di Ettore Maria Mazzola
In questi giorni è circolata la notizia (Matt Robinson su Daily Mail del 24 gennaio 2013) che in Gran Bretagna, una megastruttura residenziale (2700 alloggi) – erroneamente definita “torri” – realizzata tra il 1967 e il ’79 sta per essere “rasa al suolo e sostituita con un quartiere di case a schiera tradizionali, per ridurre la criminalità e migliorare gli standard di vita dei più poveri nella società britannica”.
La scelta non è stata, come qualche malizioso potrebbe accusare, basata sull’ideologia, oppure sulla visione “nostalgica” del Principe Carlo, bensì è stata suggerita da un lungo studio dei ricercatori di “Think-tank Policy Exchange” che ha dimostrato le seguenti cose:
1. La concentrazione di esseri umani all’interno di palazzoni multipiano esclusivamente residenziali tende ad aumentare la criminalità, facendo sì che queste strutture e quartieri divengano “no-go zone” (luoghi da evitare);
2. Chi vive in queste strutture ha maggiori probabilità di soffrire gravemente di stress, problemi di salute mentale; inoltre, tra queste persone, si registra un’impennata dei divorzi;
3. Considerato invece che vive in quartieri tradizionali di case a schiera è meno esposto a queste patologie e/o dinamiche, la sostituzione di certe realtà con quartieri di tradizionali di questo tipo può migliorare drasticamente le condizioni dei residenti.
Lo studio ha fatto emergere il desiderio dei cittadini, i quali hanno concordemente ammesso di “voler vivere in case realizzate sul modello di quelle costruite per secoli in tutto il Regno Unito, non solo per combattere la criminalità, ma anche per ridurre lo stress e salvare il proprio matrimonio!”
Lo studio riporta come, nonostante l’evidenza di certi dati allarmanti, tutt’oggi oltre 140 mila famiglie inglesi vivano in realtà spersonalizzanti multipiano.
Il rapporto porta gli autori a suggerire che non solo questo quartiere degradato, ma tutti i quartieri similari realizzati nel Regno Unito negli ultimi 70 anni, essendo divenuti “no-go zones” debbano essere sostituiti al più presto!
In base ai dati del rapporto, è stato stimato che, nella sola Londra, potrebbero realizzarsi 260.000 nuove case nei prossimi 7 anni sostituendo i “grattacieli” e “casermoni” esistenti.
Boys Smith va oltre, ed elenca le problematiche relative ad un certo tipo di edilizia, auspicando che la si smetta di compiere gli errori del recente passato, ricominciando a “costruire strade lungo le quali la gente vorrebbe vivere per evitare di rendere la vita delle persone miserabile”.
Da alcuni anni, effettivamente, in Inghilterra si sta procedendo con interventi di questo genere, per esempio a partire dal 1997 come primo discorso da Primo Ministro, Tony Blair visitò un quartiere degradato proponendo la sua sostituzione con qualcosa di più umano e rispettoso dei residenti, e oggi quel quartiere è oggetto di un intervento di Rigenerazione Urbana di 1,5 mld di Sterline!
Stiamo parlando di dimostrazioni di civiltà, stiamo parlando di persone che, al di là dell’ideologia, riescono ancora a mettere in primo piano le esigenze della collettività.
Ma perché in Inghilterra certe cose avvengono, mentre da noi in Italia si viene condannati solo se si osi proporre qualcosa di simile?
Forse è il Regno Unito ad essere un Paese speciale? Forse perché lì c’è la monarchia e, conseguentemente, si è in grado di fare programmi a lunga scadenza cui i politici locali “a tempo determinato” debbono uniformarsi indipendentemente dal colore dei loro predecessori?
Non credo.
Infatti, se ci avviciniamo all’Italia, possiamo documentare il caso della Francia, dove a seguito dei fenomeni rivoluzionari delle banlieuses, lo Stato ha approvato e messo in pratica una legge che ha consentito di investire 60 mld di Euro per la sostituzione edilizia di quartieri degradati e degradanti, ma la cosa era già in atto da prima se, basti pensare al “fenomeno” di Plessis Robinson … fenomeno del quale in Italia, specie tra gli architetti e docenti di architettura, ci si guarda bene dal parlare!
Da noi è difficile che certe iniziative possano mai avvenire, probabilmente per ragioni di ignoranza, o forse per un assurdo e ingiustificato complesso di inferiorità culturale verso quei Paesi più votati al modernismo estremo, o anche e soprattutto per un vergognoso servilismo nei confronti di alcuni mostri sacri italiani.
Tutto ciò porta la stragrande maggioranza degli architetti italiani comportarsi in maniera ottusa, accusando di passatismo nostalgico, populismo, qualunquismo e quant’altro chi osi proporre certe cose.
Si rifletta però sul fatto che, proprio coloro i quali accusano di “passatismo” i sostenitori della sostituzione di quartieri degradati con esempi di urbanistica tradizionale, si comportano come i peggiori fondamentalisti-iperprotezionisti quando si tratti di dover buttare giù delle brutture del genere che, a loro dire, rappresenterebbero degli importanti "segni" o "memorie" storiche del tempo in cui sono sorti … costoro sono perfino arrivati a chiedere di porre un vincolo artistico sulle Vele di Scampia e il Corviale di Roma!.
E' ovvia la ragione, e l'ho già scritta tempo fa: gli architetti, per la maggior parte i "grandi luminari" 60-70enni, identificandosi con gli edifici che hanno realizzato, non accetterebbero mai di vedersi privare di un pezzo di se stessi … sarebbe come farsi amputare un braccio o qualcos'altro, sicché combattono anche con argomentazioni patetiche, qualsivoglia demolizione del "moderno" ... hai visto mai che prima o poi possa toccare ad un proprio edificio?
Costoro, piuttosto che pensare alla presunta importanza dell’appartenenza di un edificio al suo progettista, avrebbero dovuto – e dovrebbero – pensare a come concepire edifici che stimolino il senso di appartenenza dei cittadini a quel luogo, ma significherebbe mettere da parte la propria autoreferenzialità!
Così, in queste ultime settimane, abbiamo tristemente assistito alla patetica celebrazione, in vari modi, di personaggi come Pietro Barucci (autore di mostruosità come Tor Bella Monaca, Torrevecchia, Laurentino ’38, Quartaccio) e Michele Valori (co-progettista del Corviale con Mario Fiorentino) , personaggi che si sono resi responsabili di alcune delle più disumane progettazioni dello scorso secolo, e il prossimo 7 febbraio assisteremo alla celebrazione di un altro personaggio che ha fatto il bello e cattivo tempo dell’architettura e dell’urbanistica italiana, dirigendo Casabella e costruendo abomini come lo ZEN di Palermo: Vittorio Gregotti, il quale riceverà la sua passerella in occasione di una manifestazione organizzata presso l’Accademia di San Luca dedicata alle “Rigenerazioni Urbane in Italia”. Durante questa manifestazione verrà presentato il progetto di “rigenerazione del quartiere Acilia Madonnetta a Roma” … per chi non lo conoscesse, si tratta di un surrogato del suo ZEN di Palermo!
Ma come è possibile che in Italia si continuino a cantare le lodi di certi personaggi?
Lo ZEN è probabilmente il peggior esempio di progettazione di Case Popolari Italiano, primato tristemente condiviso con le Vele di Scampia di Franz Di Salvo, altro personaggio al quale è stato recentemente dato un tributo su alcuni blog!
Servilismo? Sudditanza psicologica nei confronti di personaggi (quelli in vita) ancora influenti per mettere una buona parola per diventare famosi? Davvero una cosa indegna!
Inutile dire che, in occasione della manifestazione dedicata a Gregotti ed alle “Rigenerazioni Urbane”, non è stato minimamente ipotizzato di presentare quei progetti di Rigenerazione elaborati da coloro i quali hanno per primi portato avanti questo discorso in Italia, professionisti che hanno elaborato progetti che dimostrano non solo come risulti possibile fare architettura e urbanistica a dimensione umana, ma che la cosa possa farsi in maniera totalmente pubblica, e a costo zero, rifocillando, piuttosto che dissanguando le finanze pubbliche, generando altresì centinaia e centinaia di posti di lavoro, migliorando fattivamente l’esistenza di tantissimi individui; i loro studi hanno inoltre dimostrato come certi progetti porterebbero delle ricadute economiche positive sull’intera collettività, anche grazie all’eliminazione di quelle problematiche elencate dallo studio inglese.
A tal proposito vorrei fare un paio di progetti che ho sviluppato di recente, non solo per spiegare come potrebbero funzionare, ma perché non vorrei recitare la parte di colui che critica gli altri senza mostrare delle alternative.
Nel caso di Corviale a Roma, se si procedesse alla sostituzione dell’abominevole complesso residenziale attuale, non solo si potrebbero insediare circa 2000 abitanti in più, per favorire l’integrazione sociale, ma si potrebbero portare una serie di attività quali una scuola materna ed elementare, una scuola media, una scuola superiore, alcune strutture sportive, una chiesa, un Municipio, un Comando dei VV.UU., un Cinema-Teatro, un Centro Culturale con Biblioteca di quartiere, un Edificio Postale, una Loggia per il Mercato, circa 58500 mq di negozi al piano terra degli edifici della spina centrale, circa 30000 mq di laboratori artigianali lungo le strade a margine, nonché un enorme parco di quartiere, inoltre l’intero quartiere e il parco risulterebbero dotati di numerose aree per il gioco dei bambini e per il tempo libero e le attività degli anziani; tutto questo potrebbe addirittura realizzarsi restituendo al territorio circa 12 ettari di terreno e, alla fine dei conti, semplicemente applicando dei prezzi calmierati e non facendo speculazione, potrebbero restare nelle casse dell’ATER circa 413 mln di euro da reinvestire per risanare altri quartieri degradati!
Stessa cosa è emersa dalla progettazione per la rigenerazione urbana del quartiere ZEN di Palermo, dove gli abitanti potrebbero crescere di 5125 unità, si potrebbe creare un enorme parco cittadino, all’interno del quale sorgerebbero anche due grandi centri polisportivi per un totale di 122750 mq, collegati a 360° da un percorso per jogging e pista ciclabile, una Clinica specializzata di 67573 mc, una Stazione di Polizia, un Comando dei Carabinieri, un Municipio, un Comando dei VV.UU., un Ufficio Postale, una Scuola Materna ed Elementare dotata Centro Sportivo da mettere a disposizione dei residenti, una Scuola Media dotata Centro Sportivo da mettere a disposizione dei residenti, una Scuola Superiore dotata Centro Sportivo da mettere a disposizione dei residenti, una Loggia per il Mercato, la nuova Chiesa di San Filippo Neri, con canonica, oratorio e centro sportivo per i ragazzi del quartiere, un Centro Culturale, un Cinema-Teatro. L’intero quartiere e il parco risulterebbero dotati di numerose aree per il gioco dei bambini e per il tempo libero e le attività degli anziani.
Anche in questo caso, le principali strade verrebbero animate da 45679 mq di negozi mentre, lungo le strade secondarie, potrebbero sorgere 46861 mq di laboratori artigianali, ogni appartamento sarebbe inoltre dotato di box auto privato, ovviamente il progetto ha previsto il rispetto della normativa in materia di parcheggi pubblici, così come anche quello per il Corviale.
Questi progetti non sono frutto di fantasticherie, né si ha la presunzione di sostenere di aver inventato il sistema di sviluppo per illuminazione divina, né tantomeno si tratta di un’imitazione dei sistemi New Urbanism o quant’altro proveniente dall’estero: si tratta semplicemente di progetti per i quali è stato ipotizzato di riutilizzare norme e strumenti in vigore in Italia finché il fascismo non decise di impedirli: certe norme e strumenti basati sul buon senso riuscirono a risanare le finanze del Comune di Roma ormai in bancarotta, quelle norme e strumenti generarono migliaia di posti di lavoro e contribuirono ad eliminare del tutto fenomeni violenti pari a quelli delle banlieuses francesi del 2005.
Perché allora non riprenderli a modello?
La crisi ci ha ormai messi in ginocchio, e i nostri edifici, così come quelli inglesi di cui allo spunto iniziale, necessitano di essere sostituiti, non solo per le ragioni di sicurezza e salute pubblica riportati nello studio inglese, ma anche perché, come denunciato dalla Commissione Europea per l’Ambiente – a causa della pessima qualità dell’architettura costruita negli ultimi 70 anni in Europa – l’incidenza in termini di fabbisogno energetico dell’edilizia industriale attuale è pari al 36%, (a fronte del 31% dell’industria e del 31% del trasporto), mentre le emissioni di CO2 dell’edilizia sono pari al 34,5 % (a fronte del 32,5% dell’industria e del 30,5% del trasporto).
Dalle stesse stime risulta che l’intero settore edilizio è responsabile del 50% dell’energia consumata a livello Europeo, di cui il 36% è imputabile al fabbisogno energetico in fase d'uso degli edifici, mentre circa il 14% è causato dal settore industriale legato all’edilizia.
Oltre a ciò va considerato che gli edifici comportano un notevole consumo di materiali ed energia sia in fase costruttiva che durante il loro uso e la loro dismissione: il settore edilizio consuma circa il 40% dei materiali utilizzati ogni anno dall’economia mondiale e produce circa il 35% delle emissioni complessive di gas serra, senza contare i consumi di acqua e di territorio, nonché la produzione di scarti e rifiuti dovuti alla demolizione.
La logica suggerirebbe quindi, al pari del Regno Unito e della Francia, di rivedere l’intero patrimonio immobiliare realizzato nell’arco dell’ultimo secolo, piuttosto che proseguire imperterriti nella produzione di edifici energivori e inquinanti … a conti fatti, una revisione del genere potrebbe risanare le esangui casse statali e, di conseguenza, potrebbero ridursi drasticamente gli sperperi di denaro pubblico e le tasse dei cittadini. Cosa stiamo aspettando?
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