Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


20 settembre 2009

RITORNO ALLA CITTA':PARTE 2°

Concludo la sintesi del convegno "RITORNO ALLA CITTA'", iniziata nel post precedente, con l’ultima relazione, quella di Sergio Los. Chiarisco che su questa sarò molto più lacunoso in quanto mi sono distratto nel tentativo, mal riuscito, di fotografare con il cellulare le slides che ha mostrato. Per cui potrò riportare sommariamente solo i contenuti principali. Me ne scuso con lui.

SERGIO LOS
Sergio Los, di cui ho apprezzato i contenuti ma anche il suo senso dell’ironia e la serenità con cui esprime il suo pensiero spesso controcorrente, ha iniziato la sua relazione più o meno con queste parole:
Noi non siamo una generazione capace di costruire città. Siamo capaci ad andare sulla Luna, sappiamo fare ottime automobili ma le città non le sappiamo proprio fare. Lo sviluppo dell’impiantistica, che è diventata sempre più invasiva negli edifici, ci ha fatto perdere la conoscenza della bioclimatica. Le città del passato restano molto migliori delle nostre”.


Ha quindi parlato della sua idea di base che parte dal principio dell’inevitabile esaurimento del petrolio e quindi dalla necessità di risparmiare energia. E poiché dai dati risulta che il settore che maggiormente consuma energia (non solo come consumi per la gestione ma anche per la produzione) è quello dell’architettura, è necessario progettare come gli antichi, sapendo sfruttare al meglio il ciclo solare, non tanto nella produzione di energie alternative quanto nell’esposizione e nel saper prevedere il giusto rapporto di insolazione.

Ma ecco la novità, almeno per me: Los non si riferisce mai ai singoli oggetti edilizi, alle singole abitazioni svincolate dal contesto perché sa che la città è un valore, non ha un approccio specialistico e monoculare al problema; lui e il suo gruppo hanno studiato i tessuti urbani da questo punto di vita e dal confronto hanno trovato che il tipo più efficiente energeticamente è l’isolato urbano orientato in direzione nord-sud ed est-ovest, come le città romane con il cardo e il decumano orientati approssimativamente in quelle direzioni. A supporto di questa affermazione porta una serie di grafici e tabelle.

La città più efficiente dal punto di vista energetico è dunque una città di isolati correttamente orientati, densa, fatta di strade diversificate tra quelle pedonali e quelle per le auto. Di questa città (che a parte la distinzione dei percorsi corrisponde in tutto alle nostre città storiche [questa è una mia osservazione]) Los apprezza anche la possibilità dello scambio sociale tra le persone, che lui esemplifica con una vignetta: la città verticale è come un lungo tavolo da pranzo in cui i commensali però si danno le spalle mentre la città orizzontale è come un tavolo in cui le persone siedono l’una di fronte all’altra, cioè la città orizzontale è “conviviale”.

Le città devono essere solari ma anche sociali. La bioclimatica deve andare d’accordo con l’effetto città e produrre in ambito urbano un clima “conviviale.
E’ necessario un forte ridimensionamento della climatizzazione artificiale a vantaggio appunto dello studio della corretta insolazione, senza per questo continuare a polverizzare la città, anzi valorizzandola. Porta l’esempio del centro storico di Firenze che, prima dell’intasamento completo degli isolati, era dal punto di vista bioclimatico del tutto corretta. Non per questo Los si azzarderebbe mai a ipotizzare la demolizione delle costruzioni che nel corso dei secoli hanno intasato i lotti.

Los presenta poi un suo studio per un tessuto urbano fatto di isolati ma con due griglie di percorsi, quella pedonale e quella carrabile, che sono sfalsate tra loro.
Sulle energie alternative e sulla moda attuale di mettere pannelli fotovoltaici e pale eoliche ovunque è apparso se non scettico certamente disincantato. Ha infatti smitizzato, ironizzandoci sopra, l’energia fotovoltaica con una vignetta in cui le celle alimentano una…sedia elettrica, commentata con queste parole: “il fotovoltaico non è né buono né cattivo in sè, dato che con esso si può, appunto, alimentare anche una sedia elettrica”. L’intenzione dissacratoria di colpire l’idolatria del fotovoltaico è abbastanza evidente.

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Al termine di questa sintesi qualche mia impressione.
La più importante: è stata rappresentata da tutti una città con proprietà e caratteristiche comuni che rimandano alla città storica europea. Ognuno dei relatori parte da angolazioni diverse e affronta il tema in base alle proprie sensibilità ma il punto di arrivo delle analisi di ognuno è abbastanza simile quando non lo stesso. Nessuno, salvo Tagliaventi, ha parlato di architettura (ma anche lui è stato sfumato su questo), quanto di disegno urbano, di urbanistica, consapevoli del fatto che questo è il nodo di fondo da sciogliere della città moderna e contemporanea.
Certamente che le relazioni sono state influenzate dal tema del convegno, il ritorno alla città, ma in altri tempi, non lontani, le proposte sarebbero state ben diverse!
Certamente che i relatori saranno stati scelti conoscendone la loro idea di città ma questo nulla toglie al fatto che ognuno ha portato argomenti di grande razionalità a giustificazione della proprie convinzioni.

Solo Purini è stato più sfumato, più in imbarazzo nello scegliere nettamente una direzione di marcia; come spiegare diversamente il fatto di voler tenere insieme due opposti quali il Palazzo di Giustizia di Leonardo Ricci e il piano di Lèon Krier? La parola può molto ma non tutto e, comunque la si pensi, le due concezioni sono nettamente antitetiche e inconciliabili, due modelli agli antipodi che l’espediente letterario del contrasto collina-pianura, pur elegante e immaginifico, non può riuscire a far stare insieme, nemmeno come dialettica tra gli opposti.
E’ vero però che l’enunciazione delle sue parole chiave per il ritorno alla città sono coerenti con una visione di una città.

Marco Romano e Gabriele Tagliaventi sono stati per me una conferma, Sergio Los una rivelazione; le sue analisi sono originali e anticonformiste.
Qualche perplessità mi è rimasta sui risultati progettuali che ho visto ma avrei certamente bisogno di conoscerli meglio.



N.B. Mi scuso per la pessima qualità delle foto della relazione di Sergio Los.

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