Con straordinario tempismo, Angelo Gueli mi ha inviato questo testo, su un "falso". Lo ringrazio.
Il testo è già stato pubblicato sul numero 24 del Giugno 2009 - anno VII di "OPERE rivista toscana di architettura".
Accade di tanto in tanto che gli architetti continuino ad essere prolifici anche dall’aldilà: quello qui raccontato sembra proprio essere uno di questi casi. La faccenda sta messa così: Bernardo Buontalenti, dopo aver esercitato tanto e bene la sua professione a Firenze e dintorni, nel giugno del 1608 passa a miglior vita e fin qui niente di strano; ad eccezione di qualche presidente del consiglio destinato a vita eterna, prima o poi a tutti toccherà varcare quella soglia. Ma sta di fatto che nel febbraio del 1612, ben quattro anni dopo la sua morte, fu iniziata la costruzione del porticato “buontalentiano” dello Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze, della cui vista tutti possiamo godere ancora oggi. L’affare però si fa più intricato per l’attribuzione, tutta da verificare, del progetto. Non uno straccio d’indizio d’incarico, non un disegno, non un cenno sui documenti d’archivio fino ad oggi è mai stato ritrovato. Ma tant’è, a dire di coloro che approfonditamente se ne sono occupati, l’attribuzione è certa, ed il disegno originario è di Bernardo Buontalenti(1).
Ecco quindi che nel 1612 Bernardo, da morto e sepolto, inizia una fabbrica che porterà a termine ben trecentocinquanta anni dopo.
Andiamo per gradi: a quell’epoca lo Spedale non era dotato di una facciata, così, seguendo l’idea buontalentiana, Giulio Parigi il Vecchio, amico e discepolo di Bernardo, si occupò di seguire i lavori di costruzione dei primi sei archi della porzione centrale del loggiato.
A cinquanta anni di distanza, nel 1661, si ricominciò a costruire realizzando altri sei moduli, completando così la facciata centrale. A quel punto anche il povero Giulio, al quale probabilmente dovrebbero essere riconosciuti molti più meriti in relazione alla realizzazione di quest’opera, aveva già da tempo abbandonato questa terra. Ancora quaranta anni appresso, tra il 1707 e il 1710, fu costruito il braccio destro del porticato. Infine, dopo un “fermo cantiere” lungo più di due secoli, fra il 1959 e il 1960 Nello Bemporad per la parte architettonica e Enzo Vannucci per la parte strutturale si occuparono della realizzazione dell’ultima porzione del porticato.
Di questa fabbrica e della storia fin qui raccontata, due mi sembrano i punti più interessanti da mettere a fuoco: da una parte il rapporto mediato dell’edificio con il suo progettista e, di conseguenza, l’inevitabile accusa di “falso antico” che l’ultima porzione di costruzione si porta appresso e dall’altro il ruolo di “restauratore” di Nello Bemporad.
Le riflessioni che possono essere fatte su questi temi sono molteplici e nessuna è indolore, in special modo quando, come in questo caso, i termini del problema finiscono inevitabilmente per dover affrontare il rapporto tra il vero e il falso, e in architettura questo territorio è molto più paludato che nelle altre arti.
Tempo addietro, durante l’ultima giornata del convegno “L’identità dell’architettura italiana”, Roberto Maestro intervenendo invitava Guido Ceronetti a fare una riflessione su vero e falso.
Con una risposta tanto fulminante quanto piena di risvolti, Ceronetti argomentava che: “…forse sarebbe meglio interrogarsi sulle categorie del bello e del brutto…”(2).
Un’affermazione di questo genere è tanto più pregnante quanto più nell’ultimo secolo è stato sentito come centrale il tema dell’autenticità in architettura. In chiara contrapposizione con il pensiero dominante, Cerronetti nella sua risposta non sembra dare alcun peso alla questione stilistica quanto invece sembra dare importanza al lato umano dell’architettura.
Con queste parole che mi frullavano per la testa e la macchina fotografica al collo sono andato in piazza di Santa Maria Nuova per fare le foto del porticato che accompagnano questo articolo. Per sfizio ho cominciato a chiedere in giro cosa sapessero del loggiato quelli che in zona ci vivono. Un paio di anziani ricordavano, qualcuno aveva sentito dire, la maggior parte nemmeno sospettava che si trattasse di un edificio completato così recentemente. Nessuno però ha mostrato segni di fastidio nei confronti della facciata Bemporadiana, cosa che, mi vergogno un po’ a dirlo, non è successa per il prospetto Michelucciano visibile attraverso le due arcate. Mi guardo bene dal ripetere i commenti fatti dai passanti che, tutti indistintamente, erano ignari del carico e della pregnanza culturale ed estetica che ci hanno insegnato ad attribuire alle opere del maestro; ma questa è un'altra storia.(3)
Pur sapendo che nessuno dei quattro lotti temporali nei quali fu realizzato il portico vide il Buontalenti come protagonista, a pochi verrebbe in testa di dire che il portico è tutto un falso. Sarà forse per il primato che noi progettisti diamo al progetto, che esso sia realmente del Buontalenti o di qualcun altro poco importa (alla base c’è un progetto e bello per giunta), sarà forse perché il portico è ormai plurisecolare, l’edificio nella sua interezza è comunque percepito come “autentico”.
Pur non volendo inoltrarmi troppo nello spinoso campo dell’autenticità, che in architettura è eccezionalmente più complesso di quanto non lo sia per le altre arti, penso che, visto l’argomento, sia importante descrivere quale sia in generale il sentire comune rispetto a questi temi. Per fare un esempio, a nessuno verrebbe in mente di dire che i dipinti di Annigoni sono dei falsi perchè il loro tratto è leonardesco, e pertanto la distanza temporale tra Annigoni e Leonardo da Vinci non è percepita in pittura come incolmabile e la vicinanza stilistica tra i due artisti è comunque ritenuta lecita, però allo stesso tempo una copia identica di un’opera pittorica che non dichiari esplicitamente di essere copia viene giustamente identificata come un falso. In architettura ciò che è valido per le altre arti visive viene ribaltato. È opinione comune che se un edificio viene replicato (San Pietro in mezzo al deserto africano, la Sfinge a Las Vegas) è irrimediabilmente kitsch e non semplicemente una copia come per le altre arti, se viene realizzato con uno stile non più alla moda allora è clamorosamente falso, per questo caso non è più valido l’assunto testé riportato per la pittura e questa volta la distanza fra lo stile in voga e il precedente è ritenuta incolmabile.(4)
Ma se, come nel caso del porticato buontalentiano o del ponte di Santa Trinita o della torre dei Georgofili, si copia alla lettera l’originale, allora la qualifica di falso più che valida per le altre arti assume dei contorni più sfumati, ovvero la copia pedissequa del dove era e come era o del dove doveva essere e come avrebbe dovuto essere non costituisce reato di falso, come nelle altre arti visive, o plagio, come in musica e scrittura, ma si trasforma cedendo il posto ad una sorta di legittimità a scartamento ridotto.
Sorvolando il valore simbolico delle ricostruzioni, che ha inevitabilmente durata generazionale (le giuste reazioni ai bombardamenti mafiosi e nazisti nei casi ricordati), resta la costruzione di edifici che dopo essere stati ri-costruiti partecipano al disegno corale delle nostre città e Firenze è un caso come un altro, anche se particolarmente bello.
Il completamento del loggiato di Santa Maria Nuova dovrebbe far riflettere sulla validità di interventi che, all’interno di contesti storicizzati, tengano conto anche di linguaggi architettonici non più di moda, che in qualche modo consentano alle città storiche di mantenere la loro coralità e identità, cosa che attraverso la maggior parte dell’architettura contemporanea obiettivamente non accade. Con ciò non intendo dire che all’interno di tessuti storici si debba intervenire esclusivamente utilizzando linguaggi architettonici del passato, ma che questi dovrebbero essere legittimamente presi in considerazione al pari dei linguaggi più comunemente sentiti come contemporanei. La lezione che viene dal completamento del loggiato di Santa Maria Nuova, al di là delle intenzioni più propriamente restauratici del suo autore, sta nel provare, senza ombra di dubbio, la legittimità di progettazioni che usino linguaggi architettonici con matrici temporali e riferimenti progettuali non recenti.
In un suo articolo del 1961(5), Bemporad, parlando del loggiato appena completato, sostenne: “Lo scopo è quello di realizzare un’unità urbanistica che l’artista concepì completa e che solo gli eventi non consentirono di realizzare tale fino ad allora”.
Ed ancora “…accettai volentieri l’incarico di completare il porticato… anche se ho sempre negata la validità dei restauri di integrazione in senso generale; nel caso particolare ritenevo invece (…) che è un dovere preciso di dare completezza ad un organismo impostato su ferree leggi di simmetria…”.
Le immagini di progetto qui proposte sono quelle che lo studio Bemporad presentò all’amministrazione pubblica alla fine degli anni 50 dello scorso secolo, al fine di ottenere le necessarie autorizzazioni. Anche attraverso queste belle rappresentazioni grafiche, Bemporad espresse una logica di restauro ampliato al reintegro, riuscendo in questo modo a rendere compiuta un’opera che meritava di essere ultimata.(6)
A soli cinquanta anni dalla realizzazione dell’ultima porzione del loggiato, un’operazione “restauratrice” come quella illustrata, a causa dei lacci burocratici e del falso moralismo imperversante che non riconosce parità di dignità a disegni in stile, oggi sarebbe difficilmente realizzabile e, visto il ruolo di questo edificio nel ridisegno della piazza, personalmente vedo in queste posizioni un’enorme limitazione a quell’ininterrotto flusso di perfezionamento che è fisiologico nelle nostre città storiche.
Nota al termine: vagando nel ciberspazio, su Wikipedia, alla voce Ospedale di Santa Maria Nuova campeggia, unica, una fotografia del porticato, ma solo della porzione realizzata da Nello Bemporad. Che questo sia un lapsus volontario o meno, la sostanza non cambia: il portico è autentico perché viene percepito come tale.
Note
1)A questo proposito si veda Lo spedale di S. Maria Nuova e la costruzione del loggiato di Bernardo Buontalenti ora completata dalla Cassa di Risparmio di Firenze a cura di Guido Pampaloni Cassa di Risparmio – FIRENZE – 1961che approfonditamente disquisisce sul motivo della certa attribuzione al Buontalenti, mentre per una più completa visione del contesto operativo del Buontalenti si veda Amelio Fara, Bernardo Buontalenti Electa 1995 , Milano.
2)Terza giornata del convegno “Identità dell’architettura Italiana”, Firenze 13-14-15 Novembre 2008.
3) Lungi da me voler dare valenza statistica a queste quattro chiacchiere fatte nel mezzo di strada, esse possono essere solo spunto di riflessione.
4)Nei paesi anglosassoni, dove è ancora radicata l’abitudine di costruire in stile, ben distinte sono le fazioni pro e contro l’architettura classicista e tradizionalista, pro e contro l’architettura di derivazione modernista. E nessuno ha paura degli “ismi” poiché lo stile, con il classico pragmatismo anglosassone, è comunque considerato come una caratteristica intrinseca della pratica architettonica. Pur nello scontro di pensiero, nel continuo e ininterrotto reciproco dileggio che contraddistingue la critica di entrambe le parti esiste di fatto un mutuo riconoscimento di legittimità culturale.
5)In Architetti d’Oggi anno 1961 n.1 Nello Bemporad “Piazza Santa Maria Nuova completamento del Porticato”
6)Gli originali sono conservati presso l’archivio comunale di Firenze.
Didascalie Immagini
1 Il braccio del porticato realizzato nel 1959 da Nello Bemporad.
2 Il braccio del porticato realizzato nel 1710.
3 Nello Bemporad Vs Giulio Parigi.
4 Scorcio della piazza oggi.
5 L’edificio demolito per far posto al nuovo braccio del porticato (prospetto sulla piazza).
6 L’edificio demolito per far posto al nuovo braccio del porticato (prospetto su via Bufalini).
7/8/9/10 Elaborati progettuali per la realizzazione dl nuovo braccio (Arch. Nello Bemporad, depositati presso gli archivi comunali).
11 Vista settecentesca della piazza di S. Maria Nuova.
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