Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


9 novembre 2008

LO STRANIERO

Giulio Rupi

Lo Straniero, per raggiungere la sua meta, aveva attraversato sterminate periferie urbane, costel-late da enormi casermoni anonimi e degradati, qua e là un tentativo di spazio pubblico, disastrato e abbandonato. Aveva incontrato folle di individui dallo sguardo spento, terrei in volto, che si muovevano tra quegli edifici come automi sopravvissuti tra le rovine di una guerra terribile.
Per giorni il grigiore, per giorni lo stesso desolato spettacolo, quando il suo sguardo si posò su un’insolita fenditura, che attraversava obliqua uno di quei casermoni, una fenditura buia che lo incuriosì e lo indusse ad avvicinarsi, a spingersi oltre la soglia fino ad abituare i suoi occhi a quel buio, sì da intravedere le pareti di quella cavità, fiocamente illuminate dalla luce esterna.

E vide, al lato opposto, in fondo a quella cavità, uno stretto corridoio dal quale provenivano suoni indistinti e inconsueti.
E sulla soglia di quella galleria stava, assorta e pallida in volto, con lo sguardo fisso nel vuoto, una fanciulla di grande bellezza, una bellezza di una nobiltà misteriosa e antica.
Come lo vide apprestarsi ad entrare la fanciulla lo apostrofò gentilmente: “Straniero, perché vuoi addentrarti da quella parte, tu non immagini l’orrore che ti attende là in fondo!
Ma quale orrore - rispose lo straniero - potrà mai superare l’orrore delle periferie che ho per lunghi giorni attraversato, per un cammino che mi ha condotto fin qui? Lasciami dunque andare, sento che non posso sottrarmi a questa nuova esperienza”.

Così disse lo Straniero e, sotto lo sguardo rattristato e rassegnato della fanciulla, proseguì in quella specie di corridoio fino a raggiungere una enorme spelonca, dalla quale provenivano quegli strani rumori che aveva confusamente percepito da lontano.
Grande fu il suo sconcerto davanti all’incredibile spettacolo che gli si presentò: al centro della caverna stava un edificio di puro stile neoclassico, bianco nei suoi marmi, scandito da armoniose colonne, da imponenti scalinate, da lesene, timpani e capitelli ben proporzionati, ornato sulle pareti da numerosi fregi e bassorilievi.

Ma lo Straniero si accorse immediatamente che in quell’edificio c’era qualcosa di insolito e di inquietante: intravide nelle sue forme come un’essenza di vita, nel suo frontale come il volto di un essere capace di sentire, un essere che stava soffrendo ed emanava come un lugubre cigolio di lamentazione.
Accanto a quell’edificio stava un vecchio signore dalla barba bianca e dall’aria professorale, che con toni suadenti ma severi si rivolgeva a quella “cosa” inanimata come a una creatura vivente, come a blandire ma al contempo ammonire, come ad educare ma al contempo rimproverare.
Intorno a questa coppia, l’uomo e l’edificio, si agitava, con attrezzi e macchinari, una squadra di eccitati operai, tutti vestiti e truccati da pagliacci del circo, saltellanti qua e là come folletti e pronti ad obbedire ad ogni ordine dell’austero professore.
Mio caro, cosa vorresti mai rappresentare, tu, con la morta perfezione delle tue proporzioni - disse il vecchio rivolto al suo inanimato interlocutore - Tu sai che la società, oggi, è una società complessa, incessantemente spinta da manifestazioni disordinate, aleatorie e caotiche verso il cam-biamento, ormai lontana dall’ideale di fissità delle tue colonne...”

Così diceva il vecchio e, ad un suo cenno, ecco che uno dei pagliacci operai, montato a bordo di un grosso demolitore, si avventò sull’edificio e a colpi di maglio distrusse parte di quelle colonne, talché l’edificio, tra nuvoli di polvere, si inclinò visibilmente su se stesso emettendo un lugubre, struggente lamento, così almeno parve allo straniero, che a quel suono non umano fu percorso da un brivido di orrore.
Eccoti più vicino al disordine costruttivo, a quel caos che accoglie l’imprevisto e lo elabora in forme nuove - proseguì il vecchio - Il desiderio di ordine è solo paura di fronte alle nuove dinamiche. Ciò che emerge nel periodo attuale è invece il bisogno di disordine, di squilibrio e non di una pacifica omologazione nel nome di un ordine rassicurante, prevedibile e condiviso
Ancora un cenno agli operai, ed ecco questi avventarsi con picconi, martelli pneumatici e macchine demolitrici su timpani, lesene, capitelli: quello che prima era ordine e armonia si andava trasformando in un intrico di forme sbilenche, sbalzanti, squilibrate, rovinose... e sempre il lugubre lamento, suono d’oltretomba, sibilava all’orecchio dell’allibito Straniero.
Cosa sono questi marmi di cui tu ti rivesti? - soggiunse il vecchio - Forse il simbolo di una eternità irraggiungibile, un’eternità oggi assurda, priva di senso in una società del cambiamento, in cui mutano ogni giorno i codici di lettura. Non è questa la pelle, il materiale con cui puoi presentarti a un mondo nuovo, privo di certezze; altri sono i materiali che esprimono quelle tensioni...”
E ad un nuovo cenno del nostro, ecco gli operai attorniarsi all’oggetto (che ormai “edificio” non poteva esser più definito) ed eccoli rivestirlo di lastre metalliche, di scaglie lucenti, di plastiche luminescenti, eccoli puntellarlo, ormai pendulo e sbilenco, con tralicci di lucido metallo, eccoli distruggere con scalpelli ogni decoro scolpito sulle pietre rimaste.
E tu, Straniero, che osservi sbigottito la nostra operazione - disse il vecchio rivolgendosi adesso all’estraneo che guardava lo spettacolo con occhi sbarrati - non sai che i dipinti di Caravaggio destarono scandalo al loro apparire, non sai che gli Impressionisti all’inizio furono presi per matti, non sai che l’astrattismo e la musica atonale dovettero a lungo lottare per affermarsi e sono tuttora incompresi dalla massa degli ignoranti, non sai che ogni innovazione ha sempre lottato per affermare le sue ragioni? Noi abbiamo compiuto oggi una grande opera, abbiamo riportato questo edificio dall’ordine mortifero di un passato ormai trascorso alla vitalità caotica, all’instabilità creatrice di un futuro in costante divenire! Straniero, non puoi non condividere quest’opera, non puoi rifugiarti nel-la stanca ripetizione delle forme del passato, non puoi...”

Così cantilenava il vecchio e lo Straniero, ormai intontito e come ipnotizzato da quella litania, si avviò barcollando verso l’uscita, salutò sulla soglia la triste fanciulla e, di nuovo all’esterno, proseguì il cammino verso la sua meta.
Arrivò infine, non più straniero, a quella meta: il Centro Antico della sua città, il nucleo storico, assediato da ogni parte da quelle sconfinate periferie, nel quale era ubicata la sua casa.
Rinfrancato, traversò strade a lui familiari, su cui si affacciavano edifici costruiti da secoli, tra-versò piazze piene di gente animata e infine giunse alla sua casa avita, un maestoso palazzo bugnato, scandito da archi e da lesene, vicino alla Cattedrale della città e al Palazzo comunale.
Ma qui l’attendeva una sorpresa, perché a fianco della sua casa, in uno spiazzo che lui aveva lasciato adibito a giardino pubblico, costruito dalla Municipalità durante la sua lunga assenza, egli vide l’esatta, identica copia di quell’edificio sbilenco e rovinoso che aveva lasciato fuggendo atterrito da quella caverna.

(Liberamente ispirato dall’epilogo di “Che cos’è la Tradizione” di Elémire Zolla. Milano, 1971.

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