Lo scritto che segue mi è stato gentilmente inviato da Ettore Maria Mazzola, docente all'Università Notre Dame di Roma. Poiché scardina molti luoghi comuni e non si perita di criticare alcune icone del "modernismo" immagino che susciterà qualche discussione.
RIFLESSIONI SUL FALSO
di Ettore Maria Mazzola
Considerato il proliferare dei commenti che accennano al concetto “Falso Storico”, riporto qualche chiarimento per porre fine all’abuso del termine.
Per evitare fraintendimenti userò le stesse parole di Cesare Brandi – Teoria del Restauro (Giulio Einaudi Edizioni – Torino 1963) e, in particolar modo, del capitolo “Falsificazione”.
“[...] Pertanto la falsità si fonda nel giudizio. Ora il giudizio di falso si pone come quello in cui viene attribuito ad un particolare soggetto un predicato, il cui contenuto consiste nella relazione del soggetto al concetto. Si riconosce così nel giudizio di falsità un giudizio problematico, col quale ci si riferisce alle determinazioni essenziali che il soggetto dovrebbe possedere e non possiede, ma che invece si pretenderebbe possedesse, onde nel giudizio di falsità si stabilisce la non congruenza del soggetto al suo concetto, e l’oggetto stesso è dichiarato falso”.
Non occorrono ulteriori spiegazioni sull’argomento, poiché è sufficientemente chiaro dalle parole del Brandi che il problema della presunta falsità consista nel “giudizio” che si dà di un oggetto, e dunque che il giudizio, in quanto tale, sia un problema soggettivo! ...
Un ulteriore importantissimo passaggio è il discorso sull’intenzionalità di chi produce o mette in circolazione il falso: ancora una volta Brandi chiarisce inequivocabilmente come, a seconda di questa intenzionalità, possa operarsi una netta differenziazione tra copia, imitazione e falsificazione.
Egli individua tre casi:
1) produzione di un oggetto a somiglianza o a riproduzione di un altro oggetto, oppure nei modi o nello stile di un determinato periodo storico o di determinata personalità artistica, per nessun altro fine che una documentazione dell’oggetto o il diletto che s’intende ricavarne;
2) produzione di un oggetto come sopra, ma con l’intento specifico di trarre altrui in inganno circa l’epoca, la consistenza materiale, o l’autore;
3) immissione nel commercio, o comunque diffusione dell’oggetto, anche se non sia stato prodotto con l’intenzione di trarre in inganno, come di un’opera autentica, di epoca, o di materia, o di fabbrica, o di autori, diversi da quelli che competono all’oggetto in se.
Il primo dei tre casi rientra nella sfera della copia o imitazione, gli altri due individuano le due accezioni fondamentali del falso: “solo nella fattispecie potrà allora distinguersi il falso storico dal falso artistico, che del falso storico finisce per presentarsi come una sottospecie, dato che ogni opera d’arte è anche monumento storico, e dato che l’intenzione di trarre in inganno è identica nei due casi”.
La Storia dell’Arte è ricca di esempi di “artisti” e dei loro “allievi”; questi ultimi si ispirarono ai loro maestri raggiungendo livelli artistici notevoli, pur fondando la loro produzione sulla personalità altrui: mai nessuno di questi “allievi” venne denunciato per plagio, per amoralità o per reato estetico, tanto che oggi abbiamo la possibilità di studiare le loro opere su tutti i libri di Storia dell’Arte: Quello del falso è un problema creato da noi “moderni”.
Del resto, se il recupero della tradizione e dei canoni classici fosse stato considerato un atto di falsità, né il Rinascimento, né il Neoclassicismo sarebbero mai potuti esistere: ad eccezione del Movimento Modernista, ogni periodo della Storia dell’Architettura ha fatto tesoro della tradizione precedente ed è stato in grado di aggiungere qualcosa di nuovo. Diversamente il movimento modernista, basando la sua forza espressiva sull’azzeramento della storia, non avrebbe mai potuto convivere con una tradizione in grado di far riflettere, così l’ha rinnegata!
Chi sarebbe mai un certo Winckelmann senza i falsi realizzati dagli antichi romani? Quelli sì che vennero realizzati a scopo di lucro! Molte botteghe di scultori – facendosi pagare profumatamente – eseguivano copie delle opere dei più grandi artisti greci per abbellire le case dei ricchi romani: solo grazie all’opera di questi falsari oggi possiamo apprezzare opere come il Laooconte, il Toro Farnese, il Discobolo di Mirone, ecc. ... queste sono opere mirabili, benché copie, la gente le apprezza, e le apprezzava, indipendentemente dalle considerazioni intellettualoidi dei critici e degli storici dell’arte.
Quando in antichità un edificio cadeva in rovina, esso veniva ricostruito. Templi arcaici vennero ricostruiti secondo il gusto ellenista operando dunque, secondo quello che è il pensiero contemporaneo, un crimine di falsità, ma nessuno – tranne qualche faziosa teoria ottocentesca, mai peraltro dimostrata – ha mai posto l’interrogativo se i romani furono dei grandi artisti o semplicemente degli squallidi copisti. È ovvio che essi furono dei grandi artisti, ed è altrettanto ovvio che il problema non va ricercato nel metodo dell’artista ma nel giudizio, spesso ipocrita, del giudicante.
Cosa potremmo dire delle splendide opere di integrazione, ricostruzione e completamento, eseguite dalla bottega di Bartolomeo Cavaceppi su gran parte della statuaria romana (oggi nei più importanti musei del mondo): quello suo, per i benpensanti della sua epoca, fu un gesto criminale che li offese a morte, o diversamente egli fu considerato un grande cui commissionare opere del genere?
Tornando al concetto di falso storico in architettura, Brandi (che non parla di architettura ma di arti figurative) ci ha chiarito come il problema principale sia dato dal comportamento ingannevole che l’autore dell’oggetto assume nei confronti di chi lo osserva.
Estensione del “falso” all’architettura
Per chi l’avesse dimenticato, o non lo conoscesse, questo è ciò che Antonio Sant’Elia scrisse nel Manifesto dell’Architettura Futurista dell’11.07.1914:
«... IO COMBATTO E DISPREZZO: 1° tutta la pseudo-Architettura d’avanguardia, austriaca, ungherese, tedesca e americana. 2° Tutta l’Architettura classica, solenne, ieratica, scenografica, decorativa, monumentale, leggiadra, piacevole. 3° L’imbalsamazione, la ricostruzione, la riproduzione dei monumenti e palazzi antichi. 4° Le linee perpendicolari e orizzontali, le forme cubiche e piramidali che sono statiche, gravi, opprimenti e assolutamente fuori dalla nostra nuovissima sensibilità»
«E PROCLAMO: 1° che l’Architettura Futurista è l’Architettura del calcolo, dell’audacia temeraria e della semplicità; l’Architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono di ottenere il massimo dell’elasticità e della leggerezza»
«2° Che l’Architettura non è per questo arida combinazione di praticità e utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione»
«3° che le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche per la loro stessa natura e hanno una potenza emotiva mille volte superiore a quella delle perpendicolari e delle orizzontali, che non vi può essere un’Architettura dinamicamente integratrice all’infuori di esse»
«4° che la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all’Architettura, è un assurdo, e che soltanto dall’uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell’Architettura Futurista»
«5° che, come gli antichi trassero l’ispirazione dell’arte dagli elementi della natura, noi – materialmente e spiritualmente artificiali – dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l’Architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione artistica più efficace»
«6° l’Architettura come arte di disporre le forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita».
«7° per l’Architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con grande audacia, l’ambiente con l’uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito»
«8° da un’Architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell’Architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. “Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città” questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del “Futurismo”, che già si afferma con le “Parole in libertà”, il “Dinamismo plastico”, la “Musica senza quadratura” e l’”Arte dei rumori”, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista».
La conseguenza di questa visione folle è che, a causa di una formazione studentesca distorta in nome del modernismo, nella realtà di oggi si registra tra gli architetti una diffusa incapacità di relazionarsi con certi temi, e chi prova a rispolverare i canoni della progettazione tradizionale viene attaccato come anacronistico, passatista, ecc. … come ricordava Viollet-Le-Duc: «amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo ... ma sdegnare non significa provare!(1)».
Chiunque abbia un po’ di sale in zucca potrà comprendere che le parole di Sant’Elia, giovanissimo ribelle all’epoca delle avanguardie artistiche internazionali – epoca in cui l’Italia cercava il modo per riappropriarsi del ruolo di centro artistico e culturale del mondo – possono giustificarsi in quel contesto, ma non necessariamente che esse si debbano prendere come una “Bibbia” per tutta l’architettura che è venuta dopo.
Purtroppo però, gli interessi economici, le teorie di Le Corbusier a favore dell’industria automobilistica (2), e soprattutto il complesso di inferiorità culturale degli italiani fecero sì che le cose andassero via via peggiorando; così, di lì a poco, si ebbero degli eventi che segnarono definitivamente il modo di costruire nel nostro Paese.
Nel 1931, a Roma, Pier Maria Bardi organizzò una mostra che aveva come unico scopo la messa al bando dell’architettura “vigliacca e passatista”. In occasione della Esposizione Italiana di Architettura Razionale, una stanza venne dedicata ad un pannello realizzato con la tecnica del collage, in cui foto e disegni delle architetture tradizionali realizzate nel primo novecento in Italia venivano ribattezzate la “Tavola degli Orrori”.
Per comprendere il peso di questo evento, e le conseguenze su ciò che avvenne di lì a breve, è necessario ricordare quella che fu l’influenza che esso ebbe nella mente di Benito Mussolini e dell’Intellighenzia italiana dell’epoca. Eccovi un sunto.
Nel 1929 Armando Brasini aveva ricevuto l’incarico per costruire a Roma, in via IV Novembre, un edificio che rimpiazzasse il demolito Teatro Nazionale di Francesco Azzurri. Il Teatro era stato demolito, nonostante la notorietà dell’autore e l’importanza funzionale dell’edificio, perché ritenuto inadeguato al carattere architettonico di Roma. D’Annunzio accusò la facciata di «essere pretenziosa e volgare e la tettoia in vetri orribile perché è una cosa industriale, brutta, meschina, comprata un tanto al metro, appiccicata là a far da testimonianza alla taccagneria che ha presieduto al compimento di tutta la parte ornamentale!» Mussolini ritenne Brasini l’unico architetto degno di poter mettere le mani su quel delicatissimo punto di Roma, tra l’altro allineato frontalmente a Palazzo Venezia, e si compiacque del progetto che dimostrava la validità della scelta dell’architetto.
Roma, Armando Brasini, Palazzo dell’I.N.A.I.L. (1929-’32)
All’indomani della mostra di Bardi, in occasione dell’inaugurazione di quel Palazzo (28 marzo 1932), l’opinione del Duce era totalmente cambiata: nel suo discorso alla Camera dei Senatori disse: «il palazzo è un autentico infortunio capitato proprio alle Assicurazioni agli Infortuni». Questa frase fece sì che l’INAIL decidesse di non utilizzare più quell’edificio come sua sede, perché ritenuto una “vergogna”, e lo cedette in affitto all’Aviazione Italiana.
Già nel ’31 la pubblicazione della splendida rivista Architettura e Arti Decorative era stata sospesa e rimpiazzata da quella di riviste schierate in nome del Modernismo, nel ’32 lo stesso Bardi – che dopo aver ripetuto per tre volte la terza elementare, era stato costretto per legge ad abbandonare gli studi (3) – fondò la rivista Quadrante di cui dirò presto.
Tra il ’32 e il ’36 un’altra battaglia venne combattuta in quel di Como, tra “tradizionalisti” e “modernisti”, i primi facenti capo in Federico Frigerio, i secondi in Terragni, Pagano, Cattaneo, ecc. La causa scatenante era stata l’edificazione, nel 1927, del Novocumum da parte di Terragni, edificio inaccettabile per i comaschi dell’epoca. Ciò che aveva disturbato era stato il trucco di presentare un progetto per poi realizzarne un altro.
La storia si ripeté con la “Casa del Fascio”, e questa volta la reazione dei comaschi indignati fu più forte.
L’intera città si era indignata per la costruzione di Giuseppe Terragni: il progetto presentato ed approvato era totalmente diverso da quello realizzato, e tutto era avvenuto sotto l’egida del Podestà locale, il fratello del Terragni: ecco il “trucco” – come lo definisce Alberto Artioli (4) – per aggirare l’ostacolo alla costruzione. In una lettera inviata dal Podestà a Giuseppe si suggeriva: «presenta un “progetto in stile”, poi quando tiri su i ponteggi fai quello che vuoi!».
L’indignazione fu talmente forte che la popolazione si rifiutò di assistere all’inaugurazione dell’edificio e si dovette ricorrere astutamente ad una cerimonia di commemorazione dei caduti della Prima Guerra Mondiale per far confluire il popolo nella “piazza” antistante la Casa.
Lo stesso Mussolini era rimasto profondamente turbato dall’edificio ma poi, la furbizia lessicale di Terragni e Marinetti (il teorico del Futurismo), coniarono la giustificazione plausibile all’edificio: esso trasformava in Architettura ciò che il Duce aveva detto, «il Fascismo è una casa di vetro dove tutti possono guardare!». Fu così che il Duce fece sua l’idea dell’edificio.
Forte di questo successo politico Carlo Belli, sul numero 35 della rivista Quadrante del 1936, nel paragrafo intitolato “Dopo la polemica” – per celebrare la vittoria del Modernismo conseguente la costruzione della Casa del Fascio di Como – diceva: «Non so quanti, in Italia, potranno capire oggi la nostra gioia per il compimento della Casa del Fascio di Como. Quando, tra qualche anno, un’adesione universale conforterà quest’opera di Terragni, allora sì, molti si arrenderanno, per riconoscere onestamente che avevamo ragione. […] Ma, ora, possiamo rispondere che vogliamo la Casa del Fascio di Como, intanto, come modello-base per tutti gli edifici d’Italia (compresi i ministeri). […] L’idea di un “Nuovo Vignola” dell’architettura italiana, idea ventilata in questi giorni, più che originale, assai più che brillante, è una proposta veramente saggia da attuarsi subito per l’onore e la salvezza del nostro prestigio in fatto di architettura. In questo manuale la Casa del Fascio di Como sarà la tavola logaritmica delle costruzioni del genere, il vocabolario in cui sono espresse nella loro forma migliore, tutte le soluzioni più esatte dei più complicati problemi. Un prontuario di bellezza, un paradigma di saggezza: un’opera completa sotto tutti i punti di vista».
Davanti a cotanta fermezza e furbizia non c’è da meravigliarsi se il Regime, per la prima volta, arrivò ad imporre il nuovo modo di concepire l’Architettura: Un regime totalitario che racconta di dare delle case moderne, simbolo di libertà e di progresso, non può che essere apprezzato ... peccato però che gli abitanti degli edifici nati seguendo questi dettami non abbiano mai ritenuto di vivere negli spazi che avrebbero sognato, e anzi, molto spesso, ci abbiano lasciato di loro definizioni come quartieri ghetto, edifici lager, eccetera.
Sebbene possa sembrare impossibile che questo piccolo evento comasco possa aver avuto una risonanza così drammatica sul nostro Paese, la lettura di un testo di legge emanato due anni dopo ci dimostra che la delirante richiesta modernista di Belli, Pagano, Terragni, Cattaneo, ecc., ben presto venne tramutata in realtà.
Nel 1938 – nell’interesse dei soli “palazzinari” – affinché non si osasse più costruire in modo tradizionale, a cura del Ministero della Pubblica Istruzione Italiano venivano promulgate le “Istruzioni per il Restauro dei Monumenti” il cui punto 8 così recitava: «per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in “stili” antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte» (5).
La strenua resistenza dei membri della Associazione Artistica fra i Cultori dell’Architettura agli attacchi delle riviste monodirezionali, come la tedesca Moderne Bauformen o le italiane Casabella, Quadrante, ecc., ormai non aveva più campo d’azione: gli architetti tradizionali erano stati banditi per legge!
L’Architettura era morta in nome del Modernismo di Stato ... ma da noi continuano a farci credere il contrario, bollando come fascista chi si interessa di architettura neo-tradizionale!
Questi aneddoti cambiarono radicalmente il modo di insegnare, costruire e concepire l’Architettura in Italia.
Chi inganna chi?
L’altra faccia del falso storico è rappresentata da quelle città italiane le quali, per il fatto di aver dato i natali ad architetti “moderni” o ad architetture razionaliste, hanno dimenticato tutto quanto successo prima del XX secolo, in questo modo, architetti, critici, e politici locali chiedono, o addirittura impongono, che l’edilizia prodotta dal movimento modernista venga presa come modello da seguire: così sono nati, e continuano a nascere, interventi neo-razionalisti, neo-funzionalisti, neo-Terragniani, neo-LeCorbusierani, ecc., mentre vengono ridicolizzati, o peggio criminalizzati, gli interventi di chi si sforza di riappropriarsi dei canoni tradizionali.
Perché il cercare di dare una casa ed un ambiente urbano dignitoso e piacevole, ispirandosi al Passato più nobile, è da considerarsi un atto criminale, mentre il copiare i presunti “grandi modernisti” è invece un comportamento da perseguire?
Se il problema è solo quello dell’inganno, nessun “architetto tradizionalista” intende ingannare nessuno con il suo modo di operare, egli semmai è mosso dal rispetto dei monumenti, dei centri storici, del paesaggio e, soprattutto, degli abitanti; egli non ha nessuna intenzione di far credere che la sua opera sia stata realizzata in un’altra epoca, o da un grande del passato: egli non vuole offendere nessuno, piuttosto è interessato a cancellare le offese che la “povera gente incolta” è stata costretta a subire da chi, con la “presunzione della cultura”, l’ha ingannata facendogli credere che gli stava creando intorno una città figlia della “civiltà moderna”, “espressione del nostro tempo”.
Inganno letteralmente significa presentazione falsata della verità.
La realtà dei fatti urbanistici di oggi ci dimostra come l’unico vero inganno, sia stato proprio quello compiuto dai cosiddetti esperti i quali, con il loro modo di sentenziare, ci hanno voluto far credere che la zonizzazione, le moderne periferie, le grandi arterie di traffico nel bel mezzo dei centri abitati, le unità di abitazione, la rimozione di ogni aggiunta decorativa, ecc. corrispondessero alla vera espressione di civiltà moderna, ai veri ideali di vita, di urbanistica e di architettura.
Credo senza alcun dubbio che gli unici falsari siano i teorici del falso storico, coloro i quali, con la loro “colta saccenteria”, hanno convinto, o cercato di convincere, la “massa incolta”, che il loro “sapere” li avrebbe guidati ad un futuro migliore. Questa massa, ammalata di un certo complesso di inferiorità culturale nei confronti degli esperti, ha passivamente accettato questi teoremi perché “detti da chi capisce” … anche se poi, nel proprio intimo, ha sempre covato un senso di disgusto e di rifiuto, puntualmente tirato fuori quando era troppo tardi, oppure sottovoce in qualche discorso tra amici con i quali non c’era da vergognarsi di “non capire” l’architettura e l’urbanistica contemporanea.
Ettore Maria Mazzola
Note:
1) Conversazioni sull’Architettura – Edizioni Jaca Book S.p.A. – Milano 1990
2) Prima il Plan Voisine (Voisine era un costruttore d’auto) e poi la Ville Radieuse secondo cui «le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro ... sufficiente per tutti.»
3) R. Mariani, Razionalismo e architettura moderna, Milano 1989
4) Alberto Artioli, “La Casa del Fascio di Como”, BetaGamma Editrice, Roma 1990, pag. 20; confrontare anche Ada Francesca Marcianò, “Giuseppe Terragni. Opera completa 1925-1943”, Officina Edizioni, Roma 1987, pag. 306
5) In materia di “Falso Storico” rimando al mio saggio “Falso storico? … Tutto falso!” in Como, la Modernità della tradizione, di Samir Younés ed Ettore Maria Mazzola, Gangemi Edizioni, Roma 2003, pagg. 33 - 47
22 commenti:
Nel campo dell'architettura, i discorsi sono certo più complessi, ma limitandoci alle arti figurative nel senso dei dipinti , statue e cose del genere, dovremmo dire che l'opera in sè non può mai definirsi falsa; falsa può essere la firme, e la certificazione. Che hanno lo scopo di trasformare l'oggetto in un "valore".
Nel caso di opere "concettuali" o "spaziali", come i tagli e i buchi di Fontana, una tela firata e tagliata da me, o da mio figlio, può dirsi diversa da quella originale solo per quanto riguarda il prezzo. E falsario sarà chi attesta il suo valore stratosferico, non chi ha eseguito il taglio.
Bravo Enrico D.
bisognerebbe ricordarlo a personaggi come Bonito Oliva che ebbe a dire: "critici si nasce, artisti si può diventare".
Questa frase è una follia, anche se nella civiltà consumista che ha mutato l'opera d'arte in oggetto di consumo, purtroppo spesso è vera. Il ruolo del critico ha superato quello dell'artista .. sarebbe il caso di tornare indietro
Ottimo post, centra pienamente la problematica e ha il pregio di dimostrare come il concetto di falso sia dovuto a tutta una serie di pregiudizi piuttosto radicati nella mentalità italiana. Ho messo un link sul mio blog.
Enrico Bardellini
Sì, il post è ottimo, ma dai primi commenti sembrerebbe di aver risolto tutti i problemi. Invece credo che non sia largamente condiviso.
Penso però che farà riflettere anche coloro che hanno questa idea perversa del falso.
Saluti
Pietro
Parlare dei Futuristi come "formazione studentesca distorta in nome del modernismo, stregata da una folle visione" e addossargli le colpe di quello che è il patrimonio edilizio italiano mi sembra ingiusto.
In questo scritto noto molto astio nei confronti del movimento moderno, visto come tiranno, approfittatore e subdolo artefice di tutti i mali relativi all'edilizia contemporanea.
Io (essendo uno sfegatato ottimista) vedo in quei personaggi molto coraggio (magari anche molta incoscienza) e nutro per loro un profondo rispetto.
Ora, la questione credo sia più tosto lunga, non vorrei essere prolisso, ma intendo difendere chi non si è accontentato di raccogliere, ma ha cercato anche di seminare, non si è limitato ad imparare ciò che gli veniva insegnato dai professori, dai libri, dal passato ecc... ma ha voluto capire (a sue spese) cosa c'è dietro, non dietro l'edilizia o dietro il "bello", ma dietro l'architettura.
Sicuramente ci sono esempi terrificanti di architettura moderna, ma sono pur sempre ricerca, sono trampolini per andare oltre.
Sbagliare è molto più utile di far bene (a volte), rende i limiti visibili.
E riguardo ai "bellissimi" centri storici italiani, agli elegantissimi esempi di architettura classica, ai fregi, agli ornamenti ed al classico....messi in contrapposizione con le degradate periferie, con le unità d'abitazione, con la severa edilizia moderna....sia demagogico.
L'edilizia classica era fatta si di templi, basiliche, fori romani, ville e residenze principesche; ma anche da baraccopoli di gran lunga peggiori delle favelas brasiliane e se era un fenomeno di poco conto, lo si è dovuto solo alla loro poca estensione (la popolazione rurale era di gran lunga superiore a quella cittadina).
Ora grazie al progresso e all'abbattimento dei costi dell'edilizia moderna, a tutti (o quasi) è stata data la possibilità di vivere in abitazioni dignitose, che non siano al pari dei centri storici mi sembra scontato, c'è una disparità di costi e di congestione enorme.
A questo punto tirerei in ballo Rem Koolhaas e il suo Junkspace, nel quale enuncia le teorie del Junkspace (appunto), della Città Generica e del Bigness.
In conclusione, tra i molti problemi dell'Architettura contemporanea penso che se ne possano tranquillamente eliminare un paio: il Falso e il Brutto.
E a monte di tutto farei una distinzione tra "A"rchitettura, architettura ed edilizia.
P.S.
Per quanto riguarda un po' tutti i temi, getterei anche un occhio ad oriente (o anche ad occidente tanto è uguale) nel lontano Giappone, che seppur estremamente legato alle proprie tradizioni, è riuscito a "produrre modernità" e trovare un giusto compromesso.
P.P.S.
(Se non sbaglio alle spalle del Foro di Augusto c'era la Via Suburra, uno dei luoghi più "sporchi" e pericolosi della Roma antica)
Caro Arturo,
penso che non hai letto bene il testo, visto che sono stato abbastanza magnanimo nel riconoscere l'eventuale ingenuità di Sant'Elia in quel determinato contesto storico. Deversamente può dirsi per le altre cose che ho dimostrato storicamente e che sono frutto della realtà dei fatti e non dell'astio personale. Sul discorso economico, purtroppo, sei totalmente fuori strada. Sto per pubblicare un nuovo libro dove, dati economici reali alla mano, dimostro che siamo stati ampiamente presi in giro da chi ha usato queste argomentazioni per giustificare programmi speculativi: attualizzando il costo di costruzione degli edifici popolari costruiti fino agli anni '30 a Roma, (splendidi esempi di architettura moderna in continuità con la tradizione locale), e raffrontandoli al Corviale (simbolo di quell'idea di economicità giustificatrice dell'abominio edilizio), ma anche al costo dell'edilizia corrente, ho potuto verificare che quegli edifici sono costati in media il 45% in meno di quello che costa l'edilizia più becera. Quanto a Koolhaas, uno che ha sempre avuto come motto "fuck the context" per me si commenta da solo ... anche se recentemente, non si sa come mai, ha rinnegato se stesso.
cordialmente
Maurizio, credo ci siano alcuni equivoci che penso derivino proprio da quello che scrive Mazzola: il più grosso equivoco è confondere l'arte, in particolre la pittura, con l'architettura.
L'altro è quello di aver trasformato un'avanguardia in un movimento permanente che ha pervaso di sè tutto il secolo scorso e i cui frutti sono ancora visibili. L'avanguardia è diventata un'accademia della modernità, è una vera forza conservatrice e direi reazionaria che si è insinuata nel mondo accademico e professionale e guai a chi si azzarda a negarla. E' una camicia di forza mentale che impedisce di valutare la realtà per quella che è, cioè il fatto che quella cultura è fallita in architettura e soprattutto in urbanistica perchè ci ha consegnato brandelli di "aggregati" privi di alcuna valenza urbana.
Quanto ai nostri centri storici nessuno spera di tornare al medioevo perchè nessuno è un nostalgico del passato. Per favore, non banalizziamo così le cose! L'edilizia di base che tu assimili imporpriamente a baracche sono la struttura portante delle nostre città storiche, tant'è vero che hanno, queste baracche, i valori immobiliari più alte di ogni altro luogo.
Sull'abbattimento dei costi dell'edilizia e sulla dignità delle scatolette alte m 2,70, sovrapposte l'una all'altra in condomini nei quali non può esistere, per definizione, nessuna relazione sociale nemmeno di pianerottolo, ci sarebbe troppo da dire per un commento. E comunque è perfino superflo ripetere che anche a me piace l'energia elettrica, l'acqua corrente, il riscaldamento, l'informatica, l'igiene domestica, il wc, la doccia e il bidet; tutte comodità indifferenti al tipo di architettura.
Saluti
Piero
Se si parla di Architettura Moderna, si deve parlare anche di pittura, scultura e arti in generali (visive, olfattive, tattili e uditive) come spiega il Sedlmayr in "La rivoluzione dell'arte moderna".
Quell'avanguardia è divenuta si accademia, ma ben più elastica e flessibile di quella che ha soppiantato, però è costretta a giocare sulla difensiva, sapendo che il proprio cammino avviene su sabbiemobbili.
Credo che sia altrettanto una camicia di forza mentale pensare che quella cultura abbia fallito, in realtà "sta fallendo", il suo epilogo non si è ancora esaurito.
Non era mia intenzione banalizzare, volevo solamente ricordare che la periferia non è il centro storico e non avrà mai caratteristiche neanche simili (per questo mi rifacevo alla Città Generica di Koolhaas), io per baracche intendevo proprio le baracche, l'architettura spontanea (l'architettura vulgaris di De Rubertis), quell'edilizia non progettata a priori e che è il luogo delle metamorfosi dell'architettura.
Banalizzare è facilissimo vista l'estenazione della materia, ed è facilissimo caderci, per esempio potrei ribattere che il valore di un immobile è lontanissimo dalla bontà dell'edificio, dipende al contrario dalla posizione dello stesso (e dalla "luce" riflessa sull'edificio da forze completamente estranee all'Architettura).
La dignità di scatolette alte 2,70m sovrapposte la conosce chi una villa con giardino o un'appartamento in un palazzo dell'espansione ottocentesca non può permetterselo (e non mi sembra che queste tipologie prevedano ampi pianerottoli).
E se pensa che l'energia elettrica, l'acqua corrente, il riscaldamento, l'informatica, l'igiene domestica, il wc, la doccia ed il bedet siano indifferenti al "tipo" di architettura.....la vostra banalizzazione diviene difficilmente giustificabile.
Non avevo letto il commento del Professor Mazzola, che spero mi perdoni per la mia ingenuità, ma la mia visione dell'Architettura credo sia diametralmente opposta alla vostra.
Stento comunque a credere che un edificio di 5 piani in muratura, a ridosso delle mura Aureliane, con tetto a falde e decorazioni in travertino costi meno di un'edificio a torre costruito con prodotti semiprefabbricati a Tor Bella Monaca.
Sono concorde sulla superiorità dell'edilizia popolare fino alla caduta del Fascismo, ma bisogna mettere sul tavolo altri fattori, come la ricostruzione post bellica, la speculazione, i diversi poteri agenti, il bisogno impellente di case in città, il consumo di suolo, la difficoltà di operare con numeri di molto maggiori di quelli sui quali si operava in precedenza.
Credo che Maurizio Arturo abbia centrato il problema, creare un capro espiatorio nell'architettura Moderna, che è una corrente degli anni '60 e '70 ormai superata, e fare di tutta l'erba un fascio è demagogia che non porta da nessuna parte. Il valore degli immobili è dato prima di tutto dalla posizione e poco dall'architettura, infatti le abitazioni nei grattacieli delle downtown americane costano molto di più di molte abitazioni storiche di Roma.
Il punto è che nessuno vieta di fare del "falso storico", non c'è nessuna congiura internazionale come ho più volte ricordato, ma cercare di dare a questa corrente architettonica una valenza superiore alle altre mi sembra abbastanza irrazionale. Semplicistico è anche pensare che questa sia l'idea che risolverà i problemi delle nostre città.
Detto questo nessuno vieta a Pietro e a tutti quelli che lo desiderano di continuare a fare del falso storico permettete anche agli altri di avere sacrosante remore a utilizzare stili e forme risalenti a qualche secolo fa.
Sarebbe anche utile ogni tanto mettere dei riferimenti a qualche progetto esistente così da parlare su qualche cosa di concreto.
Caro Maurizio Arturo, sul discorso dei costi, ripeto che siamo totalmente fuori strada. Se dico certe cose è perché ci ho lavorato molto e, data la mia sete di verità, posseggo una serie di dati inconfutabili perché riferiti ai costi finali reali di costruzione di edifici popolari costruiti tra il 1908 e il 1930, ma anche quelli di Corviale ... i costi attuali fanno parte della mia professione e li conosciamo bene tutti. In aggiunta c'è da dire che quando si parla di costi lo Stato farebbe bene anche a ricordarsi che chi amministra il denaro pubblico dovrebbe comportarsi come "il buon padre di famiglia" (CpC docet!), quindi la politica del "prendi i soldi e scappa" non è ammissibile. Mi spiego meglio, quartieri come Tor Bella Monaca e Corviale (comunque costati più di Garbatella, San Saba, Città Giardino Aniene, ecc.), hanno degli enormi costi sociali, incalcolabili, venuti a posteriori ... non pensi che questi costi dovrebbero essere prevenuti? Le norme antecedenti la 1150/42 (e le successive leggi a carattere urbanistico) avevano già la risoluzione ai problemi, soprattutto perché erano basate sull'esperienza post-Testaccio (non mi posso diglungare ma puoi trovare più informazioni in due miei libri: Controstoria dell'Architettura moderna, Roma 1900-1940, Alinea, e Architettura e Urbanistica - istruzioni per l'Uso, Gangemi). Aver abbandonato quelle conoscenze ha generato la maggior parte dei problemi. Guarda bene che ti sto parlando di edilizia popolare (oggi venduta e valutata quasi quanto il centro storico), e non di edilizia nobiliare. Inoltre, considerato il riferimento alla "fame di alloggi", c'è da dire che gli alloggi popolari che cito sono stati costruiti con una media di 6 mesi ad edificio (e mai restaurati negli ultimi 85/90 anni), mentre i primi alloggi di Corviale vennero dati in affitto solo 7 anni dopo l'inizio della costruzione ... basta, o devo andare oltre?
A master dico che non mi ha ancora dimostrato che la "congiura" del silenzio non esista, semmai c'è la paura del confronto. Una volta, quando ancora seguivo le tesi degli studenti alla Sapienza (prima con Moneta, poi con Portoghesi) in sede di commissione di laurea una mia studentessa aveva portato un progetto fantastico per Paternoster Square a Londra, alcuni "professori" tentarono di non far vedere quei disegni perchè temevano il confronto, e si permisero di dire che quel tipo di architettura non si dovesse mai vedere nell'università. Quella stessa commissione apprezzò molto un orribile progetto di un asilo ispirato al museo di Zaha Hadid, con pareti spigolose e impossibili, ma la cosa che più apprezzò era la scelta "artistica" dello studente di rivestire le pareti delle aule con delle schede di computer da rottamare: materiale cancerogeno per aule per bambini sì! urbanistica ed architettura tradizionale no! Alla studentessa che partiva da 105 fu negata la lode, al promotore di un asilo cncerogeno furono dati 12 punti di incremento! Questa non è solo congiura, è una vergogna di Stato!
"Sarebbe anche utile ogni tanto mettere dei riferimenti a qualche progetto esistente così da parlare su qualche cosa di concreto."
master... ma che dici... vuoi metterti a piazzare bombe in giro? va tutto a gambe all'aria. a sentire ettore sembra che l'unico uomo che possa definirsi architetto sia krier. se parli con pietro ti dice che gino valle era un genio (strano... è l'unico che al concorso della ricostruzione della fenice propose un progetto che non prevedeva un "com'era e dov'era" condannando così l'impresa a perdere). se poi fai un giro presso "la capanna in paradiso" trovi un buon progetto neorazionalista (o protorazionalista?) che, secondo me, ettore lo demolisce sul posto. se poi passi da archiwatch (ritrovo di molti "conservatori") noti un effetto spaesamento appena il muratori osa fare una critica positiva a fuksas. poi, sempre su archiwatch, ti tocca quasi intervenire per difendere, dai tifosi da stadio, il salingeros che ha osato a sua volta difendere un buon progetto di purini.... e via discorrendo...
sì, insomma, se si mettono dei disegni sul tavolo mi sa che ci ritroviamo come la stanza di polestergeist con gli oggetti che svolazzano dappertutto :-)))
non v'è nulla di strano in tutto ciò, è dovuto all'intraducibilità del linguaggio formale in scritto e parlato e... alla soggettività che ha mandato per aria l'ideale del bello comune (se mai è esistito) con buona pace anche di coloro che lo cerca invano.
robert
robert, risposta lampo:
http://www.archiportale.com/newsletter/editoriali/03072009
di questa roba me ne arriva una a settimana.
Ne avrei piene le tasche......
Saluti
Pietro
caro Robert,
benchè io apprezzi moltissimo il lavoro di Léon, non mi sembra di aver mai pronunciato la frase che mi attribuisci "l'unico uomo che possa definirsi architetto sia krier". Se vuoi posso farti un elenco lungo diverse pagine di ciò che possa piacermi, ma non credo possa essere importante, poiché il giudizio personale non sempre corrisponde al "bello comune", che senz'altro, però, non si ritrova nelle opere di chi se ne frega del "desiderio comune". Penso di aver espresso chiaramente il mio pensiero su come ci si dovrebbe relazionare con i progetti, con i contesti in cui dovranno sorgere e, soprattutto con la gente che dovrà fruirne. Tu citi il "bello comune", e la cosa mi rallegra, quindi, se anche tu condividessi la mia opinione, e riconoscessi la necessità di legarvi il rispetto del "desiderio comune", forse potremmo trovare una possibile soluzione al male dell'architettura contemporanea. Finchè gli architetti resteranno sul loro piedistallo a guardare tutti dall'alto della loro presunzione di onnipotenza, e se ne fregheranno del "desiderio comune" la gente non nutrirà alcuna simpatia per il loro operato. Questo è il motivo per cui ho un grandissimo interesse per tutti quegli architetti, (quasi sconosciuti perché boicottati dalla loro stessa generazione), che seppero costruire degli esempi di architettura eccellente (spesso economica e popolare) nonostante le difficoltà economiche dell'epoca, mi riferisco ai Broggi, Brasini, Calza-Bini, De Renzi (prima maniera), Fasolo, Frigerio, Giovannoni, Magni, Marconi (Plinio), Nori, Pirani, Palmerini, Sabbatini, Wittinch, ecc. Il loro intero lavoro, essendo basato sulla ricerca storica (architettura minore, scavi di Ostia, ecc.) è moderno, ed è la logica continuazione "moderna" di ciò che li aveva preceduti, inoltre la storia di Testaccio a Roma, ci insegna come Magni e Pirani seppero realmente migliorare la vita dei residenti (esistono dati scientifici che lo dimostrano e su cu non posso dilungarmi), basando i loro progetti sulle ricerche sociologiche di Domenico Orano e su una sorta di "progettazione partecipata" con il Comitato per il Miglioramento Economico e Morale di Testaccio. In tutto ciò non vedo alcun passatismo, nè un monoteismo in nome di Krier!
Cordialmente
Una "congiura del silenzio" parte da un accordo sotterraneo per nascondere o confondere la realtà affinche la maggior parte della gente non venga mai a sapere nulla.
Io non credo di dover dimostrare nulla riguardo ad una assurda congiura di cui ho sentito parlare solo in questo blog, semmai qualcuno dovrebbe dimostrarne l'esistenza visto che questa inverosimile versione dei fatti dovrebbe coinvolgere migliaia di architetti nel mondo consenzienti nel "celare la verità al mondo". La verità? Cioè che tutta l'architettura degli ultimi 50 anni e tutto ciò che ne è conseguito (le sperimentazioni, gli studi sul benessere abitativo, le tecnologie inventate per il risparmio energetico e il miglioramento della qualità della vita, ecc...) è tutto da buttare e bisognerebbe tornare all'architettura di un secolo fa? Ho evidentemente esagerato, spero, ma alcuni architetti hanno una visione che si avvicina a questa appena illustrata.
Secondo me è più facile dimostrare l'esistenza degli alieni che questa fantomatica "congiura" ma si sa che le convinzioni ossessive di alcuni sono difficili da capire.
Io non apprezzo molto lo stile nostalgico dei falsi storici di Krier ma lo accetto, esiste e avrà pure dei committenti che lo finanziano, ma non mi invento certo una congiura per dare forza alle mie idee.
bhe, se leggessi attentamente tutti i vari post, credo che sia io che Pagliardini abbiamo dato molti indizi circa questa "congiura", oppure basta che apri una "rivista specializzata" per vedere quanti progetti tradizionali sono pubblicati. Quelli che tu chiami il "benessere abitativo e il risparmio energetico", in realtà sono dei tentativi di risolvere i problemi causati dall'architettura modernista con le sue facciate leggere e trasparenti. Una lettura di un libro sulla termoigrometria, p. es. quello di Neretti e Soma, può illuminarti sul perché, ad un certo punto abbiamo dovuto reinventarci un sistema per riportare il comfort nelle case. Penso che possa essere utile leggere le loro parole perché, in quanto ingegneri di quella specifica materia, sono assolutamente libere da ogni pregiudizio di un "passatista" come me o Pagliardini. Marcello Marchesi diceva "l'uomo è nato per soffrire ... e fa di tutto per riuscirci!"
Maurizio, che la periferia non abbia nei fatti le caratteristiche del centro storico è ovvio ma non è ovvio che non le debba avere. Ho l'impressione che nel parlare di periferie, che ovviamente io, e credo anche Mazzola, non apprrezzo affatto anzi giudico come la fine della città e delle ragioni per cui questa esiste, c'è chi confonde lo spazio periferia con coloro che lo abitano: chi condanna le periferie non condanna chi vi abita ma è esattamente vero il contrario. Chi vuole trovarvi qualcosa di buono vuole condannare quei cittadini all'emarginazione!
La periferia non è paragonabile al centro storico, è ovvio, ma noi vorremmo che non vi fosse questa diseguaglianza e la città fosse una e con pari dignità urbana. Il termine periferia dovrebbe essere, al massimo, una pura indicazione di distanza geografica dalla città storica, non un giudizio di valore. Ma per fare questo è necessario che l'intera città sia oggetto di un progetto analogo, non uguale, a quella della città storica. Così non è stato a causa di molti fattori di cui fondamentale è la cultura urbanistica delle cosìdette avanguardie. Ma ancora più assurdo è il fatto di insistere pervicacemente sulla medesima strada quando è evidente il fallimento di quella cultura anti-urbana e anti-umana.
Questa è una colpa imperdonabile ed è, a questo punto, tutta attribuile alla cultura urbanistica attuale che perpetra gli stessi assunti ideologici ormai fallimentari.
Quanto all'architettura spontanea sfondi una porta aperta con me: troverai diversi post in cui io riconosco nella favelas e anche nelle borgate abusive romane modelli di aggregazione urbana del tutto simili a quelli delle città storiche che le rendono molto più facilmente emendabili che non gli insediamenti urbanistici moderni.
Basta che non si banalizzi il tutto secondo il costume di quegli architetti che vedono nelle favelas un'occasione di sperimentare stramberie architetoniche, invece che ragionare in termini più seri di fare una sostituzione edilizia dignitosa senza distruggere un tessuto urbano che funziona e cui corrisponde spesso, come a Darhavi, anche un tessuto sociale vivo e capace di rendere autosufficiente la popolazione residente. Per capirsi, le favelas non sono occasioni di eventi mass mediologici tipo Biennale.
saluti
Pietro
Salve mi presento, mi chiamo Fabio e vi scrivo dall'Abruzzo! Siete i miei miti assoluti, i miei "musi ispiratori", non sono un architetto questo lo chiarisco subito ma un semplice estimatore delle vostre teorie sui restauri e ricostruzioni in stile! seguo questo blog da parecchio (una volta ho provato anche a contattare l'Architetto Pagliardini su FB) e mi sono permesso spesso di copiare ed incollare i vostri pensieri su alcune paginette che gestisco su Facebook, pagine nelle quali mi batto affinchè nella mia martoriata città (Teramo) possa essere ricostruito qualche gioiello dell'architettura perso in quei dannati anni '50 e '60 (a Teramo non si contano)!!...vi posto il link di una delle suddette pagine, spero abbiate voglia di darle uno sguardo e, perchè no, intervenire, sarebbe fantastico, una cosa oltremodo gradita!! : ) vi saluto, a presto, Fabio
https://www.facebook.com/pages/Ricostruiamo-Teramo/320263291435618
grazie davvero per le parole di elogio ... troppo buono!
Conosco molto bene Teramo, l'ultima volta ci sono stato 3 anni fa, è una bellissima città che meriterebbe le ricostruzioni che auspichi, perché le demolizioni e trasformazioni, presentate come "abbellimenti" l'hanno in realtà sfigurata abbastanza, così come è accaduto al resto d'Italia vittima delle stesse teorie urbanistico-architettoniche. Teramo, come il resto d'Abruzzo e d'Italia, meriterebbe che la nuova edilizia risultasse più rispettosa del carattere dei luoghi, il nuovo dovrebbe far da cornice a quel meraviglioso quadro che sono i centri storici, piuttosto che esser realizzato in spregio a quelli. Ho diversi ex compagni di studio, miei e di mia moglie, da quelle parti ... bei luoghi e bella gente!
Prof. Mazzola, mi permetta di dirle che ciò che è successo a Teramo negli anni '60 batte ogni record a livello nazionale..va inoltre tenuto presente che stiamo parlando di una città mai bombardata e mai forti terremoti l'hanno distrutta, ma tutti coloro che porto qui in visita mi domandano la stessa cosa "qualche terremoto l'ha forse rasa al suolo?!" o "durante la guerra è stata bombardata?!" perchè troppe sono le 'incongruenze' architettoniche in centro storico...ci sono poche realtà in Italia messe peggio di Teramo ma tutte città distrutte da terremoti e bombe dove la ricostruzione è stata pietosa e irrispetosa nei confronti del patrimonio architettonico storico (Avellino, Terni, Messina e poche altre); se ci limitiamo alle speculazioni degli anni '60 nessuna città è stata sventrata e stuprata come la mia Teramo!!...solo limitandomi alle realtà a noi limitrofe, porto come esempi Ascoli, Fermo, L'Aquila, in parte Chieti, tutte città dove negli anni '50 e '60 nn si sono compiuti abusi come quelli di Teramo o perlomeno non nella stessa misura...queste città, personalmente visitate, vantano centri storici divinamente conservati. Cordialmente, Fabio Di Giuseppe
Un falso come delitto contro la fede pubblica è spacciare un progetto megalomane per ripristino del preesistente che non c'è più, e comunque non può ignorare ciò che ci si è sovrapposto nel tempo e quindi è pure esso storia. L'esempio più mostruoso è la riesumazione dei navigli di Milano, buttando tutto all'aria col lo slogan della città d'acqua, che fa il paio con la Roma imperiale di Mussolini
Egregio Ettore Maria Mazzola, credo che lei abbia ragione: la questione economica sollevata da alcuni non regge perché nell'Ottocento a Parigi fu adottato il modello della "palazzina haussmanniana" a ceto misto dove ai piani bassi vivevano i ricchi e ai piani alti i poverissimi. Quindi il problema dei secoli precedenti dove si alternavano quartieri di fastosi palazzi a baraccopoli di legno di cui oggi non abbiamo memoria, è stato discretamente risolto nel modello parigino attuato da Georges Eugène Haussmann.
Il problema invece è la manovalanza. Oggi chiunque si improvvisa muratore, mentre per fare il muratore non servono solo i muscoli, ma anche il talento. La grazia. Invece oggi un muratore non sa più nemmeno montare le piastrelle tant'è che vanno tanto di moda le fughe diagonali che correggono le imperfezioni .
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