di Giulio Rupi
Perché l’uomo costruisce un giardino? Per realizzare un luogo in cui sia realizzato un equilibrio armonioso tra i due poli contrapposti del Naturale e dell’Artificiale.
Per approfondire questo concetto vanno approfondite le caratteristiche di queste due polarità.
1 - LA FORMA
La natura è fatta di forme che sono complesse da qualunque distanza (cioè a qualunque scala) le si osservi. Un albero è una forma complessa, ma lo è anche ogni suo ramo, e così via, avvicinandosi, fino alle singole foglie e al sistema delle venature che le alimentano.
Al contrario la forma degli oggetti artificiali è semplice, si rifà alle forme astratte della geometria e per questo tali forme sono tutte esattamente riproducibili. Così una sfera rappresenta approssima-tivamente la chioma di un albero ma rappresenta esattamente una palla da biliardo.
2 - I MATERIALI E LA SUPERFICIE ESTERNA
La natura è fatta di materiali non omogenei, diversi da punto a punto sia al loro interno che alla loro superficie.
L’uomo, al contrario, fa passare i materiali naturali “attraverso il fuoco” e ne ricava materiali ar-tificiali omogenei al loro interno e uniformi alla loro superficie: il vetro dalla sabbia, il metallo dalle rocce, la lucida ceramica dalla terra, la plastica dal petrolio. Così gli oggetti artificiali sono geome-trici, semplici e riproducibili, uniformi all’interno e all’esterno.
L’uomo, nei millenni, è passato da un habitat quasi totalmente naturale a un habitat, l’attuale, quasi totalmente artificiale, e ha cercato costantemente di costruire luoghi, i giardini, in cui l’estraneità spesso ostile della natura fosse addomesticata a un ordine familiare e dominabile, in una sintesi armoniosa tra oggetto contemplato e soggetto contemplante.
Così il giardino arabo (valga per tutti l’esempio dell’Alhambra) rappresenta l’oasi murata in cui l’acqua che scorre fa da colonna sonora a di uno stato di felice sospensione dalle fatiche e dai dolori del vivere, relegati al di là del recinto.
Così il chiostro dell’Abbazia medievale e l’hortus conclusus, il giardino delle delizie, sono giardini introversi, diffidenti verso il mondo esterno, dove il piacere dei profumi si unisce al piacere della vista delle essenze coltivate.
All’opposto, quando in Inghilterra nasce la Rivoluzione industriale e, fin dalla fine del Settecento, fa esplodere le città creando caos, inquinamento, immensi suburbi e diffusa criminalità, l’uomo guarda alla natura esterna non più con ostilità e paura, ma con la nostalgia per un paradiso perduto.
Così nasce il giardino naturale all’Inglese, in cui minimo è l’intervento dell’uomo, e sulla scia di questa impostazione nascono nell’Ottocento tutti i parchi pubblici, naturalistici, delle città e così ogni piccolo giardino suburbano di villetta o di casa a schiera verrà realizzato con questa impronta naturalistica.
Giardino quindi come sintesi equilibrata tra due poli contrapposti: il Naturale e l’Artificiale.
Ma noi sappiamo che la Modernità spesso tende a distruggere ogni armonioso equilibrio. L’abbiamo visto con le architetture decostruttiviste delle Archistar, che distruggono volutamente ogni punto fermo, ogni riferimento tradizionale, ogni istinto naturale con cui l’uomo si era da sempre posto di fronte agli edifici.
Quello che sta succedendo in Architettura va succedendo, nella più grande scala, anche nel rapporto uomo natura, nel rapporto tra il costruito e il paesaggio, tra il Naturale e l’Artificiale?
E’ da tempo che si sono poste le premesse per distruggere quell’equilibrio, che si sta operando per stravolgerlo totalmente, per ridurre la natura a corpo vile, del tutto sottoposto all’arbitrio dell’astratto artificio.
E’ da tempo che vengono costruiti giardini in cui materiali e forme astratte predominano sulla polarità del Naturale.
Due esempi tra mille.
I giardini della Biblioteca nazionale di Parigi.Qui l’arte topiaria è rivisitata in maniera da geometrizzare le piante di bosso ingabbiandole in grate metalliche che le imprigionano e le costringono in forma di parallelepipedo, e lì accanto alberi di alto fusto, piantati in un cortile buio, che non ce la farebbero a salire fino alla luce e a stare ritti da soli, vengono tenuti in piedi da collari di ferro e tiranti di ferro solidamente agganciati alle strutture circostanti.
La commistione, il connubio tra la pianta naturale e il freddo, artificiale metallo è indecorosamente consumata fino in fondo. La volontà di far prevalere l’artificiale è chiaramente manifestata.Un altro esempio di questa violenza si trova in un recente giardino realizzato davanti alla Venarìa reale di Torino, dove, è un esempio tra i molti, si fa scempio di questa pianta, costringendola a passare sotto il giogo di un grosso macigno, non si sa bene con quale intento artistico se non quello di suscitare una reazione istintiva di pena e di compassione.
C’è dunque una tendenza attuale, nell’arte dei giardini, a spostare quell’equilibrio tra natura e artificio, togliendo del tutto alla natura la sua autonomia, a un livello che gli autori dei giardini più costruiti, dall’Alhambra ai costruttori dei giardini all’Italiana, mai si sarebbero mai immaginato.
Ma il precursore di questa operazione di squilibrio nel rapporto tra uomo e natura è il Bulgaro Christo Javacheff, che ha realizzato effimere ma gigantesche installazioni aventi le precipue caratte-ristiche dell’artificialità (plastiche coloratissime in forme geometriche), inserendole in paesaggi il più naturali possibile. Non è più l’equilibrio del giardino, ma è l’artificio che entra a gamba tesa in mezzo alla natura, negandola nella sua stessa essenza.
Il 9 ottobre 1991, all’alba, 1880 operai aprirono 3.100 ombrelloni distribuiti in varie maniere lungo una linea ideale dal Giappone alla California. Ogni ombrellone misurava 6 metri di altezza e circa 9 metri di diametro. L’installazione è durata 18 giorni.Surrounded Islands sono undici isolotti della Biscayne Bay nei pressi di Miami, che nel 1983 sono stati circondati da 60 ettari di tessuto di polipropilene rosa, galleggiante sull’acqua. L’installazione è durata 15 giorni.
Sono operazioni che creano un effetto di straneamento, di dissonanza e di disagio perché non siamo più di fronte al processo dialettico fin qui descritto: Tesi la natura, antitesi l’artificiale, sintesi il giardino. Qui uno dei due poli, la natura, viene negato nella sua essenza. Quelle gonnelline di plastica rosa che circondano le undici isole di un arcipelago sono lì per negare autonomia all’altro da noi, a ciò che non è artificiale. Queste opere riducono la natura a corpo vile, manipolabile, disponibile come si vuole all’invasione dell’artificiale, sono un primo passo per modificare il nostro rapporto e la nostra percezione della natura.
Si è stabilito che, per una legittima creazione artistica (la “Land Art”), si possono posizionare in un ambiente assolutamente naturale una fila di oggetti seriali, tutti uguali, ognuno identico all’altro, quindi di produzione industriale, di grandezza spropositata e di forma semplice, geometrica, aventi una superficie esterna liscia, uniforme, e una colorazione omogenea artificiale.
Se questi oggetti seriali, invece che un paio di settimane si lasciano lì un paio di secoli, ecco che ho fatto la descrizione di un crinale costellato di pale eoliche...