Parto dalle parole chiave del dibattito urbanistico attuale, sia in politica che tra i così detti addetti ai lavori (i due campi si confondono spesso), quelle che vengono citate ogni tre per due e che, giuste o sbagliate che siano, frutto di riflessione meditata o semplice coazione a ripetere slogan, contribuiscono non poco alle scelte, o alle non-scelte, e quindi ai risultati.
Le parole chiave, i tag, sono l’espressione semplificata di principi, idee, visioni della città ma proprio per sintetizzare devo ricorrere ad un’ulteriore semplificazione, una selezione che necessariamente ne trascura moltissime altre non meno importanti . Ne sono consapevole.
Dunque le parole chiave più ricorrenti sono, a mio parere:
• sostenibilità
• consumo di suolo
• zero volume.
James Howard Kunstler |
La prima delle tre, la sostenibilità, è il principio fondante delle altre due, che rappresentano invece il momento di attuazione concreto di quel principio, il modo attraverso il quale si ritiene di conseguire il risultato di rendere qualsiasi atto pianificatorio o edificatorio “sostenibile”. Si potrebbe dire “in principio era la sostenibilità” perché in fondo la sostenibilità si sostiene su un atto di fede politica, essendo le verità scientifiche addotte alquanto controverse, soggette a confutazione e del tutto secondarie rispetto alla profonda motivazione ideologico-lobbistica (vedi lobby )
In questo senso la legge urbanistica della Regione Toscana, già nella sua prima versione, è probabilmente la madre giuridica, e quindi il vangelo dello stato di diritto, di questo principio e delle sue conseguenze. Dice infatti la legge (condenso e semplifico):
La legge promuove lo sviluppo sostenibile, nel rispetto della migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future e garantisce la tutela delle risorse essenziali del territorio quali, aria, acqua, suolo ed ecosistema, città ed insediamenti, paesaggio e documenti della cultura, sistemi infrastrutturali.
Nuovi impegni di suolo (consumo di suolo) sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di realizzazione e riorganizzazione degli insediamenti (zero volume).
Segnalo il tono profetico e salvifico volto a preservare le generazioni future, quindi quelle che ancora non ci sono. Personalmente tendo a diffidare di chi, al di fuori di una visione religiosa e all’interno di una politica, dichiara di preoccuparsi troppo anche per chi ancora non c’è. Mi sembrerebbe sufficiente pensare ai figli e al massimo ai nipoti: andare oltre, più che superfluo è arrogante è pericoloso perché lascia supporre di avere capito tutto anche dell’evoluzione del futuro. Sembra un atto di speranza ma è invece il suo opposto perché manifesta la sfiducia nella capacità delle future generazioni di saper gestire e trovare soluzioni al loro presente. Induce ad un ripiegamento su se stessi, è la fine della speranza, l’interruzione del cammino in una visione lineare del tempo e della storia. Potrebbe trattarsi solo di realismo o di principio di precauzione, ma il primo richiederebbe informazioni e dati più certi, il secondo è negato dal testo della legge e soprattutto dai toni apocalittici che accompagnano in genere la pronunzia di questo assioma.
Si dichiara, infatti, che la sostenibilità è finalizzata alla qualità della vita dell’uomo e si specifica che la “qualità insediativa ed edilizia sostenibile” deve garantire “la sanità e il benessere dei fruitori”. Queste due condizioni vengono però dopo “il risparmio energetico” e “la salvaguardia dell’ambiente naturale”.
Sanità e benessere insieme evocano, più che altro, ticket, liste di attesa e la pubblicità di una SPA in località termale, e questo la dice lunga sulla visione dell’uomo che viene sottesa dalla legge, perché il vero soggetto della legge, e quindi della sostenibilità, sono il risparmio energetico, cioè la Terra, anzi Gaia, e la natura. Al centro della legge, che come tutte le leggi è allo stesso tempo frutto e seme, effetto e causa della società, c’è una Natura idealizzata, non solo buona e da preservare ma anche dotata di valore autonomo a prescindere dalla presenza dell’uomo e quindi un soggetto che ha diritti che l’uomo non può e non deve violare. E’ un totale rovesciamento di fronte rispetto al pensiero e all’azione del mondo occidentale (1).
Ma vi sono altri indizi che la sostenibilità sottenda un giudizio negativo sull’azione umana. Questi si ritrovano nei modi in cui essa viene declinata, cioè nel consumo di suolo e nel volume zero.
Continuando nella lettura della legge (ripeto che questa è presa a titolo di modello esemplificativo di un pensiero) ecco cosa si trova:
Fermo restando quanto disposto dal comma 3, nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. Essi devono in ogni caso concorrere alla riqualificazione dei sistemi insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme, nonché alla prevenzione e al recupero del degrado ambientale e funzionale.
Qui ci sono il “consumo di suolo” e “il volume zero”. A parte la retorica del linguaggio, che depone senza appello a sfavore di tutta la legge, queste prescrizioni sono suscettibili di interpretazioni diverse. Vi si dice in sostanza che occorre prima recuperare ciò che esiste e solo se dimostra che non ce ne è abbastanza per le necessità (su quali siano e come si ottengano, il mitico dimensionamento, è meglio sorvolare) allora e solo allora sarà possibile procedere con nuovo impegno (comunemente detto “consumo”) di suolo.
Il dubbio nasce, non per me ma in base a come vengono generalmente interpretate queste norme, con il periodo successivo che si riferisce non a singoli edifici ma a sistemi insediativi che devono essere riqualificati.
Ora questo comma nel suo complesso potrebbe e dovrebbe essere interpretato nel senso migliore, vale a dire nella necessità di costruire nel costruito, nel densificare la città, sia mediante ristrutturazione che con nuove costruzioni e quindi evitare al contempo il “consumo di nuovo suolo” e di migliorare lo stato di quanto è già costruito, o meglio urbanizzato. Sarebbe non solo cosa ragionevole ma anche corretta e auspicabile, se non fosse che nella vulgata e nell’uso corrente della politica, della tecnica e della burocrazia, per nuovo impegno di suolo si intende, banalmente e stupidamente, nuova superficie coperta e da qui nasce l’equivoco del “volume zero”: ogni nuova costruzione è demonizzata, anche in aree interne alla città, libere ma comprese all’interno di ambiti ormai non più fungibili per l’uso agricolo. Questo è tanto vero che l’assessore regionale all’urbanistica, che di professione è urbanista, la prof.ssa Anna Marson, ha sentito recentemente il bisogno di puntualizzare in un documento che per impegno di suolo non si deve intendere quello all’interno delle aree urbanizzate.
Ma la vulgata resta ed è quella che diffonde il verbo e che impedisce di spostare il dibattito su un livello più alto, di nuovo disegno urbano, indirizzandolo invece verso una generica e improduttiva denuncia contro il mondo delle costruzioni.
Sostenibilità è parola chiave importante e da prendere troppo sul serio per essere lasciata nelle mani di chi la riduce a slogan, luogo comune, passepartout per il politicamente corretto.
C’è un bell’articolo di James Howard Kunstler, dal titolo Ritorno al futuro, che affronta il tema della sostenibilità. Se è vero che Kunstler parte da una visione e previsione alquanto catastrofista, che personalmente non condivido perché in fondo speculare alle previsioni delle città futuriste, è anche vero che il suo approccio al tema città è una ventata di aria fresca, un ritorno alle origini, agli elementi fondativi che hanno determinato la nascita delle città stesse, vale a dire la loro collocazione geografica in prossimità di grandi elementi naturali di comunicazione, fiumi, mari, tracciati naturali terrestri, per affermare che in caso di crollo e declino di molte città - fatto che negli USA è assolutamente frequente in questi tempi di crisi economica - saranno proprio quelle dotate di questa forza intrinseca a sopravvivere, grazie alla possibilità di modificare il proprio modello di sviluppo in maniera meno dipendente dall’energia o con l’uso di energia diversa.
Kunstler consiglia di investire su quelle città, e in futuro vede: “le nostre città diventare più piccole e più dense, con un minor numero di abitanti. I grattacieli diventeranno obsoleti, i viaggi saranno ridotti e i confini della campagna più definiti.L’apporto di energia alle nostre economie decrescerà di molto e probabilmente in modo destabilizzante……. Ricordate: le città tradizionalmente esistono proprio in quei luoghi perché occupano siti di importanza geografica e strategica, come la posizione di Detroit su un breve tratto di fiume tra due grandi laghi. Qualche tipo di insediamento continuerà ad esistere nella maggior parte di questi luoghi, ma non nella forma che oggi conosciamo. Saranno luoghi urbani nel senso tradizionale del termine: compatti, densi, ad uso misto, e composti di quartieri basati sul quarto di miglio a piedi dal centro al bordo, i cosiddetti cinque minuti a piedi, che è una norma transculturale che si trova ovunque nelle comunità urbane pre-automobilistiche. Il modello è scalabile: un quartiere è l'equivalente di un villaggio; diversi quartieri e un distretto commerciale fanno una città, e molti quartieri costituiscono una città di medie dimensioni”.....
“L'idea di agricoltura verticale è una dimostrazione di quanto sia diventata estrema la nostra tecnograndiosità, e quanto ci siamo allontanati da secoli di saggezza accumulata….. il luogo appropriato per questo (l’agricoltura) è al di fuori della città. C'è una grande differenza tra il giardinaggio e l'agricoltura. Alcune attività sono essenzialmente rurali e alcune cittadine, e abbiamo bisogno di ristabilire questa distinzione”.
Ecco, questa è la sostenibilità che può aiutare il progetto di una città migliore e che non richiede, per esistere, una catastrofe ecologica, ambientale, energetica ed economia prossima ventura, perché è corretta a prescindere, e non le parole d’ordine, o parole chiave, usate a sproposito da noi a soli fini di lotta politica tra chi vuole costruire ad ogni costo e chi vi si oppone con presupposti sbagliati.
Nota:
1) Vedi questa intervista a Giulio Giorello, certamente un laico, fatta da uno studente:
STUDENTE: A proposito del rapporto uomo-natura, perchè l’uomo, invece di coesistere con essa, cerca sempre di prevaricare sulla natura?
GIORELLO: Ogni essere vivente cerca di modificare il proprio ambiente. I castori, per esempio, modificano il corso dei fiumi. L’uomo esprime una volontà di conquista della natura molto più ambiziosa di qualunque altro animale, estendendo il proprio intervento fin dove può. Si pensi all’intera storia delle conquiste spaziali. E’ difficile spiegarne le ragioni. Si può solo dire che quest’ambizione è per l’uomo una condanna e al contempo un privilegio. Il privilegio gli è stato dato da Dio, come è scritto nel Libro della Genesi dell’Antico Testamento in cui il Signore incarica Adamo di "nominare tutti gli animali e tutte le piante". L’esegesi biblica e una esatta traduzione dall’ebraico indicano che Adamo, e pertanto l’uomo, sia considerato il "custode" della natura e non il suo "dominatore". Di conseguenza l’uomo deve considerarsi il responsabile di tutte le creature che abitano la terra, l’acqua e l’aria, e di tutto l’ambiente che lo circonda. L’uomo quindi è anche responsabile di ciò che fa all’ambiente. Nel suo rapporto con la natura l’uomo non può e non deve essere un prevaricatore. In caso contrario la natura "si vendica".
Pietro Pagliardini
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