Ho ricevuto questo commento di Vilma Torselli sul progetto della Chiesa di Massimiliano Fuksas a Foligno. Come faccio spesso quando ho fretta l'ho dapprima pubblicato nello spazio dei commenti, riservandomi di leggerlo con calma. Dopo averlo fatto, pur nella diversità di opinioni, mi sono reso conto che quel luogo era troppo stretto.
Ogni attività creativa dell'uomo produce immancabilmente simboli: unendo significati lontani e sintonizzandoli su un significato comune, l’opera costituisce il medium per svelare intrinseci valori simbolici ed un segno o una forma possono far riferimento ad una realtà non raccontata, ma resa comprensibile alla nostra capacità percettiva al di fuori dei normali processi razionali.
Come afferma Freud, il simbolo è un'eredità filogenetica grazie alla quale l'uomo ha una disposizione mentale che lo mette in grado di relazionare le pulsioni e le emozioni psichiche con gli oggetti, il campo della rappresentazione visiva è quello nel quale queste capacità relazionali vengono utilizzate costantemente e al meglio.
Si dice che "ogni figura racconta una storia", e questa asserzione generale vale per gran parte dell’arte, se si eccettua la ’mera’ decorazione geometrica.", così scrive Gregory Bateson ( "Verso un’ecologia della mente", 1997), e vale, aggiungerei, per l’architettura, che come l’arte è chiamata a istituire un criterio formale che convogli il linguaggio verbale verso la codifica iconica dell’immagine.
Tutte le attività umane, l’arte, l’architettura, che si esprimono attraverso segni acquistano un valore simbolico al di là della rappresentazione pura e semplice, per addivenire attraverso il simbolo alla rappresentazione visibile dell’invisibile.
Se accettiamo l’idea che l’architettura debba immancabilmente organizzare lo spazio secondo una funzione e al tempo stesso rappresentare i modi e il senso nei quali la funzione viene espletata, in relazione al contesto culturale in cui si colloca e che in essa si riconosce (da cui il valore simbolico dell’architettura), si comprende come tutto possa essere simbolo, che lo diventi o meno dipende dal significato che l’uomo gli attribuisce, in determinate circostante, in determinati contesti, nell’ambito di una realtà culturale precisa.
La religione ha sviluppato una vera e propria teologia simbolica, incorporando il concetto che il simbolo è mezzo per denunciare ed al tempo stesso surrogare l’inadeguatezza della parola o dell’immagine ad esprimere il sacro, cosicché l’architettura religiosa è per eccellenza quella che più si esprime attraverso una grande ricchezza di contenuti simbolici.
Tuttavia l’esecutore dell’opera, l’architetto che progetta un luogo sacro, esprime, sì, nella forma architettonica precisi contenuti liturgici e dogmatici codificati dalla tradizione religiosa, ma anche il senso che in quel momento storico e in quel contesto sociale viene annesso a quel tipo di edificio, filtrandolo, e questo è un passaggio chiave, attraverso il suo vissuto umano e culturale conscio o inconscio.
Solo grazie a questo passaggio un’architettura ‘simbolica’ diventa ‘simbolo’ (vedi la La Chapelle Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp).
Detta in parole povere, nella chiesa di Foligno Fuksas ci ha ‘messo del suo’, egli stesso spiega il significato della modesta elevazione del terreno, del taglio trasparente alla base, “la sospensione di un volume all’interno di un altro”, ecc.
Questi sono innegabilmente contenuti ‘simbolici’ che si sovrappongono a quelli dogmatici con il rischio reale di prevaricarli (rischio peraltro di tutta l’architettura moderna) e con la possibilità di una reificazione dell’architettura in oggetto architettonico. Ma questo rischio c'è sempre stato e sempre ci sarà, finchè, per fare una chiesa, non decideremo di mettere tutti i dati (dogmatici e liturgici) in un computer che, dopo una bella ‘shakerata’, sfornerà la chiesa perfetta!
Ciao
Vilma