Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


21 agosto 2012

LEONARDO BENEVOLO E LA CITTA' DEL MOVIMENTO MODERNO

Da Leonardo Benevolo, La città nella storia europea,Edizioni Laterza, 1993.
I grassetti sono i miei, i corsivi dell’autore:

L’invenzione di una nuova città
…Nei primi due decenni del ‘900 [queste] due linee di esperienze si incontrano. Infatti:
- La ricerca artistica smaltisce, nella sua accelerazione, tutto il repertorio delle forme accumulate in passato, e arriva alla “parete nuda” (Kandisky), disponibile per un’invenzione totalmente nuova;
- La sperimentazione concreta, ingrandendo la scala degli interventi pubblici sussidiari e sperimentali – i quartieri di edilizia sovvenzionata, le città giardino – si accorge che l’urbanizzazione pubblica può diventare un metodo alternativo per lo sviluppo della città e una chiave per ricostruire, in senso moderno, l’equilibrio tra scelte individuali e collettive.

L’amministrazione e gli operatori si spartiscono i compiti nel tempo, non nello spazio; l’amministrazione acquista i terreni da trasformare , li sistema e cede le porzioni fabbricabili ai vari operatori pubblici e privati, in pareggio economico. Diventa possibile disegnare la sistemazione complessiva, senza l’ostacolo dei confini di proprietà, e i singoli edifici, senza la pressione della rendita fondiaria; così si apre lo spazio per una progettazione nuova in cui è pronta a inserirsi la cultura artistica finalmente liberata dai condizionamenti del passato.

Le due linee convergono così verso un risultato unico: da un lato reintrodurre l’invenzione artistica nelle varie scale della progettazione urbana, dall’altro trasformare la pianificazione in una combinazione razionale di interessi pubblici e privati componibili tra loro dentro le regole del mercato e della competizione imprenditoriale. La posta è un nuovo assetto della città, considerata in tutta l’estensione del suo significato, come quadro fisico in cui la vita umana può acquistare il suo intero valore….

..Il movimento che è stato chiamato dell’”architettura moderna” coglie con estrema tempestività il momento in cui le molte fila da riannodare sono aperte e disponibili: l’esaurimento della ricerca pittorica post-cubista, il desiderio di una nuova integrazione di valori dopo la tragedia della prima guerra mondiale, i grandi programmi di ricostruzione del dopoguerra, l’inizio di una comprensione scientifica dei comportamenti individuali e collettivi. Il tentativo è compresso in un tempo brevissimo – tra la ripresa economica del ’24 e la crisi del ’29 – ma imprime una svolta durevole alla cultura europea: progettisti di molte esperienze imparano a collaborare tra loro nel Bauhaus di Gropius e da questo crogiolo escono le più straordinarie esperienzae architettoniche comparse in Europa da molti secoli: Mies van der Rohe, Le Corbusier, Alvar Aalto.
E’ il climax della cultura artistica europea, che taglia nello stesso tempo i legami con la tradizione propria dell’Europa e offre una base concettuale utilizzabile in tutto il mondo, per modernizzare ogni altra tradizione…..Per spezzare le limitazioni della teoria e della pratica post-liberale, bisognava passare attraverso la tabula rasa, sgomberare una volta per tutte l’enorme carico delle forme convenzionali dedotte dal passato….. Si perde la continuità soggettiva con la vicenda europea, per recuperare la comprensione oggettiva dell’intera serie degli interventi umani nel paesaggio terrestre….

Il ruolo della città, come sistema paesistico contrapposto al territorio, diventa necessariamente problematico: il quadro della nuova progettazione è l’intero ambiente geografico ed entro questo quadro la città va nuovamente definita a ragion veduta.
Si distinguono le funzioni della città: abitare, lavorare, coltivare il corpo e lo spirito (Le Corbusier), e si definiscono i loro caratteri in contrapposizione con la città post-liberale. La residenza, dove si trascorre la maggior parte della giornata, diventa l’elemento più importante della città, ma è inseparabile dai servizi che formano i suoi “prolungamenti”; la attività produttive determinano i tre tipi di fondamentali di insediamento umano: la città sparsa nel territorio, la città lineare industriale, la città radiocentrica degli scambi; le attività ricreative richiedono un’abbondanza di spazi liberi, che non basta concentrare in certe zone, ma devono formare uno spazio unico dove tutti gli altri elementi siano liberamente distribuiti (il parco ottocentesco prefigura la nuova città, che è un grande parco attrezzato per tutte le necessità della vita urbana); la circolazione dev’esser selezionata secondo le necessità dei vari mezzi di trasporto e alla rue-corridor va sostituito un sistema di percorsi separati per i pedoni, le biciclette, i veicoli lenti e i veicoli veloci, tracciati nello spazio continuo della città-parco…..
I primi tentativi su questa strada son risultati spesso utopistici e approssimativi; ma senza lo strappo, la consapevole presa di distanza, non si sarebbe potuto affrontare seriamente la progettazione della città moderna, riconoscere la molteplicità delle esigenze da sintetizzare e anche la ricchezza delle tradizioni locali, da sottrarre alle schematizzazioni degli stili
.

Una sintesi onnicomprensiva e perfetta di un periodo storico, con una conclusione (e un tono complessivo) che però mostra la mancata presa di distanza da quel modello, soprattutto delle ricadute, dell’applicazione di quel modello sull’attuale deserto urbano. Sono riproposti in questo brano tutti i principali temi di quel periodo storico che ha prodotto l’attuale modernità. Alcuni poi sono addirittura all’ordine del giorno del dibattito contemporaneo, come la specializzazione dei percorsi urbani.
Se si mette in sequenza questo testo con la breve lezione di J.H. Kunstler del post precedente, ecco che ognuno dei criteri del Movimento Moderno viene smontato pezzo per pezzo, fino a dire che di ognuno di quei criteri è necessario applicare il suo opposto per tentare di recuperare le nostre città ad una civile vita urbana:
- la campagna che entra nella città come un piano continuo in cui liberamente si appoggiano i vari edifici diversi per funzione creando uno spazio indistinto, un vuoto fisico e un vuoto dell’anima, diventa la definizione dei confini urbani, la netta differenza qualitativa tra lo spazio urbano e quello naturale;
- alla dispersione dell’urbanizzazione nel territorio per zone specializzate si deve opporre la concentrazione della città con la commistione delle diverse attività;
- alla specializzazione dei percorsi si deve opporre la rue-corridor, la strada tradizionale stretta tra cortine di edifici e caratterizzata dalla pluralità delle funzioni e dall’integrazione, dalla prossimità, dalla naturale pedonalità, dalla permeabilità, come dice Kunstler, cioè dal fatto che c’è scambio continuo tra gli edifici e la strada stessa.

Come non vedere, inoltre, nel MM una ideologia totalizzante di chi si sente investito della missione di cambiare il mondo, di creare l’uomo nuovo, attraverso una progettazione integrale di ogni parte del territorio? Lo stesso Benevolo lo riconosce quando scrive: ”Si perde la continuità soggettiva con la vicenda europea, per recuperare la comprensione oggettiva dell’intera serie degli interventi umani nel paesaggio terrestre

C’è quindi alla base del MM una visione di tipo “morale”, in perfetta analogia con le ideologie del secolo breve, l’epoca delle grandi visioni politiche che hanno prodotto le più grandi catastrofi della storia, così come il MM ha prodotto l’era della disgregazione delle città e la perdita della conoscenza, delle regole per costruire la città, avendo azzerato nella teoria, ma anche nella memoria della cultura urbanistica e architettonica, ogni ricordo, ogni canone, ogni esperienza, se non cristalizzandola e museificandola nelle espressioni di “centro storico” e “monumento”.

Per questo motivo, personalmente non apprezzo molto di Kunstler e del New Urbanism l’insistere in maniera ideologica su aspetti che hanno anch’essi un background di tipo morale, quali quelli ambientalistico-catastrofistici sull’esaurimento delle risorse petrolifere (che in verità non sono esaurite ma il cui prezzo è destinato ad aumentare per l’incremento della domanda da parte dei paesi emergenti e per ragioni geo-politiche e se anche fosse finito non ci sarebbe da compiacersene), proprio perché anch’essi si presentano, nell’ansia di voler dimostrare gli errori commessi, come una visione “globale” che coinvolge ogni aspetto della vita degli uomini e il loro “stile di vita”. E dal voler cambiare lo stile di vita all’”uomo nuovo” il passo è breve.

Non serve l’uomo nuovo, serve la città nuova, cioè la città tradizionale, in cui l’uomo di sempre, l'uomo e basta, abbia la possibilità di comportarsi da cittadino di una comunità di persone. La città nuova serve anche per motivi energetici, ma servirebbe anche se il petrolio costasse poco.

Non c’è bisogno di ricorrere a queste visioni perché si rischia lo stesso abbaglio ideologico del secolo scorso, dato che è sufficiente la presa d’atto degli errori fatti e la necessità di rivalutare il principio civile di cittadinanza, proprio come afferma molto opportunamente lo stesso Kunstler nell’intervista, non considerando cioè i cittadini solo come consumatori ma come esseri umani che hanno la necessità di vivere in una comunità che offra loro la possibilità di avere una vita urbana piena, civile e accogliente e in essa poter dispiegare tutta la ricchezza e la varietà di attività, interessi, rapporti, emozioni che il diritto di cittadinanza è in grado di offrire.
La città tradizionale ne è la premessa indispensabile perché ciò avvenga, un mezzo e non un fine di ordine morale.

6 commenti:

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
direi che il testo di Benevolo, come tu fai notare, non solo non prenda le distanze da quelle scelte, ma che addirittura sembri quasi volerle giustificare ed enfatizzare ...
Benevolo dimentica di far notare che, proprio all'indomani '24, (che lui osanna) qui in Italia siano nati i primi veri problemi delle città.
Infatti, fino alla legge del '25 sui governatorati, che portò anche all'esautoramento dell'ICP - che fino ad allora costruiva in proprio e per conto terzi in maniera ineccepibile e redditizia per lo Stato - le cose non erano andate affatto male, le esperienze delle "città giardino all'italiana" di Giovannoni & co., anni luce diversa da quelle estere, avevano generato (senza necessità di alcuna "tabula rasa") gli ultimi quartieri degni di esser annoverati tra i luoghi "urbani" piacevoli da vivere, ed in grado di generare il "senso di appartenenza" dei residenti ... i casi romani che ho più volte elencato lo dimostrano.
Benché condivida totalmente il tuo scetticismo sul "New Urbanism" e sul suo approccio, non mi trovi molto d'accordo quando definisci "catastrofista" il discorso di Kunstler sull'esaurimento del petrolio.
E' infatti stato scientificamente dimostrato - e Kunstler in "The Long Emergency" cita le autorevoli fonti scientifiche cui attinge, tant'è che nessuno l'ha potuto smentire - che il petrolio è in fase di esaurimento, per la precisione i dati presentati da Kunstler nel 2005 davano altri 34 anni di petrolio estraibile a costi crescenti, dopo di che il costo di estrazione supererà quello dell'estratto. Non è un caso se le principali guerre che hanno insanguinato il pianeta negli ultimi anni si siano concentrate in quella "sfortunata" regione che, diagrammi alla mano, vede la presenza del petrolio ancora di poco al di sotto del picco massimo ... altro che talebani e motivi religiosi! Ma questo è un altro argomento che necessiterebbe lunghe discussioni che esulano dal contesto.
Per questo motivo, se devo fare una critica a Kunstler, ma non mi pare giusta visto che stiamo parlando di un giornalista e non di un progettista, dovrei far notare che nei suoi scritti manchino le proposte concrete: egli si limita ad ammonire, egli fa un ammonimento che la miopia dei potenti della terra non raccoglie, ed è per questo che ritengo importante che fossimo noi progettisti a raccoglierlo, e soprattutto il corpo docente delle nostre università a farlo. Questo è uno dei motivi principali che mi anima, e che mi espone alle critiche, spesso ottuse, di chi non volendo cambiare il suo modo di fare e pensare, preferisce accusare di "passatismo" la mia attenzione e il mio interesse a recuperare l'esperienza dei nostri predecessori (anche molto recenti) per poter pianificare un futuro migliore, non per noi, ma per le generazioni a venire. Il messaggio di Kunstler è forte e chiaro: fermatevi e riflettete ora che siete ancora in tempo per migliorare le cose ... quando comincerà la "lunga emergenza" non ci sarà più spazio per pensare, ma solo tentativi, violenti, per sopravvivere ... egli ci ricorda anche che quei tentativi sono già iniziati, anche se mascherati da presunte ragioni religiose.
Ciao
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro ettore, il bello delle previsioni catastrofiche tipo l'esaurimento del petrolio è, per chi le fa, che non possono avere verifica fino a quando non si avverano. Quindi non è dimostrabile ciò che non è avvenuto. proprio oggi sul Folgio c'è un bell'articolo su tutte queste previsioni, non solo sul petrolio, che non si sono mai avverate, per fortuna. Appena e se sarà disponibile on line lo condividerò su facebook.
Lo stesso Kunstler, in verità, ultimamente ha frenato su questo tasto. Detto questo è veramente bravo come comunicatore e come teorizzatore. E' efficace, comprensibile da chiunque, un po' come Jane Jacobs: giornalisti sì ma meglio di moltissimi architetti e urbanisti
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
sebbene sia d'accordo con te sulle tante previsioni fasulle ... gli urbanisti sono specializzati in dire "cazzate demografiche" negli interessi dei loro burrattinai speculatori dell'edilizia. penso che anche i giornali - prevalentemente schierati politicamente e come tali controllati dalle lobbies - spesso e volentieri facciano altrettanto, in una direzione e in quella opposta a seconda degli interessi in gioco. Nel caso di Kunstler, però, egli cita minuziosamente dati scientifici provenienti da istituti di ricerca che studiano il sottosuolo del nostro pianeta, istituti che fanno questi studi a favore delle compagnie petrolifere e che, come tali, non dovrebbero avere molti interessi a sostenere certi argomenti ... del resto la definizione "fonti non rinnovabili" per i combustibili fossili non è che l'abbia inventata Kunstler, non credi? Io, essendo un po' come San Tommaso, dopo aver letto "The Long Emergency", sono andato a documentarmi in giro, e mi sono reso conto di tante cose, anche sulle "rinnovabili", che non è che ti vengono a raccontare facilmente. In ogni modo, catastrofista o meno, penso che il messaggio di Kunstler, e modestamente quello più propositivo che ho lanciato io nei miei libri a suo completamento, vada raccolto ... prima che sia troppo tardi per farlo. Non credo che abbia senso continuare a correre verso il burrone se si sa che è lì ... a meno che non valga la gag di Gioele Dix nella quale il suo personaggio non riusciva a spiegarsi il senso del messaggio scritto sotto i finestrini dei treni: "è pericoloso sporgersi" ... il dubbio sulla logicità del messaggio gli veniva dal fatto che, a suo dire, l'italiano medio si sporgerebbe immediatamente per capire quale possa essere il pericolo!
Ciao
Ettore

Anonimo ha detto...

Caro Pietro, hai selezionato uno scritto di Benevolo che è proprio paradigmatico dell’atteggiamento globalizzante che ha caratterizzato molti campi del sapere e dell’agire del 20° secolo, specialmente nella prima metà, e i cui risvolti negativi continuano ancor oggi in modo pesante. L’atteggiamento che potremmo definire “fideistico” che ipotizza una sola verità e non prende in considerazioni altre ipotesi, è condannato anche dalla migliore teologia cristiana. Come non ricordare che fede e speranza devono essere sempre accompagnate dall’altra virtù teologale ovvero la carità? Pasolini, in un suo scritto, argomentava proprio sulla carità che è la capacità di comprendere le ragioni dell’altro e quindi di chi la pensa in modo diverso. In altre parole, la carità è la capacità di non pensare in modo globalizzante, in urbanistica come nelle previsioni di esaurimento del petrolio. La carità è anche gioia e divertimento in contrasto con la noia mortale di chi ha filtrato il mondo ricavandone solo le verità sicure e inamovibili dalle quali non vuole o può discostarsi. Nell’era della comunicazione di massa, ovviamente le verità semplici, rassicuranti e comprensibili (verrebbe da dire le “poche idee ma confuse”), hanno più successo delle cose serie. Se poi si promette un mondo migliore (la speranza), la miscela diventa micidiale e, infatti, fede e speranza, da sole, sono il combustibile che ha alimentato le più terribili dittature del secolo scorso. Questo difettuccio lo riscontriamo in urbanistica, con effetti “fisici” sul territorio, ma anche nelle altre attività “artistiche” come la musica, che però produce danni meno persistenti. Nel novecento ci sono state intere scuole di pensiero che volevano riformare la “triste musica accademica” che faceva uso dei soliti strumenti musicale e della ormai vecchia sintassi armonico tonale. Quel mezzo paranoico (mezzo, sia chiaro) di Schoenberg iniziò con al Dodecafonia che in alcuni casi è noiosa come una zanzara di notte. Russolo inventò l’”intonarumori” perché anche il rumore (ovvero il contrario del suono) doveva diventare mezzo di espressione artistica. Un intera scuola filosofico/musicale si dedicò alla creazione di nuovi suoni e nuovi timbri, utilizzando i potenti mezzi dell’elettronica. Anche in quel caso le opere prodotte provocavano più mal di testa che godimento (pensiamo a Stockhausen). In musica, però, dopo gli anni 70’ è avvenuto qualcosa di molto significativo. Con i potenti mezzi dell’elettronica, con i computer e con i software sempre più sofisticati, invece di continuare nella ricerca di nuove sintassi, di nuovi timbri e nuovi suoni (o rumori), si è tornati alla tradizione. Oggi, invece del “suono Rosa” o “Bianco”, invece del rumore che ruota nella stanza descrivendo traiettorie “artistiche” o salti mediatici, con il computer si riproducono violini, pianoforti, voce umana ecc. ecc. imitando i riverberi delle varie sale storiche da concerto. Qualche pentito dell’elettronica ha poi sentenziato: “Per definire suoni di strumenti tradizionali (pensiamo al violino) ci sono voluti secoli di sapiente studio di artigiani, musicisti e ascoltatori. Come è possibile costruire in quattro e quattrotto nuovi suoni, timbri e sintassi facendo leva solo sulla tecnologia informatica ed elettronica?”. Sarebbe interessante capire perché in urbanistica e architettura questo totale ravvedimento non ci sia stato. Secondo me uno dei motivi principali è la speculazione edilizia che si è ben sposata con le semplificazioni e con i risparmi economici tipici dell’edilizia e urbanistica del MM.
Saluti
Alessandro

Pietro Pagliardini ha detto...

Alessandro, come al solito le tue considerazioni musicali sono da semi-professionista quale tu sei. Semi, perchè l'altro semi lo dedichi all'architettura. Però lo dedichi anche ai cavalli, alla campagna e quant'altro. Insomma la somma delle frazioni fa più di uno.
Allego qui altri brani, quelli conclusivi, del libro di Benevolo che sono un inno alla città e alla strada tradizionale o post-industriale che dir si voglia:
“La segregazione dei beni culturali nella sfera protetta del museo e dell’intrattenimento - la separazione della bellezza dalla vita intuita dai neoplastici – diventa tanto minacciosa quanto più i mezzi di comunicazione di massa allargano la sfera dell’intrattenimento e aumentano la passività dei suoi fruitori.
La città pre-industriale europea, con la sua permeabilità fra spazi pubblici e privati attraverso il filtro delle facciate, è lo strumento di una distribuzione e di una fruizione diversa du questi beni. Si frequentano le immagini accumulate in un ampio intervallo di tempo mentre si abita, si lavora, si circola. La contemplazione della bellezza è inserita come sollievo nel corso della vita quotidiana, non solo come esperienza apposita negli intervalli di tempo libero.
Oggi questa funzione è sostituita in misura crescente dai mezzi di comunicazione moderni non legati allo spazio e al tempo…
La città, nella misura in cui funziona, resta l’alternativa reale a questi meccanismi e la dimostrazione della loro insufficienza. Mentre il mercato delle immagini riprodotte alimenta un interesse decrescente, la gente affolla le mostre d’arte per vedere direttamente le opere originale; viaggia per visitarle nei loro luoghi originali; impara ad apprezzarle meglio se le percepisce durante i percorsi di vita e di lavoro, alternandole ai suoi pensieri quotidiani; fa differenza abitare, lavorare, passeggiare in un ambiente gradevole o sgradevole; percepisce l’ambiente come un’opera d’arte più reale in cui può entrare e vivere e le opere singole come elementi costitutivi di un ambiente, non solo come immagini vaganti”.
A parte quell’attribuzione ai neoplastici che è un richiamo a quanto aveva detto precedentemente, questo è l’elogio della strada tradizionale, della città tradizionale dove la bellezza è esperienza continua, fa parte integrante della vita delle persone. E’ lo sfondo della quotidianità. Siamo agli antipodi dal MM e da LC.
Sarebbe opportuno che i nostri sindaci leggessero questo brano, presi come sono dall'evento occasionale, dall'effimero invece che dalla permanenza della bellezza nella città.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Ottime le riflessioni di Alessandro ... come non essere d'accordo con lui??
Quanto al nuovo brano di Benevolo, caro Pietro, ti ringrazio per averlo citato, perché non riuscivo a capacitarmi del precedente. Purtroppo, ciò che sembra esser stato preso alla lettera della lezione di Benevolo, da parte dei docenti e progettisti, è solo il brano del post iniziale, quest'altra citazione sembra essere stata ignorata intenzionalmente perché dannosa ai loro interessi ideologici. Come dire ... se si scrive onestamente un libro organizzando rigorosamente i capitoli, senza incrociare i concetti e senza inserire delle riflessioni, c'è il rischio che si possa attribuire al suo autore una posizione ideologica che, nella realtà, risulta esser sbagliata. Del resto, è il rischio che si corre se si opera da "storico" piuttosto che da "storicista"

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