di Ettore Maria Mazzola
The University of Notre Dame
School of Architecture
Rome Studies Program
INTRODUZIONE
Unanimemente, la nascita dell’Architettura e dell’urbanistica modernista è fatta risalire al IV CIAM tenutosi ad Atene nell’agosto del 1933, in realtà a bordo del Piroscafo Patris I partito da Marsiglia, e lì tornato dopo aver fatto scalo in Grecia per redigere “La Carta”.
Quella Carta, per volontà dei suoi autori, specie di Le Corbusier, divenne una sorta di “Bibbia” per gli architetti e i legislatori, portando così le città di tutto il mondo a perdere ogni possibile relazione con la sana tradizione che aveva sovrinteso al loro sviluppo millenario. Quella tradizione, fatta di architettura monumentale e “minore”, nobile e vernacolare, a seconda delle condizioni climatiche, orografiche, culturali, religiose, ecc. aveva fatto sì che ogni popolazione sviluppasse una sorta di “dialetto” architettonico-urbanistico che, nel tempo, è stato in grado di affinarsi e di definire l’identità dei luoghi e la capacità degli individui – e dell’intera collettività – di riconoscersi come appartenenti a quei luoghi. L’imposizione di un linguaggio unico, e quindi spersonalizzante, di forme, proporzioni basate su ipotetici modelli matematici lontani dalle reali esigenze umane, ha fatto sì che le città del XX secolo, e le singole architetture, abbiano perduto ogni possibile relazione con l’uomo, cercando di celebrare, in maniera sempre più astrusa, la presunta civiltà tecnologica.
Oggi, il risultato dell’imposizione di questa visione modernista della città, ci deve far riflettere sul fatto che l’utopia della “città funzionale” ha fallito in toto. Le ripercussioni socio-economiche ed ecologiche di quella visione ci dimostrano che il sogno di rendere funzionale e ordinata la città era viziato da una ideologia fuori da ogni logica.
Del resto è difficile poter pensare che delle città, ritenute “funzionanti” per più di duemila anni, non potessero essere ancora valide. Probabilmente si sarebbe dovuto ragionare in maniera meno radicale, per poter consentire un uso dell’automobile al loro interno, ma non di certo si doveva pensare tutto in funzione dell’autotrazione.
Né tantomeno si può accettare che delle città, cresciute su sé stesse per duemila anni nel rispetto del delicato rapporto città-campagna, nonché l’esigenza di avere tutto a portata di mano, si siano dovute ripensare in nome della zonizzazione: aver separato le funzioni, aver aumentato le distanze, aver ragionato per griglie urbane e regole assolute, aver dimensionato il tutto su degli standard numerici piuttosto che sulle dimensioni a scala umana, ha portato le città a raggiungere dimensioni, costi e mancanza di sicurezza che mai in passato si erano raggiunti.
Oggi diviene sempre più difficile poter pensare di restaurare il rapporto città-campagna, e all’interno delle città quello tra l’edificato e gli esseri umani, questo perché tutta la normativa che è venuta dopo il 1933 si è fondata su quelle certezze assolute.
In Italia le varie leggi urbanistiche si sono basate su quelle teorie e, ancora oggi, la 1150/42, la 167/62 e i DPR 1404 e 1444/68 la fanno da padrone. È difficile pensare di poter cambiare le cose se chi legifera continua a ragionare in funzione di quelle norme, ma soprattutto di quell’ideologia. Probabilmente bisognerebbe iniziare a riscoprire una serie di norme, codici, regolamenti e statuti precedenti quello sciagurato 1933, studiarle opportunamente e comprendere come possano adattarsi al vivere contemporaneo e ad alcune norme recenti degne di essere prese in considerazione, poiché, come diceva Edmund Burke,
«Una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta».
Tornando al IV Ciam, e al fatto che esso è unanimemente riconosciuto come il principio del Modernismo, ciò che non si sa, o che è pochissimo conosciuto, è come andarono le cose, e quando, da chi e come venne redatta “la Carta” da cui oggi tutta la disciplina architettonica dipende.
La conoscenza di quegli eventi, penso, potrebbe aiutarci a capire chi ci ha portati alla situazione odierna e perché, e soprattutto se è giusto continuare su questa strada. Tutti, modernisti ed amanti della tradizione, si lamentano della situazione contemporanea; tanti criticano, più sulla base del proprio sentimento, ciò che non funziona della città funzionalista, ma nessuno ha il coraggio di documentare storicamente il problema e gli eventuali responsabili, forse a causa del timore di essere messo alla berlina, oppure condannato per aver osato mettere in discussione i mostri sacri della nostra professione. Così mi permetto di fare un po’ di chiarezza, nella speranza che ci si unisca al fine di rivedere tutta la normativa urbanistica che è stata prodotta a seguito di quel malaugurato “viaggio” del ’33!
GLI ASPETTI POCO NOTI IV C.I.A.M.
Il 29 luglio del 1933 dal porto di Marsiglia partiva il Piroscafo Patris I con direzione Pireo. Non si trattava di un semplice viaggio, ma di una “charrette”(1) galleggiante che doveva compiere un “duplice” viaggio, reale e metaforico: il primo, Marsiglia-Atene-Marsiglia, il secondo era invece il viaggio alla ricerca di una città più abitabile, “funzionale e radiosa”.
Il “viaggio” del IV Congresso Internazionale di Architettura Moderna, “traghettò” i partecipanti sulle coste Greche, ma anche verso una città funzionale, ovvero l’oggetto delle loro discussioni e del testo conclusivo del Congresso: la Carta.
Che le cose fossero in parte decise a priori, c’era da aspettarselo se, già nel 1931, nelle Direttive Preparatorie del Congresso si poteva leggere: “Il Congresso ha preferito il metodo materialistico-deduttivo a quello idealistico-induttivo, come unica base possibile di un’attività collettiva e di conseguenza per lo svolgimento di Congressi di lavoro”(2). In aggiunta a ciò, è bene sapere che, una volta a bordo, i partecipanti si trovarono a dover discutere di 33 diverse città, i cui pannelli esplicativi erano tutti stati preparati in base ad un’unica chiave ideologica di lettura fondata sul metodo imposto a priori. Va da sé che quella chiave di lettura, e quindi il pesante giudizio critico sulla città storica, fosse semplicemente un dato da ratificare. Tant’è che, in aggiunta alle 33 città “non funzionanti”, ce n’era una trentaquattresima città nuova prefigurata: la città funzionale(3)!
Il Punto 71 della Carta infatti confermerà che «Le città studiate per il IV CIAM hanno tutte lo stesso carattere di disordine e non soddisfano i bisogni psicologici e biologici dell'uomo».
In poche parole, si vedrà, si voleva dimostrare la validità delle teorie Le Corbusieriane della La Ville Contemporaine pour 3 Millions d'Habitants, e del Plan Voisine (che una volta rafforzate dal IV CIAM dovevano essere, da Le Corbusier stesso, tradotte nella Ville Radieuse del ‘35), che in quei giorni venivano ad essere applicate ai piani di Amsterdam e Barcellona: l’obiettivo era di trasformarle in regole universali, regole cioè da adottare a tutta l’urbanistica futura. … con grande piacere dell’industria automobilistica (p. es. Voisine) che già aveva sponsorizzato quelle idee … ma questo non verrà mai suggerito, né tantomeno ipotizzato da nessuno storico dell’architettura.
Dai lavori scaturirono delle “Risoluzioni Finali” che portarono alla stesura della “Carta”. I capitoli dedicati alle Osservazioni, sintetizzavano il lavoro analitico svolto e, come ovvio, denunciavano i “mali della città contemporanea da affrontare e risolvere”; invece, i successivi paragrafi affrontavano i modi per “Il faut exiger” (“bisogna esigere”), enunciando i principi da seguire per raggiungere una città funzionale: dei dogmi inconfutabili che, già nel titolo, si presentavano come l’imposizione dittatoriale di una presunta élite di pensatori esperti.
A conferma del fatto che si stessero cercando delle giustificazioni a dei giudizi e dei criteri decisi a priori, c’è uno scritto degli Spagnoli del G.A.T.E.P.A.C.(4) su “AC”:
«È straordinaria l’importanza dei documenti riuniti, forse ancor maggiore del materiale di base dei Congressi di Francoforte (Residenz Minimum) e di Bruxelles (Lottizzazione Razionale). Per la prima volta si può fare uno studio comparato dell’evoluzione storica e dello stato attuale delle principali città del mondo […] Il fenomeno urbano appare perfettamente chiaro in questi piani di città. Queste non vi figurano solo come macchie di colore e il loro tracciato non risulta solo come un arabesco più o meno gradevole; questi piani sono qualcosa di espressivo, di organico, in grado di spiegarci il fenomeno vitale di ogni città. L’analisi di questi piani, una volta completata, potrà dar luogo alla conferma delle teorie urbanistiche di questi ultimi anni(5)».
Guarda caso, tra gli elaborati al Congresso, i piani per Barcellona presentati dal GATEPAC vennero considerati una sorta di rivelazione, una vera anticipazione dei principi discussi e codificati ad Atene. Il Piano per la “Barcellona Futura” venne visto da Le Corbusier come una “città funzionale magnifica”, “una città radiosa e contemporanea, coerentemente inserita nel sito al quale appartiene, tra mare e colline”.
Ebbene, non tutto durante il Congresso pare sia andato come si pensava: una parte dell’organizzazione del soggiorno ateniese subì infatti delle modifiche: per esempio, secondo il programma, i congressisti avrebbero dovuto per tre giorni attraversare tutti insieme il Mare Egeo … ma per qualche ragione essi finirono per viaggiare separati in tre gruppi diversi, uno verso le isole Cicladi, un altro verso le isole dell’Argosaronicco e al Peloponneso, un terzo si diresse a Delfi. Alcuni critici hanno evidenziato come questa “separazione” di viaggio sia rappresentativa della diversità di punti di vista e dei disaccordi interni al IV CIAM (6) .
Inoltre, durante il viaggio di ritorno verso Marsiglia, i congressisti avrebbero dovuto redigere un documento unitario sulla CITTÀ FUNZIONALE che riassumesse i lavori preliminari e l’esito del dibattito svolto fin lì. Nel rispetto dell’obiettivo dei primi CIAM, l’idea era quella di stendere il documento in forma prescrittiva, con l’obiettivo di codificare e diffondere i principi dell’urbanistica e dell’architettura moderna, affermando l’autorevolezza del punto di vista modernista … anche questa cosa non andò come da previsione, e questo proprio a causa della difficoltà di “rappacificare” gli animi che si erano accesi per le divergenze evidenziatesi durante il Congresso. Questo venne confermato dallo stesso segretario Giedion, che al Congresso successivo segnalò:
«Esistono nel CIAM due indirizzi tra loro antitetici [...]. Un indirizzo sceglie come punto di partenza una prudente analisi dei fatti e sulla base di essa cerca di arrivare per gradi ad una nuova realtà. [...] Il secondo indirizzo tende a cogliere i problemi in modo globale, come a volo d'uccello, e si esprime con ampie concezioni che si slanciano in avanti. [...] (7)».
Inoltre, è cosa nota, già all’inizio del viaggio di ritorno, a bordo del Patris, davanti alle prime scaramucce il presidente del CIAM, l’olandese Cornelis van Eesteren cercò di riportare ordine e procedere sollecitamente alla redazione del testo conclusivo:
«Senza deliberazioni i nostri lavori non hanno senso. Deliberazione è uguale a resoconto [...] I nostri resoconti sono la cosa più importante. Sarebbe meglio che il Congresso rischiasse delle deliberazioni sbagliate, piuttosto che si perdesse in analisi senza fine (8)».
A cosa si riferiva? Dalle parole di richiamo all’ordine risulta chiaro che non si riusciva a raggiungere un accordo.
Ebbene, durante il viaggio di andata era stata eletta una commissione per la stesura delle risoluzioni finali, e ad Atene era stato distribuito un questionario, articolato secondo le quattro funzioni (abitazione, tempo libero, lavoro, circolazione) con l’aggiunta di una parte sulla città storica. Alla ripartenza per Marsiglia i diversi gruppi nazionali riconsegnarono il questionario. Immediatamente si evidenziò l’assenza di una posizione unitaria, per cui il penultimo giorno di viaggio vennero presentate ai congressisti addirittura tre diverse versioni di un testo conclusivo … Si noti la “strana” coincidenza del numero di versioni con quella dei tre gruppi di viaggiatori nel Mare Egeo di cui si è detto in precedenza! Motivi di disaccordo erano principalmente le questioni della proprietà del suolo, della trama fondiaria(9), (ovvero quelle che premono a chi fa speculazione) e del patrimonio storico. Il 14 agosto, concluso il Congresso, all’arrivo al porto di Marsiglia quasi tutti i componenti della Commissione per le risoluzioni si soffermarono nella città francese, tranne Le Corbusier che lasciò il gruppo. Raggiunto un compromesso, venne redatto un documento titolato Communiqué du Congrès divisé en trois parties(10).
A conferma delle divergenze e difficoltà, c’è la successiva fitta corrispondenza(11), intercorsa tra agosto e dicembre del ‘33, principalmente tra Le Corbusier e Giedion, in cui si discuteva prevalentemente della dimensione politica del lavoro degli architetti e del loro rapporto con le autorità politiche (la necessità di dover esigere!).
Il tempo scorreva, e Le Corbusier voleva a tutti i costi che le risoluzioni venissero presentate, la lettera che egli scrisse a Giedion il 29 agosto è la dimostrazione più evidente dei dissensi, la dimostrazione che tutto quanto fatto non fosse nient’altro che il tentativo di mascherare le teorie personali di Le Corbusier in un qualcosa che dovesse sembrare all’opinione pubblica il risultato “consensuale” di un gruppo e, per estensione, la traduzione in regole urbanistiche del “desiderio comune” dell’uomo moderno! Questa lettera, irriverente, mostra la faccia dispotica di Le Corbusier, ma soprattutto dimostra come egli volesse (forse a causa dei suoi rapporti con la lobby dell’industria automobilistica), far breccia negli ambienti politici in cui si prendono delle decisioni che si tramutano in leggi e codici urbanistici:
«Ascolti Giedion: sono dieci anni che sto di fronte alla realtà. Io so qual è il problema, dove sono le inquietudini, dove sono i freni, dove sono le debolezze, dove sono le buone intenzioni. Io so dove bisogna mirare […] a chi bisogna rivolgersi. Il nostro IV Congresso è un evento. Semplicemente! […] L’ultimo giorno sono state prese delle decisioni accettate da tutti. Esse sono oggettive. Ecco il fatto sensazionale: accordo su delle idee oggettive(12). Sono idee quelle che devono essere poste di fronte all’opinione pubblica. È per questo che il nostro Congresso vive. Se no crepa! Queste idee oggettive saranno una verità del 1933 per tutti, in tutti i paesi. … Non dobbiamo sottrarci. Abbiamo dei doveri: degli architetti ci attendono, dei sindaci, dei ministri: in una parola persone che hanno delle responsabilità. Non si fa un Congresso per affermare delle cose vuote, ma per costruire […] È giunto il momento. Giedion, il mondo brucia. C’è bisogno di certezze. Noi siamo i tecnici dell’architettura moderna […] io chiedo che le risoluzioni siano pubblicate. La forma mi importa poco(13)».
Nonostante tutto, solo a dieci anni dallo svolgimento del congresso, nel 1943 (o forse nel 1941 o ’42 secondo alcuni storici) Le Corbusier, a nome del Gruppo CIAM Francia, pubblicò il volume Urbanisme des CIAM. La Charte d’Aténes(14). In questo modo egli faceva “sue” le constatazioni del IV CIAM, revisionandole e articolandole in 95 punti, ognuno dei quali da lui opportunamente commentato: ciò che era partito da lui, e per il quale si era ardentemente battuto sin dal Città Contemporanea del ‘21, non poteva che essere rielaborato e codificato da lui stesso.
La conoscenza di questa “conclusione dei fatti” non può non gettare ombra sulla ipotizzata comunione di pensiero che si era tentata di sostenere. Infatti, nel 1957, seguì una nuova pubblicazione, La Charte d’Aténes, il cui unico autore era Le Corbusier ... Come ha acutamente sottolineato Pier Giorgio Gerosa “L'attrazione di un testo collettivo nell'orbita mitologica di una star è diventata opera compiuta(15)”.
Purtroppo era troppo tardi per rimettere in discussione l’idea di quel documento come la sintesi del pensiero e desiderio comune: alla luce di quella che è stata la legislazione mondiale successiva al IV CIAM, e conseguentemente del modo in cui l’architettura e l’urbanistica sono state insegnate nelle università – e messe in pratica dai professionisti di tutto il mondo – dovremmo riconoscere in Le Corbusier la figura di un vero monarca assoluto, un nuovo “Re Sole”, che è stato in grado (nonostante non abbia mai preso una laurea in architettura) di sottomettere l’intera popolazione mondiale al suo ideale di città e di architettura: l’Impero del Modernismo, non avendo confini territoriali riconoscibili, è da ritenersi il più grande impero che sia mai esistito a memoria umana, e il suo leader, Le Corbusier, è l’uomo che ha saputo imporre, incruentamente (se si eccettuano i danni psico-sociali della sua “città funzionale”) la sua egemonia a livello planetario.
È interessante far notare che sia stato lo stesso Le Corbusier a volersi premurare di sottolineare come
«la Carta non fosse l'opera di un individuo ma la conclusione di un'élite di costruttori appassionatamente dedita alla nuova arte di costruire, armata cioè della certezza che la casa degli uomini [...] deve essere riconsiderata [...](16)».
Allargare la “proprietà intellettuale” della Carta, serviva a darle l’immagine di un armonioso pensiero collettivo e condiviso … sebbene limitato ad “un'élite di costruttori” che prescindeva dalle volontà degli “ignorantissimi” comuni mortali che poi avrebbero dovuto vivere in quelle realtà urbane.
A conferma delle gravi ripercussioni che la Carta ha avuto sull’urbanistica planetaria, c’è il discorso di Sigfried Giedion al VI CIAM tenutosi a Bridgwater nel 1947:
«Noi oggi sappiamo che la Carta d'Atene, che nel 1933 ha gettato le basi dell'urbanistica moderna, ha avuto una grande influenza sulle autorità(17)».
Mentre, sulla faziosità che aveva sovrainteso ai lavori del ’33, c’è questa frase di Le Corbusier a far luce:
«La Carta d'Atene apre tutte le porte all'urbanistica dei tempi moderni. È una risposta all'attuale caos delle città (18)».
Questa affermazione la dice lunga anche sulla retorica delle parole di Le Corbusier(19), quando si decise di svolgere i lavori del IV C.I.A.M. in Grecia (inizialmente si era deciso per Mosca): svolgere il congresso ad Atene non significava affatto relazionarsi con la città storica poiché, “per statuto”, il CIAM non intendeva tornare al passato e orientare lo sguardo e il progetto verso una città e un'architettura che non fossero “contemporanee”, eventualmente voleva proprio negare quel “passato” in quanto tale.
La visione terribilmente critica dell’impianto storico delle città discusse dal Congresso, a partire dalla tavola presentata dal GATEPAC riguardo al Piano Cerdà per Barcellona, è la dimostrazione che la maglia urbana storica fosse considerata, a priori, quanto di più insano, confuso e dannoso per la città futura. Infatti, il capitolo conclusivo del Congresso di Fondazione dei CIAM a La Sarraz, e quello della Carta di Atene, ambedue dedicati al “patrimonio storico” erano stati espliciti nel dichiarare il rifiuto dei CIAM a «trasferire alle loro opere i principi creativi di altre epoche e le strutture sociali del passato(20)». Del resto, i teorici del Modernismo si batterono per la necessità di “Azzerare la storia!” e per lo “Zeitgeist” (lo Spirito del Tempo).
Oggi, il risultato dell’imposizione di questa visione modernista della città, ci deve far riflettere sul fatto che l’utopia della “città funzionale” ha fallito in toto. Le ripercussioni socio-economiche ed ecologiche di quella visione ci dimostrano che il sogno di rendere funzionale e ordinata la città era viziato da una ideologia sballata. Del resto è difficile poter pensare che delle città ritenute “funzionanti” per più di duemila anni non potessero essere ancora valide. Probabilmente si sarebbe dovuto ragionare in maniera meno radicale, per poter consentire un uso dell’automobile al loro interno, ma non di certo si doveva pensare tutto in funzione dell’autotrazione. Né tantomeno si può accettare che le città, cresciute su sé stesse per duemila anni rispettando il delicato rapporto città-campagna, nonché l’esigenza di avere tutto a portata di mano, si siano dovute ripensare in nome della zonizzazione. Aver separato le funzioni, aver aumentato le distanze, aver ragionato per griglie urbane e regole assolute, aver dimensionato il tutto su degli standard numerici piuttosto che sulle dimensioni a scala umana, ha portato le città a raggiungere dimensioni, costi e mancanza di sicurezza che mai in passato si erano raggiunti. Oggi diviene sempre più difficile poter pensare di restaurare il rapporto città-campagna, e all’interno delle città, quello tra l’edificato e gli esseri umani, questo perché tutta la normativa che è venuta dopo il 1933 si è fondata su quelle certezze assolute. In Italia le varie leggi urbanistiche si sono basate su quelle teorie, e ancora oggi la 1150/42, la 167/62 e i DPR 1404 e 1444/68 la fanno da padrone. È difficile pensare di poter cambiare le cose se chi legifera continua a ragionare in funzione di quelle norme, ma soprattutto di quell’ideologia. Probabilmente bisognerebbe iniziare a riscoprire una serie di norme, codici, regolamenti e statuti precedenti quello sciagurato 1933, studiarle opportunamente e comprendere come possano adattarsi al vivere contemporaneo e ad alcune norme recenti degne di essere prese in considerazione, poiché, come diceva Edmund Burke,
«Una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta».
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
La mia critica, in realtà, non è cosa nuova, sin dal Congresso del ’33 qualcuno, molto vicino a Le Corbusier si accorse che ci si stava indirizzando verso un vicolo cieco. Infatti, se proprio i membri del CIAM non avevano alcun interesse ad ascoltare gli architetti che, in quegli stessi anni, stavano lavorando su una modernità rispettosa della tradizione, almeno avrebbero potuto prendere in considerazione le parole contenute nel discorso agli architetti, tenuto ad Atene in quell’agosto del ’33, dal pittore francese, amico di Le Corbusier e membro degli amici dei CIAM, Fernand Léger:
«penso che la vostra epoca eroica sia conclusa […] Lo sforzo di pulizia è terminato. Fermatevi perché state superando il limite [...] Un’élite ha seguito la vostra epoca eroica. È normale. Avete costruito delle case per gente che era all’avanguardia [...] Voi volete invece che le vostre idee si estendano .. che la parola “urbanistica” domini il problema estetico”. [...] “L’urbanistica è sociale. Siete entrati in un campo del tutto nuovo, un campo nel quale le vostre soluzioni pure e radicali dovranno combattere [...] Abbandonate questa minoranza elegante e accondiscendente [...] Il piccolo uomo medio, l’“urbano”, per chiamarlo col suo nome, è preso da vertigini [...] Voi avete creato un fatto architettonico assolutamente nuovo. Ma da un punto di vista urbano-sociale avete esagerato per eccesso di velocità. Se volete fare urbanistica credo dobbiate dimenticare di essere degli artisti. Diventate dei “sociali” [...] tra la vostra concezione estetica, accettata da una minoranza, e la vostra visione urbana, che si trova ovunque in difficoltà per l’incomprensione delle “masse”, c’é una rottura [...] avreste dovuto guardare all’indietro: avreste visto di non avere seguito [...] C’è bisogno che uomini come voi osservino più attentamente uomini che stanno dietro e a fianco di loro e che si attendono qualcosa, [...]. Rimettetevi i vostri piani nelle tasche, scendete nella strada, ascoltate il loro respiro, prendete contatto, confondetevi con la materia prima, camminate nel loro stesso fango e nella stessa polvere(21)»
Purtroppo queste restarono parole al vento, da quel momento in avanti il modo di pensare all’architettura e all’urbanistica era definitivamente cambiato in nome del faut exiger!
NOTE:
(1)Termine originato dalle École des Beaux-Arts di Parigi nel XIX secolo. Il termine charrette è quello usato in francese per "carretto" o "carro": Era ben nota, agli studenti di Architettura della École des Beaux-Arts, la necessità di lavorare intensamente, fino all'ultimo minuto, sulle immagini dei loro progetti … persino mentre si recavano a scuola, con il carretto tirato dal cavallo ("en charrette "), per mostrare i progetti ai loro professori. Da qui il termine ha subito una metamorfosi fino all'uso corrente – in voga specie tra gli architetti “tradizionali” – riferito alla full-immersion che si fa nelle fasi iniziali di una progettazione collettiva.
Il termine charrette è stato applicato storicamente, anche al carro o carretta per il trasporto dei condannati alla ghigliottina. Per esempio: «Une charrette (...) traînait lentement à la guillotine un homme dont personne ne savait le nom» (Anatole France, Les Dieux ont soif, 1912, p. 44). [tr. «un carretto portò lentamente alla ghigliottina un uomo di cui nessuno conosceva il nome»].
Nei secoli XVI, XVII, e XVIII, quando il viaggiare prendeva tempi lunghi, la Charette si riferiva alle lunghe cavalcate in carrozza durante le quali, gruppi di statisti e politici si appartavano al fine di collaborare a trovare una soluzione ad una serie di problematiche prefissate prima del viaggio. Questa interpretazione del termine è quella più simile all'uso corrente applicato al mondo dell’architettura.
(2)IV Congresso internazionale di architettura moderna, Mosca 1932. Direttive per l’esposizione e la pubblicazione: “la città funzionale”, in P. Di Biagi (cura di), La Carta d’Atene. Manifesto e frammento dell’urbanistica moderna, Officina, Roma 1998, p. 407.
(3)Le tavole per le 33 città sono state tutte elaborate con uguali criteri analitici, le stesse scale, le medesime tecniche di rappresentazione. Il nuovo piano di Amsterdam, (la redazione del quale era oramai giunta alla sua fase conclusiva), era stato il loro modello (a sua volta incentrato sulle precedenti teorie di Le Corbusier): Dall’esperienza olandese erano state messe a punto le istruzioni per i diversi gruppi nazionali per rendere i materiali “facilmente comparabili fra loro e perciò rappresentati in maniera unitaria”. Le direttive per l’esposizione La città funzionale, dicembre 1931, in Antologia di testi e documenti del IV Congresso internazionale di architettura moderna, a cura di P. G. Gerosa, p. 409.
(4)Grupo de Artistas y Técnicos Españoles para el Progreso de la Arquitectura Contemporánea
(5)“AC” (Documentos de Actividad Contemporánea, Publicación del G.A.T.E.P.A.C.) n°11, ora in A.C.: Documentos de Actividad Contemporánea 1931-1937, pp. 146 e 147.
(6)Si veda Yorgos Simeoforidis, I giorni del IV CIAM ad Atene: figure, vicende, ripercussioni.
(7)S. Giedion, Habitations et loisires, “Neue Zürcher Zeitung”, 3.8.1937, citato in H. Syrkus, 1928-1934 La Sarraz e la Varsavia funzionale, in “Parametro” n. 70, 1978, p. 24.
(8)Dal verbale della seduta del 12.8.’33, ora in “Parametro”, n. 52, cit., p. 44.
(9)Cfr. Ugo Ischia, “Si deve poter disporre del suolo quando si tratta dell'interesse generale”, in P. Di Biagi (a cura di), La Carta d’Atene. Manifesto e frammento dell’urbanistica moderna.
(10)I CIAM verso Atene: spazio abitabile e città funzionale, Paola Di Biagi, Intervento presentato in occasione del convegno: EL GATCPAC Y SU TIEMPO, política, cultura y arquitectura en los años treinta V Congreso Internacional DOCOMOMO Ibérico, Barcellona, 26 - 29 ottobre 2005.
(11)In Antologia di testi e documenti del IV Congresso internazionale di architettura moderna, a cura di P.G. Gerosa, p. 440.
(12)Da quanto ho raccontato alla pagine precedente sappiamo bene che non è vero!
(13)in Antologia di testi e documenti del IV Congresso internazionale di architettura moderna, a cura di P. G. Gerosa, pp. 433-434.
(14)Le groupe CIAM-France, Urbanisme des C.I.A.M. La Charte d’Athènes, Plon, Paris 1943.
(15)P. G. Gerosa, I testi della città funzionale, dai CIAM alla Carta d’Atene (1928-1943). Esplorazioni ermeneutiche ed epistemologiche, in P. Di Biagi (a cura di), La Carta d’Atene. Manifesto e frammento dell’urbanistica moderna, p. 91.
(16)Le Corbusier, La maison des hommes, in Le groupe Ciam-France, Urbanisme des C.I.A.M. La Charte d'Athènes, pp. 48-49.
(17)S. Giedion, Des architectes se forment eux-mêmes, in S. Giedion (Hrsg), Dix ans d'architecture contemporaine, Éditions Girsberger, Zürich 1951, Kraus reprint, Nendeln 1979, p. 12.
(18)Le Corbusier, La maison des hommes, p. 48.
(19)Parlando dello spostamento del congresso da Mosca ad Atene disse: «grembo della natura umana, [...] quella terra felice [...] del razionale dove si trovano le misure alla scala umana, alle radici classiche dell’architettura razionale». Le Corbusier, La maison des hommes, in Le Groupe CIAM-France, Urbanisme des C.I.A.M. La Charte d’Athènes, p. 47
(20)La dichiarazione conclusiva dell’incontro di fondazione dei CIAM a La Sarraz: «Il compito degli architetti è [...] quello di trovare l'accordo con i grandi fatti dell'epoca e con i grandi fini della società cui appartengono e di creare le loro opere in conformità di ciò. Essi rifiutano perciò di trasferire alle loro opere i principi creativi di altre epoche e le strutture sociali del passato». Dichiarazione ufficiale, 28 giugno 1928, in M. De Benedetti, A. Pracchi, Antologia dell'architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1988, p. 574.
(21)F. Léger, Discours aux architectes, “Technika Chronika/Annales Techniques”, n. 44-45-46, 1933, pp. 1160-1161.
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