di
Ettore Maria Mazzola
Conoscevamo le previsioni di Nostradamus, quelle di Cassandra, quelle dei Maya, tutti i giorni abbiamo a che fare con le previsioni del tempo, Ci mancavano solo quelle sull’evoluzione degli edifici!
Ma ora abbiamo anche quelle! Infatti, grazie al gruppo di ricerca Foresight + Innovation del Gruppo Arup Associates, che ha prodotto una mostruosità definita “It’s Alive”, possiamo sapere quello che sarà il costruito dei prossimi 50 anni.
Bè diciamolo forte, sentivamo davvero il bisogno di questa “previsione basata su dati certi” perché rigorosamente stabiliti dallo stesso gruppo di ricerca!
Peccato però che quei dati ignorino una serie di ricerche di matrice sociologica, antropologica, neurofisiologica, economica e ambientale. Includo l’ambiente in questo elenco perché quest’ultimo andrebbe letto nel vero senso del termine e non in quello di comodo che certi studi di matrice consumistica adottano!
Potremmo ironizzare dicendo: data una soluzione se ne crei il problema.
È il principio che muove l’economia moderna iper-consumista. Non si fa a tempo a comprare l’ultimo tipo di I-Phone o Smart-Phone che ne esce subito uno nuovo dotato di “funzioni indispensabili” per risolvere problematiche delle quali fino a ieri sera non conoscevamo neppure l’esistenza, però è così che va il mondo (degli stupidi), e quindi tutti in fila al megastore per acquistare per primi l’ultimo ritrovato tecnologico!
… Ma perché tanta fretta ad essere i primi? Forse perché sappiamo che il giorno dopo quello straordinario ritrovato tecnologico sarà già vecchio? … gli uomini, che specie strana!
Sembra un discorso fuori luogo, ma a conti fatto siamo lì.
L’urbanistica, così come la conosciamo oggi, è una disciplina non più mirante a “disegnare la città”, essa infatti si limita all’organizzazione “funzionale” del costruito e, se si è fortunati, alla realizzazione delle infrastrutture necessarie per i collegamenti.
Peccato però che l’urbanistica della presunta città funzionale abbia prodotto, a livello planetario, luoghi perennemente congestionati, pericolosi e invivibili, a differenza dell’urbanistica delle città storiche – quelle che i convenuti del IV CIAM liquidarono come “non funzionali” – che continua a funzionare alla perfezione nonostante le violenze della “civiltà” moderna. L’urbanistica moderna si è basata e si basa su “previsioni di piano”, previsioni che, nella totalità dei casi, non rispondono mai alla realtà dei fatti ma solo agli interessi fondiari di qualcuno, generando un consumo di suolo inimmaginabile prima degli anni ’30, ovvero prima delle visioni folli di Le Corbusier e Wright.
Non se ne può ovviamente parlare tra colleghi, i danni ideologici e l’assuefazione al modernismo/funzionalismo, nonché gli interessi speculativi, sono tali che se si mette in dubbio la normativa urbanistica e il nostro stile di vita si viene condannati in ogni possibile modo da parte degli “esperti”.
Cosa c’entra tutta questa premessa? C’entra col fatto che, se un tempo certe previsioni riguardavano il modo di sviluppare la città, oggi Arup Associates ha deciso di fare un salto di qualità. Così, per poter conquistare una fetta di mercato edilizio del quale già detiene una grossa parte a causa di un sistema assurdo secondo il quale le cosiddette archistars (sotto forma di “società di ingegneria” e i “gruppi”) vengono considerate sinonimo di “garanzia” … indipendentemente dai ripetuti fallimenti e cause giudiziarie che hanno visto nel mondo coinvolti tanti nomi famosi.
Ecco quindi che la Arup Associates, per tramite del suo gruppo di ricerca Foresight + Innovation, si auto proclama “esperta” del settore – da lei stessa creato – dettando i tempi e i modi del futuro sostenibile dell’architettura e decidendo il modo in cui gli esseri umani dovrebbero vivere nei prossimi 50 anni.
In realtà non è proprio un settore creato dalla Arup, bensì l’esasperazione di uno slogan gran moda negli ultimi anni, la Smart City.
Sarebbe ora che gli umani prendessero coscienza del fatto che le grandi multinazionali “tech” stiano creando a tavolino un presunto futuro ipertecnologico del quale non solo possiamo fare a meno, ma che addirittura probabilmente mai vedremo a causa dell’esaurimento delle fonti non rinnovabili e della dipendenza di quelle rinnovabili dalle prime.
Sarebbe ora di smetterla di prendere per i fondelli la gente con descrizioni come quella che segue relativamente alla “Net-Native Generation”, termine coniato da Arup Associates per giustificare “It’s Alive”:
“La generazione di individui che popolerà la terra sarà nata nell’”era della rete”, perciò sarà molto probabile una tecnologia basata sempre di più sulla produzione di soluzioni individuali”.
Ragion per cui la ricerca della Arup mira alla possibilità/necessità di una progettazione architettonica basata su:
• “componenti flessibili per una continua adattabilità” … ma che senso ha parlare di continua adattabilità se stiamo parlando di una concezione usa e getta? (ndr)
• “produzione di più risorse di quelle che si consumano” … l’architetto diviene Dio e, per magia produce risorse energetiche dal nulla! (ndr)
• “presenza di una pelle sensibile e multifunzionale” lo slogan è “puoi immaginare un edificio che abbia una pelle sensibile e multifunzionale?” … le immagini allegato legittimano il dubbio relativo ai materiali proposti: quali costi, economici ed energetici si prevedono per questa pelle? E quale è il suo reale ciclo di vita? (ndr)
• “ipotesi di una città in cui gli edifici sono pienamente integrati con le infrastrutture urbane circostanti” … in pratica un modello di città intimamente dipendente dai trasporti a grandi distanze, piuttosto che un ambiente dimensionato sull’uomo. Come potrà una realtà di questo tipo sopravvivere alla fine dell’era del petrolio a buon mercato? (ndr)
• “Smartness che consiste in un sistema connettivo paragonabile al sistema nervoso umano, una mente insomma, capace di rispondere efficacemente e (quasi) autonomamente alle necessità del singolo” … interessante quel “quasi” messo tra parentesi, come a voler ammettere l’impossibilità di autonomia paventata nei primi tre punti! (ndr)
In un articolo dedicato a It’s Alive firmato da Giulia Custodi per il sito www.architetturaecosostenibile.it si apprende che lo studio di Arup Associates vuole prefigurare ciò che succederà nel 2050 a causa di “14 motori di cambiamento” dell’esistenza degli umani.
Nell’articolo si legge che nello studio di Arup la consapevolezza delle cause del cambiamento assume grande rilevanza, proprio perché si tratta della classica e preliminare indagine sull’identificazione del problema, senza cui non sapremmo dove andare a cercare le risposte. Tra queste abbiamo la crescita della popolazione e la relativa urbanizzazione, i cambiamenti climatici, il riconoscimento della scarsità delle risorse naturali, la coscienza ambientale e infine la consapevolezza di una società fondata sulla difesa e sulla sorveglianza”.
Viene quindi spontaneo chiedersi come mai, davanti a tanta consapevolezza, il prodotto sembra essere l’esatto opposto della risposta alle problematiche delle quali si era consapevoli?
Mi spiego meglio: se si è coscienti del problema dell’aumento della popolazione e, conseguentemente della crescita dell’urbanizzazione, si dovrebbe tendere a proporre delle tipologie urbanistiche ed edilizie che portino a ricompattare il tessuto urbano, piuttosto che proporre edifici puntiformi isolati che tendono a consumare un’immane quantità di territorio; quest’ultimo infatti risulterebbe indispensabile per risolvere i problemi relativi all’inquinamento e ai cambiamenti climatici … ma ciò non conta, evidentemente.
Inoltre, i ricercatori della Arup Associates raccontano della loro presa di coscienza della scarsità delle risorse naturali, tuttavia propongono un’edilizia che, oltre a danneggiare le falde freatiche per le ragioni che ho testé elencato, richiede anche un’immane consumo energetico! Si dovrebbe costruire artigianalmente e con materiali durevoli, naturali e a chilometri zero, materiali ottimamente performanti a livello termo-igrometrico, piuttosto che proporre edilizia industriale che impiega materiali dalla vita breve, prodotti a migliaia di chilometri di distanza, materiali che necessitano di artifici chimico-fisici per poter difendere gli edifici dagli agenti atmosferici … ma anche questo non conta!
Infine la Arup Associates sbandiera la triste consapevolezza di una società fondata sulla difesa e sulla sorveglianza, ciò nonostante propone un’edilizia frammentaria all’interno della quale il pedone non è il benvenuto e ci si muove solo grazie a grandi infrastrutture in uno scenario degno di Blade Runner, dove le relazioni sociali sembrano irrealizzabili. Nel tipo di città del futuro proposto da Arup non v’è possibilità di avere strade caratterizzate da fronti compatti ospitanti attività commerciali e/o artigianali al piano terreno, conseguentemente non v’è possibilità di ottenere quella “sorveglianza spontanea”, operata da negozianti e passanti, della quale Jane Jacobs parlava nel lontano 1961 criticando le città americane ormai disegnate in funzione delle automobili … dove sarebbe dunque tutta questa consapevolezza?
Lo studio di Arup è un inno alle nuove tecnologie e nulla più. Nell’articolo summenzionato infatti si legge:
“Nuovi modelli di produzione del cibo, città ed edifici intelligenti, nanotecnologie e biotecnologie, robotica e automazione. Tutti questi concetti rappresentano, nell’immaginario collettivo ma anche e soprattutto nei laboratori tecnici che ne preparano versioni sempre più sofisticate, ciò da cui oggi ci aspettiamo sarà popolato il mondo del futuro”.
In pratica siamo tornati al punto di partenza. Amiamo complicarci la vita con tecnologie sempre più sofisticate che rendono obsolete la sera ciò che era stato prodotto al mattino … di questo passo non sarà possibile costruire edifici che richiedano più di 24 ore, perché al mattino seguente saranno passati. E’ questo il futuro sostenibile che vogliamo?
Ma poi chiediamoci, è questo il futuro? È questa la novità? A me sembra che con 100 anni di ritardo si stia proponendo ciò che vaneggiava Antonio Sant’Elia nell’8° punto del suo Manifesto dell’Architettura Futurista del 1914: «[…] i caratteri fondamentali dell’Architettura Futurista saranno la caducità e la transitorietà. “le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città” questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del “Futurismo”, […] pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista».
Personalmente penso che l’unico futuro possibile per l’architettura, l’urbanistica e l’ambiente possa essere solo quello di un ritorno al buon senso, cosa che prevede la necessità di liberarsi al più presto dagli stupidi pregiudizi ideologici e dall’idea dell’architetto demiurgo.
1 commento:
Grazie Pietro,
Ciao
Ettore
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