di quanto detto da Campo perché è stato più volte coperto dagli applausi in sala, sia sul tema dei concorsi, che sulla responsabilità degli architetti, che sul tema delle periferie.

SESSIONE POMERIDIANA-FARE E DISFARE

PAOLO PORTOGHESI
Partiamo da Roma come esempio che conosco meglio. Per molti anni non si è pensato a sostituire alcunché ugualmente è sorto quello che era opportuno conservare ogni momento della vita architettonica della città congelando il centro storico poi ampliando il circuito del centro storico e quindi in un certo senso imbalsamando la città e ci siamo battuti perché questa intangibilità della città che contraddice la sua storia fosse eliminata quindi in molte occasioni io ho difeso il diritto di entrare nel centro storico soprattutto per risolvere i problemi che erano rimasti insoluti. Quando Carlo Aymonino era assessore al centro storico io accolsi con entusiasmo quella sua idea di risolvere i problemi del centro storico lasciati insoluti dalle demolizioni dell’epoca fascista, i famosi buchi. Il progetto fu drasticamente interrotto dal cambio di amministrazione, per cui non si può giudicare per i risultati che ha avuto, si può giudicare solo attraverso le intenzioni. 
Di questi buchi pochissimi poi sono stati riempiti. Recentemente quello che sta ai piedi del Pincio dove si imbocca la galleria …. Quella ferita è stata riempita nel modo più banale e insignificante.
Contemporaneamente stanno avvenendo sostituzioni di notevole peso come quello dell’Ara Pacis in particolare … 
Vorrei dire questo: che mentre ostinatamente continuo a difendere il diritto dell’architettura moderna di intervenire all’interno, nel corpo della città e della necessità che questo avvenga, devo dire che nessuno degli episodi recenti mi sembra (l'abbia fatto) in forma accettabile
E in effetti queste sostituzioni sono state basate su un’indifferenza verso Roma e come ho detto questo mattina, come Roma sia una città che pretende da chi si propone di trasformarla una coscienza profonda. Per ammettere una sostituzione ritengo sia indispensabile questa conoscenza analitica, questo tentativo di entrare in sintonia.

In effetti Roma è una città che continua ad essere maestra di architettura. La lezione di Roma, diceva Le Corbusier, è un lezione difficile.
Tuttavia anche Le Corbusier che la chiama rischiosa l’ha accettata: Chandigarh è un’ipotesi di città che tiene conto di questa lezione. Indubbiamente quelle che sono avvenute (le sostituzioni) appaiono clamorosamente indifferenti, nel senso che nemmeno entrano in contrasto, perché tutto sommato è una lezione che si può rifiutare e probabilmente potrebbe essere anche esplicativo come la lezione di Roma ha operato all’interno del tessuto. Questo rifiuto però deve essere un rifiuto intellettuale, con una sua forza, una sua chiarezza che non appare nell’intervento di Meier.

Ma visto che siamo all’EUR vorrei parlare della tragedia dell’EUR che è nata per ospitare le Olimpiadi della Civiltà, così furono definite a quel tempo, cioè un’Esposizione Universale tutta puntata sulla cultura e in cui si doveva esporre all’interno di un pezzo di città che tenesse conto della grande tradizione. L’ipotesi di Piacentini, come tutti sanno, è nata politicamente, sbarazzandosi dei suoi compagni di strada, Piccinato e Pagano, che tendevano all’internazionalità e quindi avevano proposto un Piano regolatore molto simile a quello delle altre città del tempo. Piacentini ebbe la meglio anche perché soffiava il vento del nazismo, dell’alleanza tra l’Italia e la Germania, ma se guardiamo l’EUR dalla distanza ormai storica, dobbiamo riconoscere che questa occasione, non per realizzare un compromesso tra razionalisti e tradizionalisti, ma invece questa occasione affidata nelle mani di un tradizionalista, più o meno illuminato a seconda dei tempi, molto sensibile alle politiche, ha dotato la città di uno dei suoi elementi di modernità.

Paradossalmente se c’è un quartiere a Roma che può rappresentare la modernità è proprio l’EUR nel senso che somiglia poco alla città storica, prende lezione soprattutto dalla città romana antica e per certi aspetti è estranea al carattere di cordiale tessuto storico, però ha una sua forza d’immagine, una sua complessità, una sua logica interna indiscutibile.

Una logica interna che oggi viene turbata da una serie di sostituzioni sbagliate, anche se credo che siano state fatte con la buona intenzione di continuare la tradizione di questo quartiere di avere ospitato funzioni importanti e di avere svolto rispetto alla città una funzione di centro (…..). Innanzi tutto devo dire che mi ha meravigliato della demolizione del Velodromo che era un’eccellente opera architettonica di cui il CONI sentiva più il peso che la fierezza e che, gradualmente lasciandolo degradare, ha creato le condizioni per la sostituzione che avrebbe potuto avvenire in tempi diversi senza quella implosione, paradossalmente vietata dalla sovrintendenza che di solito ha un grandissimo potere ma poi autorizzata per ragioni di ordine pubblico. Così abbiamo perso un edificio importante per la tradizione moderna per un cavillo burocratico: c’erano già le cariche per le esplosioni e così per misure di protezione dell’incolumità pubblica si è distrutta una testimonianza significativa.

Ancora più grave è secondo me il fatto che le torri del Ministero dell’Economia siano state distrutte e la possibilità che vengano sostituite da un edificio che non ha le logiche previste dal piano dell’epoca ma adotti una tipologia invece completamente diversa. Questo dopo che è avvenuto, qualche anno fa, un altro errore urbanistico: c’era un terreno dell’EUR destinato a quei servizi di carattere pubblico che mancano al quartiere il quale, proprio per essere nato in funzione di un’Esposizione Universale, manca di quel tessuto di carattere commerciale e anche di carattere …., fondamentale per un quartiere che ha ormai assunto anche una forte impronta residenziale.
Questo unico terreno rimasto per realizzare i servizi necessari per la vita del quartiere è stato sacrificato ad una duplicazione del Palazzo dei Congressi…..
(la Nuvola).
Oggi la demolizione delle torri …qui c’è un errore clamoroso secondo me perché questo quartiere ha una sua logica che è stata fondamentalmente seguita negli anni sessanta, anche perché Piacentini ….. ha perseguito la continuità della gestione ed era quindi una visione abbastanza coerente e chiara di una impostazione della struttura urbana.

L’eliminazione delle torri indubbiamente, che hanno tra l’altro una compensazione di carattere volumetrico nell’ex Ministero delle Poste, dice veramente come la mancanza di un dibattito, di una assimilazione, anche forse la mancanza di una partecipazione reale possa aver creato una situazione in cui la sostituzione, valore sicuramente positivo per la vita di una città, si è realizzata non soltanto lasciando quella ferita inevitabile che la sostituzione comporta , ma dando a questa ferita ha il carattere di una mancata sensibilità nei confronti di un forte significato di un certo assetto che la città aveva acquisito.

Ecco quindi per concludere quello che secondo me è utile acquisire: per una città come Roma il problema della conservazione è un problema vitale. Roma non sarebbe eterna se non fosse un esempio di continuità e discontinuità nello stesso tempo, una città che ha saputo rinascere (molte) volte, sempre con una certa coerenza, non nel rispetto assoluto dell’eredità ricevuta che è casomai una conquista moderna ma nella capacità di reintegrare la propria etnia, la propria identità, i valori delle epoche precedenti, anche quando questi valori sono stati rovesciati come è avvenuto …. che rappresenta da una parte proprio la negazione dei valori logici dell’architettura precedente, dall’altra una continuità materiale impressionante che ha poi il suo culmine nel ….. Edifici di Roma che parlano più chiaramente raccontandoci questa storia di continuità.

Ecco quindi che emerge la necessità che la città ridiscuta sulla propria identità e dia spazio a delle sostituzioni che non siano avventate, che non contraddicano l’esigenza fondamentale di conservare il significato del valore della varie parti della città.

Sicuramente ci sono a Roma quartieri che potrebbero essere sostituiti senza problemi ma, se oggi si dovessero identificare sono sicuro che si commetterebbero degli errori perché non è mai stato fatto un lavoro analitico di individuazione. Le sovrintendenze che in fondo in molti casi hanno negato autorizzazioni, hanno però assunto spesso atteggiamenti incoerenti e non hanno soprattutto mai continuato quel lavoro meritorio che era stato iniziato alla fine degli anni trenta di catalogazione degli edifici di grande significato storico.

Indubbiamente in questi ultimi trent’anni il lavoro di ricerca e di acquisizione storiografica e di conoscenza è stato di una quantità impressionante e quindi oggi ci sono le basi per poter dare un giudizio sul grado di sostituibilità delle varie parti della città. E’ chiaro che nessuno si è preoccupato di fare questo e io credo che sia giusto invitare le autorità responsabili ad aprire il dibattito e cercare di identificare con sicurezza quelle parti della città in cui la sostituzione è propizia. Il dialogo, per dare una risposta alla domanda di case a basso costo di cui si discute in questi giorni, potrebbe essere anche un’occasione per realizzare questa individuazione delle parti eseguibili senza danno, sempre in funzione di un discorso fondamentale che è quello sulle infrastrutture perché Roma è una città sicuramente che sa ospitare e assimilare molti valori della contemporaneità ma quel sacrificio di tempi umani che implica la tragedia del traffico è un elemento di fronte al quale non si può assolutamente assumere un atteggiamento di indifferenza.
Basta pensare all’episodio della tangenziale urbana, all’errore di fare una metropolitana all’interno del centro storico allungando enormemente i tempi e adottando tecnologie sbagliate.

Per parlare anche di sostituzioni io ho visto sparire la settimana scorsa una quindicina di pini secolari messi a dimora all’epoca di Renato Ricci per quell’inquadramento scenografico dell’Altare della Patria che aveva preso il nome di Foro Italico poi il nome è passato a Foro Mussolini. Nessuno si è accorto di questa sparizione che indica una indifferenza e anche, se vogliamo, la complicità della cultura archeologica nel dimostrare la settorialità dell’approccio che è sicuramente dannosa.
Mi limito a rivolgere un invito: già stamattina ho segnalato la sparizione della Direzione Generale del Ministero dei Beni Culturali che si occupava di arte moderna e qualità urbana. Praticamente nelle istituzioni culturali della Repubblica non c’è più un’istituzione che possa dare voce alle esigenze della qualità architettonica e all’esigenza anche di contrapporre a una cultura della conservazione ad ogni costo, una cultura della trasformazione, del rinnovamento.


1 commento:

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