Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


14 febbraio 2012

IL "FARE ARCHITETTURA" DI SCHIATTARELLA

Non era sufficiente il retorico, anacronistico e inutile manifesto dell’Ordine di Roma dal contorto e supponente titolo “Il diritto all’Architettura è un diritto di tutti”, ci voleva anche l’intervista dell’architetto Schiattarella, Presidente dell’Ordine di Roma, rilasciata a RaiNews e che ho visto solo oggi, a completare il quadro dell’ordine-pensiero.
Cosa ha detto Schiattarella? Ha stabilito la priorità assoluta per le nostre città. E di cosa hanno bisogno queste nostre città? Ecco quanto afferma Schiattarella:

Il delta che c’è tra la nostra capacità di fare architettura e quella degli altri paesi europei sta aumentando in modo vertiginoso. Le nostre città non riescono più a esprimere il linguaggio contemporaneo mentre altre città sono diventate addirittura degli archetipi della modernità quindi sono molto più avanti rispetto al nostro”.

Dunque sarebbe questa l’emergenza che i promotori e i firmatari del manifesto rilevano per le città italiane! Non molte le adesioni in verità, poco più di 5000, nonostante una pagina intera del Corriere della Sera comprata dall’ordine e la grande pubblicità data dagli ordini provinciali in un momento “caldo” per la professione nell’attesa delle decisioni sulle liberalizzazioni di tariffe.


Il problema delle città italiane sarebbe la mancanza di “espressione del linguaggio contemporaneo”. Con un’idea di questo genere Schiattarella potrebbe candidarsi a sindaco, prendendo di sicuro un migliaio di voti dai suoi iscritti romani, perchè ha colto la vera emergenza urbana. I cittadini non pensano ad altro che al linguaggio contemporaneo dell’architettura e a Roma specie sono davvero preoccupati per il “delta tra la nostra capacità di fare architettura” e quella degli altri paesi europei che, ovvio corollario, sono più avanti. Ricordo, a titolo di esempio, le opere olimpiche di Atene e le metto a confronto con la situazione attuale della Grecia, non certo per speculare su quel popolo e quella terra che hanno partorito la civiltà occidentale ma per smentire palesemente l’esistenza di una relazione possibile tra “l’essere più avanti” e la capacità di “fare architettura” come la intende Schiattarella. Ricordo anche la fascinazione esercitata sugli architetti italiani dalla Spagna che “fa architettura”, secondo la provinciale vulgata architettonica a fronte dell’attuale situazione in quel paese.

Non il degrado delle nostre periferie, eccetto quella di Roma ovviamente, dove infatti il linguaggio della contemporaneità si annuncia finalmente con i grattacieli a riqualificarle e rigenerale, non la scomparsa della forma urbana perpetrata da cinquant’anni a questa parte, non lo sforzo di immaginare forme e modalità di ricomposizione dello spazio urbano da attuare mediante un ricompattamento, o densificazione, basato sulla ristrutturazione del tessuto stradale, sul ritorno alla strada, piuttosto che sull’espansione incontrollata e informe nelle aree extra urbane, non l’abbandono della zonizzazione selvaggia. No, non sono queste le priorità da segnalare da parte di un ordine importante a quegli iscritti che eventualmente non se ne fossero accorti, non sono questi obiettivi tali da giustificare un vero manifesto capace di dare un segno di svolta culturale, ma l’emergenza per gli architetti italiani è, secondo l’ordine di Roma, apparire nelle riviste e nei video TV con immagini patinate di linguaggio contemporaneo, è appiattirsi nella pigra costruzione mentale dell’effetto Bilbao che Schiattarella e molti altri si sono costruiti, grazie alla campagna mediatica non filtrata da un minimo di senso critico, quella cioè che si identifica con il museo di Gerhy e che non corrisponde affatto alla realtà di una città rinata grazie ad una sapiente operazione globale di tipo economico e di ristrutturazione urbanistica supportata da notevoli investimenti resi possibili dal vero federalismo fiscale.

Possibile essere ancora così abbagliati dal conformismo architettese, dall’essere così attratti dal proprio ombelico da non vedere che Roma è un po’ diversa da Bilbao ed esprime valori culturali universali di caratura non confrontabile con quelli della città Basca? Possibile che gli architetti, una parte degli architetti spero, abbiano perso del tutto la capacità di leggere e interpretare la realtà, di sapersi guardare intorno quando il primo compito dell'architetto è proprio questo, necessario punto di partenza per qualsivoglia progetto?
Dimenticare la città che si ha davanti - e mi riferisco a Roma perché Schiattarella è di Roma – sia quella antica, unica per cultura, storia, emozione e ammirazione che riesce a comunicare al mondo intero, sia quella moderna e contemporanea che, salvo rarissime eccezioni, è il simbolo stesso del sacco edilizio che continua ininterrotto dal dopoguerra ad oggi, supportato da una incultura urbana e architettonica perpetrata con l'ausilio di coloro ai quali è rivolto proprio quel manifesto e lanciare un appello per passare da una grassa abbuffata di edifici ad una elegante, cool e geometrica portata nouvelle cuisine, dove la pietanza si colloca pretestuosamente dentro un enorme piatto quadrato, bianco o nero, gemella alimentare degli edifici-oggetto posti al centro del lotto, ciascuno disposto lungo una carreggiata stradale (non una strada) così come i piatti sono messi in fila sul tavolo per una cena!
Continuare nel sommare oggetti ad altri oggetti, quasi sempre inguardabili, come negli scaffali di un negozio di casalinghi e regali: questa è la città contemporanea sulla quale il manifesto rileva la necessità di “esprimere il linguaggio contemporaneo”! L’unico linguaggio contemporaneo italiano è proprio quello del vuoto urbano che c’è adesso e che invece va cambiato profondamente.

Dimenticare una città, patrimonio autentico dell’umanità, con o senza l’UNESCO, insieme alle altre mille città italiane, pagine di storia dell’uomo scritte con la pietra ed esempio vitale di spazio urbano, e riuscire a dimenticare allo stesso tempo le mille periferie desertificate e prive di relazioni sociali e interpersonali, dimenticare di essere architetti al solo scopo di rimasticare ancora sui “concorsi”, massimo obiettivo professionale innalzato quasi ad aspirazione di ordine etico, mantra ripetuto all’infinito dagli ordini per raccogliere facili consensi e visibilità specie in un momento difficile per gli ordini stessi, oltre che per la professione!
Vorrei consigliare a chi la pensa come Schiattarella di non guardare solo le riviste dal dentista o quelle all'Ordine o le news letter che arrivano dai vari siti internet dedicati allo star-system dell'architettura e che quando si guarda all'Europa si dovrebbe tenere conto che esistono altre realtà che non il "fare architettura" ma anche il "fare città", trasformando periferie infami in luoghi urbani, come nel caso dell'immagine in testa al post.
Ma forse ho sbagliato a scrivere questo post, perché in fondo di quel manifesto non è rimasto niente, solo la fattura della Divisione pubblicità del Corriere della Sera.

1 commento:

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
Schiattarella ha perso un'altra occasione per starsi zitto. La sua visione ignorante e presuntuosa sintetizza molto bene il suo orientamento e quello del suo entourage all'interno dell'Ordine di Roma, dove l'idea del rispetto della tradizione e delle esigenze sociali della cittadinanza non riesce minimamente a sfiorare l'animo di questi demiurghi, ignoranti e presuntuosi, che mettono il proprio ego al di sopra di tutto e di tutti e, non potendolo esprimere appieno, vivono nella frustrazione di non essere nati in Paesi dove "si è grado di fare architettura" ... una frase trita e ritrita all'interno della facoltà di architettura dove negli anni '80 e '90 si tenevano lezioni magistrali atte a screditare il nostro Paese in nome della Grandheure della Francia di Mitterand ... "lì almeno si costruisce, non come da noi dove non si fa nulla" era la frase che i nostri docenti ripetevano fino alla noia. Mi chiedo cosa penserà Schiattarella dello scempio in corso al Fondaco dei Tedeschi di Venezia ad opera di Rem Koolhaas e Benetton, o in merito all'altro scempio in corso, sempre ad opera della Benetton, questa volta con Fuksas, all'angolo tra via Tomacelli e via del Corso a Roma. Sono portato a pensare che sarà ben contento di supportare la nuova strategia "mazzettara legalizzata" del caso veneziano per riuscire a "fare architettura"

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