Giulio Rupi
Uno dei temi più stimolanti trattati da questo blog è quello del “falso in Architettura”.
Un tema del genere, che a Pietro interessa in relazione alla polemica tra modernisti e tradizionalisti, è tuttavia strettamente collegato ai dettati consolidati della cultura del restauro architettonico, nel senso che alla base del tabù sul falso nel progetto contemporaneo ci sta il tabù sul falso nel restauro contemporaneo.
Cosicché quando i dettati del restauro proclamano la visibilità dell’aggiunto rispetto al preesistente, ne vengono di concerto, per analogia non esplicitata ma reale, i dettati del modernismo in conseguenza dei quali il nuovo finisce sempre per essere de-contestualizzato rispetto a quello che gli sta intorno.
Ma per andare un poco più in profondità su questo argomento conviene fare un discorso allargato sulla riproducibilità delle opere d’Arte e infine porsi la domanda provocatoria: “L’Architettura è nel manufatto o nel progetto?”.
Se si estende il discorso a tutte le arti, anche senza voler fare una graduatoria puntuale del riproducibile e non riproducibile, si può partire da una banale osservazione: apprezzo “L’infinito” del Leopardi anche se non lo leggo sul manoscritto originale, così come per applicare le leggi di Newton non ho bisogno di consultare l’originale dell’autore.
Quindi all’estremo della riproducibilità ci stanno le opere della letteratura, della filosofia e della scienza.
Ma già se passiamo all’Arte figurativa nessuno potrebbe sostenere che ammirare un Velasquez al Prado sia lo stesso che guardarlo in una riproduzione.
E pure un concerto, una cosa è sentirlo dal vivo, altra è ascoltarne la registrazione.
All’altro estremo, quello della non riproducibilità, io personalmente metterei il balletto, l’arte in cui l’autore dell’opera è l’opera stessa e non vi è alcuna possibilità di separare (e quindi riprodurre) l’opera dal suo autore.
L’opera di Architettura a che punto sta tra questi due estremi? L’Architettura è tutta nel progetto (per cui, avendo il progetto, si può prescindere in parte dall’autore) o è tutta nel manufatto (per cui se parte del manufatto non c’è più, questo non va restaurato secondo il progetto ma, come si è detto, l’integrazione va decontestualizzata)?
E’ pericoloso prendere posizioni troppo nette su questo tema: avremmo da una parte chi ci accusa di giustificare le Piramidi e il Canal Grande a Las Vegas e dovremmo rispondere che la stessa, simmetrica aberrazione sta nella diffusione indistinta del medesimo panettone di Botta in qualsiasi parte del pianeta. Decontestualizzazione nel primo e nel secondo caso.
Tuttavia, dato che oggi il tabù è tutto da una parte, non sarà male contrastare l’idea corrente che ritiene che l’Architettura stia solo nel manufatto, idea che, con una catena di ragionamenti consequenziali, conduce, come sopra spiegato, alla fissazione modernista della decontestualizzazione.
Ebbene: a Mantova la Chiesa di Sant’Andrea è stata realizzata sul progetto dell’Alberti dopo la sua morte: è un falso? Oppure l’Autore è lo sconosciuto direttore dei lavori?
Della torre non costruita della simmetrica facciata di San Biagio a Montepulciano del Sangallo non abbiamo solo il progetto: abbiamo addirittura il manufatto (la torre costruita) dato che la facciata è simmetrica in tutto e per tutto. Che differenza tra il direttore dei lavori che ha costruito Sant’Andrea a Mantova su progetto dell’Alberti e l’ipotetico direttore dei lavori che ricostruisse oggi la torre mancante del San Biagio? Chi sa dare una risposta coerente a una tale provocazione?
O i Veneziani che hanno ricostruito il campanile di San Marco, i Fiorentini che hanno ricostruito il ponte dell’Ammannati (nella foto)?
E il monastero di Montecassino, che molti considerano un falso, o quanto meno un monumento fasullo, un’operazione di dubbia correttezza?
Per non parlare del più classico degli esempi: a Barcellona si può visitare il cantiere di una cattedrale medievale in costruzione. Visitando il cantiere della Sagrada Familia si ha come un senso di spaesamento temporale, eppure si percepisce la forza di un progetto che, come Sant’Andrea di Mantova, riesce a sopravvivere alla morte del suo autore: è un falso?
E’ questo un dibattito di grande interesse, di cui si sente il bisogno proprio perché investe dei tabù e quindi può produrre qualcosa di più delle solite frasi fatte.
Sta di fatto che da una parte il filologismo esasperato e con il paraocchi della moderna cultura del restauro, dall’altra parte la rottura con il passato e con la decorazione dell’Architettura modernista, hanno portato alla sparizione di una tradizione artigianale che fino a tutto l’800 è stata di supporto a una visione architettonica tradizionale e che oggi è dannata al girone infernale del Kitch.
Kitch: una parola assai ambigua e pericolosa, ma per adesso basta con le provocazioni...
Altri post sul falso in architettura:
IL TABU' DEL FALSO IN ARCHITETTURA
DE CORRUPTA EDIFICANDI RATIONE ovvero COME PROGETTARE FALSI E VIVERE FELICI
21 agosto 2008
ANCORA SUL "FALSO IN ARCHITETTURA"
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23 commenti:
Alle categorie di falsi citate, aggiungerei, in un capitolo a parte, molta arte figurativa moderna. Fontana, Warhol, Guidi...tanto per fare degli esempi.
Una idea nuova, geniale, artisticamente interessante (a prescindere dall'apprezzameto personale) che però è facilissima da replicare. Quando ero adolescente, affascinato dall siluette di San Giorgio seulla laguna di Virgilio Guidi, ne feci decine di "copie", con tutti i materiali possibili, che regalai d amici parenti conoscenti. Nel scopiazzare l'opera dell'artista, adoperando gli stessi mezzi (tela e colori a olio), o altri (collage, intarsi, legno...) mi sentivo autorizzato dal fatto che Guidi stesso replicava in modo pedissequo lo stesso tema in decine e centinaia di repliche.
Se opera d'arte era, lo era la prima, le copie, fatte dallo stesso autore da un falsario, sempre copie erano.
Con lo stesso sistema ho fatto anche degli splendidi Vasarely....
Per Enrico.
"Lo potevo fare anch'io. Perchè l'arte contemporanea è davvero arte", è un libretto di Francesco Bonami, edito da Mondadori, pieno di spunti interessanti che sostiene come non sia così semplice essere artisti e quanto conti l'aver fatto per primi cose apparentemente banali come un taglio su una tela. Personalmente non condivido in toto lo scritto di Bonami, ma devo ammettere che è una intelligente chiave di lettura del fenomeno dell'arte contemporanea e della sua facile 'copiabilità', caratteristica che immagino rappresenti una grande tentazione per i falsari come te!
vilma
Ti dirò, non conosco il libretto che citi, ma spero di trovarlo. Ho scoperto che è un ottimo esercizio cercare di spiegare ad amici e conoscenti il perchè e il percome certe cose sono opere d'arte.
La cosa difficile è comprendere, e fdar comprendere, che il primo taglio di Fontana è un colpo di genio, che arriva dopo tutto un percorso personale e culturale; e che perciò il suo taglio, anche se identico a quello fatto da tua figlia di quattro anni, vale milioni di dollari.
Perchè quando si parla di arte contemporanea, non si può fare a meno di parlare di soldi. Il discorso che cerca di portare avanti il nostro "padrone di casa" è un poco differente. Anche perchè l'architettura è diversa dalla pittura (tradizionale o moderna).
Nella nascita di certe forme costruttive, si intrecciano in modo "speciale" la sapienza, l'arte, la merceologia, la scienza. La cupola del pantheon, replicata in cemento armato o in legno lamellare, non è la stessa.... Le arcate di A.Aalto nella chiesa di Riola, previste in legno e realizzate in cemento armato, sono "valide"? o sono un tradimento dell'autore ?
Non ho dubbi, sono un tradimento.
vilma
Enrico e Vilma, sto leggendo un libro di Caniggia e Maffei, del 1979, nella cui introduzione si scrive appunto dell'assimilazione dell'architettura all'arte nel senso che da decenni la critica, d'arte e d'architettura, è diventata critica degli autori più che delle opere. Vi è stata percio una soggettivizzazione delle opere per cui ogni lavoro NON PUO' essere compreso e apprezzato se non si conosce tutto il PERCORSO dell'autore. E' il caso, ad esempio del taglio di Fontana citato da Enrico.
I due autori del libro giudicano questa tendenza, in specie nell'architettura, un fatto negativo e una sorta di degenerazione, il segno di una crisi.
Io, che ho una naturale tendenza alla provocazione, osservo solo che si tratta di arte da collezionisti, con i vari annessi e connessi economici, come dice giustamente Enrico. E' dunque un arte non solo e non tanto di elite (per questo ci sono persone come Vilma che cercano di renderla popolare) quanto intrinsecamente legata a gruppi ristretti, a prescindere dai costi, come ogni forma di collezionismo. L'arte perde, in questo caso, il suo valore universale nel senso che è capace di parlare a tutti.
In questi giorni ci sono le Olimpiadi, siamo bombardati da immagini della cultura cinese così diversa dalla nostra: probabilemnte la stragrande maggioranza di noi non capisce niente di quell'arte, ne ignora la storia, le datazioni, le cause che hanno determinato una scelta o l'altra ma, poche chiacchiere, sul fatto che quelle opere siano arte non ci sono dubbi, perchè forniscono una percezione immediata di bellezza e di valore, è un fatto istintivo, che non richiede nemmeno grande cultura. Tutto ciò è quasi sempre impossibile nell'arte moderna ove sono richieste altre doti, altre capacità, altre conoscenze.
Io sono un collezionista di gadget Coca Cola: per me (per me ripeto) sono una forma artistica, mi soddisfano, mi piace avere il mio studio di casa letteralmente tappezzato da oggetti che recano quel marchio straordinario, alcuni oggetti poi potrebbero effettivamente fare parte di una galleria di design ma non pretendo di considerarla una forma artistica. A meno che, e questo è il problema, che non si consideri arte tutto ciò che è espressione individuale, come insegnano ai bambini e ai ragazzi nelle scuole, con ciò non aiutandoli a formarsi una scala di valori e distruggendo il concetto stesso di arte.
Se tutto è arte, niente è arte perchè non possono esservi più canoni, essendo questi esclusivamente individuali.
E allora tutti diventano pittori, poeti, attori, scrittori (scultori è più difficile) perchè quello che conta è IL PERCORSO PERSONALE e non l'oggettività dell'opera.
Saluti
Piero
Per "Ancora sul falso in Architettura" commento dell'autore Giulio Rupi sul taglio di Fontana.
Nella scala tra il riproducibile e il non riproducibile che differenza c'è tra il gesto di Fontana e il teorema di Pitagora?
Sono ambedue dei grandissimi risultati teorici frutto di una grandissima ricerca.
Pertanto, come il teorema di Pitagora può essere applicato da chiunque una volta enunciato e la scoperta del primo manoscritto autentico di Pitagora evrebbe solo un enorme valore antiquariale, non artistico, così i tagli originali di Fontana hanno un grande un valore antiquariale, ma nella scala della riproducibilità non si vede perché non debbano corrispondere al teorema di Pitagore o a qualunque altro, riproducibilissimo, risultato del pensiero filosofico umano.
Quindi grande valore antiquariale, non artistico.
Tagliare una tela riproducendo il gesto di Fontana è allora come riapplicare un teorema enunciato da altri, come, rileggendola, riprovare le emozioni dell'autore di una poesia.
E’ un dato di fatto che l’arte moderna non miri a fornire immagini mutuate dalla realtà, ma a suggerire idee e concetti, a suscitare contradditori e dibattiti, esasperando l’importanza del proprio significato immateriale e psicologico. Non è strano tutto ciò, in una società che sempre più tende alla virtualizzazione, sia dell’immagine del reale che dei rapporti umani che dei sentimenti. Può piacere o non piacere, ma è così.
L’arte moderna è elitaria, una faccenda fra/per pochi, incapace di un discorso universale e richiede, per essere compresa, “altre doti, altre capacità, altre conoscenze” che non sono da tutti? Hai ragione, ma è poi così vero che solo l’arte moderna ha bisogno di un supporto culturale? Chi si emoziona davanti ad un Michelangelo o un Caravaggio è in grado di distinguerli senza equivoci da un mediocre autore di qualche madonna o di qualche graziosa marina venduta sulle bancarelle, oppure anche lui ha bisogno di una qualche conoscenza che gli permetta di andare oltre la perfezione della tecnica e l’abilità riproduttiva e gli faccia capire che c’è la mano del genio?
E’ facile credere di ‘capire’ l’arte figurativa perché ci si può fermare alla superficie e trarne comunque un significato compiuto, quello narrativo, senza cercarne altri (un esempio potrebbe essere la pittura di Leonardo o di Goya, dove i significati profondi sono ben più importanti della figurazione), mentre l’arte astratta si scontra con una serie di comuni comportamenti consolidati che ci portano a chiederci, davanti ad un’opera, che ‘cosa’ rappresenta, a quale ‘oggetto’ somiglia del repertorio delle nostre informazioni mnemoniche o visive. Ma quest’arte non assomiglia a niente di conosciuto, è un’invenzione estemporanea e soggettiva dell’artista che conta sullo stabilirsi di un rapporto di empatia e che richiede da parte nostra una ricezione/interpretazione estemporanea e soggettiva, dopo di che …… panico!
D’altra parte, in una società globale dove la perdita di coesione dei legami etnici sta producendo non già integrazione, ma un magma indistinto nel quale i singoli gruppi perdono la loro identità senza generare nuove forme comunitarie, non può che prevalere l’individualismo, l’ultima spiaggia dove formulare un discorso libero e non generico, slegato da ogni tradizione culturale specifica.
Questo stato di cose dà i suoi frutti, sia nell’arte che nell’architettura, due discipline delle quali, oggi, sembra preclusa la fruizione ai non addetti ai lavori.
Credo però che come è cambiato il modo di fare arte, parallelamente debba cambiare il modo di fruirla, chiedendoci non più cosa rappresenta un dipinto, ma cosa proviamo osservandolo, che sensazioni suscita, in un percorso di autoeducazione che ci porti a capire linguaggi non verbali e non figurativi, un po’ come si deve fare per leggere Kafka piuttosto che Manzoni, o ascoltare Schoenberg piuttosto che Verdi.
Non dimenticare che Caravaggio, ai suoi tempi, non venne certo salutato come un genio assoluto e che bisogna arrivare fino al secolo scorso con Roberto Longhi per ‘riscoprirlo’ definitivamente: ciò può significare che i canoni per giudicare arte i suoi lavori in passato non c’erano e che dal secolo scorso ci sono. Caravaggio non è cambiato, ma i criteri di giudizio su di lui sì: forse possiamo ipotizzare che fra qualche tempo ci saranno anche per giudicare l’arte moderna, Pollock resterà Pollock, Warhol resterà Warhol, ma ci saranno altre generazioni che si esprimeranno su di loro, probabilmente diversamente da noi.
Ciao
Vilma
Inutile negare che in quello che dice Vilma ci sia del vero ma, come io e lei sappiamo, le nostre finalità sono completamente diverse per cui andare a scavare troppo fino al minimo dettaglio, come giustamente lei fa, a me interessa molto meno perchè il mio obbiettivo è la massa (si fa per dire), io lavoro sulla statistica, lei sull'analisi. E la statistica dice, credo che non ci siano dubbi, che le gite parrocchiali si fanno per andare a vedere San Pietro (e non solo perchè ci sta il Papa) piouttosto che la chiesa di Meier, che nessuno sa neanche a quale santo sia intitolata, visto che conta solo l'architetto.
Poi è chiaro che più alto è il livello di cultura e più il gusto si affina. Ma per affinarsi fino a godere dell'arte e dell'architettura moderna ce ne vuole assai di cultura. Io, ad esempio, che ho una cultura architettonica media non ho goduto affatto quando mi sono trovato davanti alla famosa casa di Rietveld, mito dei libri di storia dell'architettura moderna: una incongrua capo-testa di una schiera tradizionale, che dire dissonante non è nemmeno giusto perchè è proprio (tiro una bestemmia) misera nel suo essere il prototipo della casa del geometra moderno (come dice anche Langone del Meier dell'Ara Pacis la quale, infatti, nella sua testata ha vaghi ricordi di quella casina). Ora a voglia sapere che dietro quel progetto c'è Mondrian ecc. ecc., il mio istinto quello mi ha detto e all'istinto non si comanda.
Certo, l'avessi vista, la casa di Rietveld, insieme a mio figlio gli avrei spiegato come è nata e che di ogni cosa bisogna capire l'origine e la storia, che va inserita nel momento culturale in cui è stata progettata e le conseguenze che ha prodotto (non tutte buone, in verità) ma avrei dovuto forzare la mia natura e fare il padre palloso. E comunque gli avrei anche detto che era e resta, comunque, un offesa a ciò che esiste e da non predenre ad esempio se uno volesse fare l'architetto. Ma credo che di questo se ne sarebbe accorto anche da solo perchè non sono affatto l'unico ad aver avuto questa sensazione. Ma di questo "errore" nulla si dice nei libri di storia dell'architettura, ed uno si immagina un simbolo, un'icona, isolata nel verde come la Villa Savoye.
Sulla musica contemporanea consiglio una serie di testi sul Covile di cui questo è il link:
http://www.stefanoborselli.elios.net/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.3%20-%20Sulla%20musica%20cosiddetta%20contemporanea.pdf
saluti
Piero
Sul commento di Giulio Rupi.
Se ho ben capito, la deduzione contenuta nel commento di Giulio Rupi è estensibile a tutte le opere d’arte, non solo ai tagli di Fontana, e mi sembra in tal caso un ingegnoso escamotage che ogni falsario potrebbe invocare a propria discolpa.
Proviamo ad applicarla ad un quadro di Leonardo, tanto per fare un nome: la Monna Lisa avrebbe quindi un valore solo antiquariale, dal momento che è espressione di una grandissima ricerca (e quale ricerca!) ed è riproducibile (è il dipinto più riprodotto al mondo)?
A mio parere il punto debole e discutibile del ragionamento, peraltro intrigante ed originale, è l’affermazione del fatto che l’opera d’arte, per il solo essere riproducibile, venga scontatamente associata alla sua mancanza di valore artistico (si parla infatti di “…. grande valore antiquariale, non artistico”) e del fatto che sia lecito riprodurla, una volta realizzata per la prima volta, così come accade per il contenuto del primo manoscritto autentico di Pitagora.
Ma se la copia originaria ed autentica ha un valore solo antiquariale, se le copie successive frutto di riproduzione tecnica sono solo delle repliche che l’artista neppure conosce, l’arte, l’impronta del demiurgo, l’orma del genio creativo dove sono andate a finire? C’è di che fra impazzire il povero Benjamin!
In effetti, per quanto ‘cervellotici’, lavori come i tagli di Fontana piuttosto che i quadrati di Malevic o le tele bianche di Rauschenberg (e a suo tempo le tele di Caravaggio o di Raffaello), per quanto vicini a risultati di un pensiero filosofico, restano comunque opere d’arte assai diverse da un teorema matematico, seppure facilmente riproducibili ed anche falsificabili (diamo per acquisito in questa sede il concetto di arte, in specie moderna, altrimenti, come si dice, non andiamo a casa più) .
Personalmente resto convinta del potere insostituibile dell’aura, quell’alone indefinibile che rende percepibile al fruitore l'unicità irripetibile dell'atto creativo che ha reso possibile l’esistenza di quell’opera fermando quell’unico ‘hic et nunc’ che ancora ci affascina e ci commuove.
Per questo davanti alla Monna Lisa del Louvre si prova un’emozione che nessun libro di storia dell’arte, nessuna stampa, nessun dipinto abilmente contraffatto riuscirà a darci mai.
Vilma
il discorso è bello ed intrigante.
Ma vorrei provare a restare nel campo dell'architettura; che (forse a qualcuno dispiace) non posso considerare senza un occhio all'ingegneria; nel senso della tecnica costruttiva.
Il primo uomo che 5 o 6mila anni fa per primo costruì una architrave, ponendo un tronco o una pietra orizzontale su due "ritti" per costruire la prima porta, la prima finestra, il primo corridoio, compì un vero grande salto, un'opera geniale.
Chi, dopo di lui, ne "copiò" e replicò l'opera, non lo sminuì di certo; anzi, ne amplific valore e fama.
Così per il primo arco, la prima colonna, il sesto acuto, l'co rampante, la cupola, il ponte strallato. il ponte sospeso, le scale.....
Però, c'è qualcosa che non torna. Una tela bianca tagliata da me, o un "san Giorgio" di Virgilio Guidi fotocopiato, una"falsa" Marylin Monroe a falsi colori alla Warhol, oggettivamente sono davvero uguali all'originale, ma siamo propensi ad attribuire loro meno (molto meno) valore.
La cupola di san Pietro a Roma, che è meno bella di qualla del Brunelleschi, la consideriamo invece "opera d'arte" senza problemi; anche se magari ci piace considerarla un po' di serie B.
Il vero problema è proprio in quello che dice e ripete il nostro padrone di casa: l'architettura, e l'urbanistica hanno un peso e un impatto nella vita delgi uomini del tutto sproporzionato rispetto alle opere d'arte letterarie, pittoriche, scultoree.
Il mio prof del liceo diceva che, per far capire un quadro, bastava una foto; per una statua occorreva una serie di foto da varie angolazioni; per un palazzo un filmato; e per una città, bisognava leggere i diari dei suoi abitanti.
Se non c'è omonimia, enrico delfini è un medico: pensare che avevo mezzo pronto un post (un pò estivo in realtà) non proprio lusinghiero verso i medici. Resterà a mezzo.
Molto acuto il professore di liceo, però non basta nemmeno un filmato per un palazzo, perchè l'architettura è un'esperienza che impegna tutti i sensi. Anche Bruno Zevi sottolineava che l'esperienza spaziale non può essere trasmessa attraverso le immagini ma va vissuta direttamente e in movimento.
Proprio per questo, ma non solo per questo, l'assimilazione di pittura e scultura all'architettura è fuorviante. Certo, può aiutare a capire, possono esservi, e non c'è niente di strano, incroci tra tendenze, ma mai il metro di giudizio potrà essere lo stesso. L'abitare, non dico neanche l'architettura, è un'esperienza totale; e poi, un quadro si guarda da soli (in compagnia si fanno solo commenti idioti), negli edifici, nella città raramente siamo soli.
Come può essere la stessa cosa!
Saluti
Piero
Sullo stesso tema dal bel blog ALMANACCO ROMANO
questo post:
Idola / Novità
Non c'è omonimia; sono il Delfini che ogni tanto si affaccia sul Covile.
E' da lì che ho scoperto il tuo blog.
Nessun problema a parlare male dei miei colleghi !
Avevo pensato anche di scrivere qualcosa a proposito del "famigerato" consenso informato di cui ci si riempe la bocca quando si parla di medicina e di coinvolgimento attivo del paziente; e dei rapporti tra questo atto e l'eventuale coinvolgimento (referendum?) di una popolazione in scelte tecniche urbanistiche...
Così come in campo medico la soluzione teoricamente migliore è quella di nominare un "tutor" tecnico di fiducia, tipo un buon vecchio medico di famiglia; così ci vorrebbe l'architetto di fiducia cui devolvere certe scelte.
a Enrico.
La tua professone l'ho scoperta sul Covile, è ovvio. Il mio parlare male dei medici era solo un espediente retorico: volevo infatti dire, come ho già detto altre volte, che i medici, visto che seguono dei protocolli, hanno delle metodiche, applicano una disciplina, non hanno perciò bisogno di una straordinaria intelligenza nell'esercitare la professione. Questa io la vedo come una garanzia per il malato, perchè anche un medico poco intelligente può essere un buon medico. Viceversa gli architetti il più delle volte non seguono niente altro che la propria presunta "fantasia" e "creatività", non curandosi troppo delle regole, fanno disastri incalcolabili e, se fossero medici, avrebbero molti decessi. Ho già scritto uno dei primi post su questo argomento di cui ti allego il link:http://regola.blogspot.com/2008/04/una-sciocchezza-di-flwrigth.html
a Stefano.
Grazie del link. Conoscevo già quel blog ma, non avendolo indicizzato, non ci vado quasi mai. lo frequenterò più spesso.
Saluti
Piero
Certamente non ti sarà sfuggita l'intervista pubblicata oggi da Avvenire ad Andrew Todd, ospite a Sarzana del Festival della Mente: partendo dalla sua esperienza di teatrante e di architetto di teatri, dice cose interessanti sulle archistar.
(aneddoto sul solito prof di liceo: la sua teoria era che il cervello maschile e quello femminile fossero profondamente diversi. Noi adatti a lavori di sintesi e le donne alle analisi più raffinate. ne sarebbe prova che nei tre mestieri per definizione sintetici non esistono donne di valore. E i tre mestieri sono: chef; regista; architetto. A chi facevo notare i casi di Liliana Cavani e di Lina Wertmuller, rispondeva: Appunto !)
Ho letto l'articolo di Avvenire e ho trovato notevole la conclusione sul contrappunto che, appunto, è presente nelle nostre città storiche dove c'è grande omogeneità complessiva ma ogni casa si distingue dalle altre per qualche cosa.
Sull'architettura delle archistar con me sfonda una porta aperta.
Sulla teoria del tuo professore... io faccio un blog fazioso di architettura ma non sono così matto da dare inizio ad un blog fazioso sulle differenze tra maschi e femmine: mi limito pilatescamente ad osservare che esistono.
Saluti
Piero
Per Enrico D..
Per quel che può valere un parere femminile, concordo sul fatto che uomini e donne siano due specie assolutamente differenti con notevoli difficoltà di reciproca comprensione (sul che è molto d’accordo, specialmente in determinate circostanze, anche mio marito), casualmente compatibili, inspiegabilmente in grado di convivere ed occasionalmente di riprodursi.
La moderna neurobiologia sta sempre più affinando l’indagine su questa differenza-non-indifferente, senza la quale il mondo sarebbe una landa desolata.
E’ vero che ci sono pochissime donne chef, registe, architetto, né minatrici, mangiafuoco, gruiste (non so però se questi ultimi tre sono mestieri sintetici), neanche artiste, devo dire, ho fatto in merito una ricerca personale.
Le donne (ma non solo loro) sono in gran parte poco intelligenti o pigre o femministe e trovano comodo trincerarsi dietro reali o presunte discriminazioni (personalmente sono sempre stata molto lieta del pregiudizio discriminante che mi ha proibito di fare per esempio la camalla, e che non mi ha mai impedito, invece, di fare l’architetto), ma anche per gli uomini ce ne sono, non si affermeranno mai come velini, lapdancers o manicure.
Molti danni li ha fatti e continua a farne il movimento femminista, che non ha mai capito che la strada verso la 'liberazione' della donna passa attraverso la valorizzazione
delle differenze e non attraverso il loro appiattimento in una impossibile e non auspicabile uguaglianza.
La considerazione è amara e, confesso, almeno per ciò che vedo in giro, pessimista, una cosa però la devo dire: il tuo professore non ha mai visto “Lezioni di piano” (Jane Campion, 1993)
ps:link ad un numero monografico di Casabella (n.732, aprile 2005), dedicato all'architettura al femminile, veramente penoso:
saluti
Vilma http://www.tempiespazi.toscana.it/segnala/?action=item&id=20050614100728730&template=tempisegbio&folderid=140
Grazie Vilma per il tono e per i contenuti dela tua risposta.
Ovviamente ha ragione e ha ragione P.P. a non volere spingere il blog troppo off topic.
Mi limito ad una nota biografica del professor M. Credo fosse nato nei primi anni del secolo, da famiglia romagnola di scarsi mezzi.
Autodidatta, si laureò in lettere lavorando come camionista. Aveva una cnoscenza dell'Italia e delle sue bellezze naturali e artistiche sconfinata; e "vista dalla strada", letteralmente (e in un'epoca pre-autostradale).
Faceva lezione senza giacca, ma con panciotto e cappello.
E si rivgeva alla classe dando del "loro".
Era un genio.
Oltre alla sua teoria sulle donne, aveva altre convinzioni un po' "forti". Ad esempio, che nulla era stato scritto di interessante dopo il primo secolo d.C. (con l'eccezione di Shakespeare, Dante e Boccaccio).
Aldilà del fatto se i contenuti siano giusti o sbagliati, di una cosa sento spesso la mancanza: di opinioni forti e chiare ed espresse senza molta attenzione alla correttezza politica.
Ad esempio, Vilma riesce ad essere fuori dal coro con assoluta naturalezza.
In questo, a parte la mente analitica o sintetica, mi sembra che le donne si pongano minori paure di essere giudicate: vedi il ministro Gelmini che, con assoluta convinzione ha tirato fuori i grembiulini a scuola, il voto in condotta, il ritorno dei voti, il maestro unico, l'educazione civica. Io condivido personalmente tutto e penso che una proposta del genere, fatta da un ministro maschio, sarebbe stata annacquata da espressioni del tipo: non sono proposte risolutive, sono solo un primo passo, ben altri sono i problemi da risolvere, con la prossima finanziaria....ecc.
Lei niente, l'ha fatto e basta.
Brava, brava, brava. Sarà solo l'inizio, ma è un buon inizio.
Vorrà dire che continueremo ad avere pittori maschi e ministri femmine.
Sono andato anch'io fuori tema ma l'argomento scuola mi coinvolge quanto l'architettura, causa figlia alle medie, dove si tengono i corsi all'affettività, e altro.
Saluti
Pietro
“ rivolgersi solo al passato non ha futuro” di Charl Wouhyns
e più correttamente, come diceva un grande del passato recente,
…. pensare al passato per riflettere sul presente e immaginare il futuro …
Questo mi sembra la possibile premessa per coniugare antichismo con modernismo .
Il resto è sterile querelle …. tra chi non sa comprendere la positività della società attuale
e chi non comprende i milioni di trasformazioni che ci hanno preceduto.
Premessa speciale per dire che la città attuale non si misura nella bellezza delle architetture o nella armonia delle sue facciate e che il Bello non è patrimonio di un periodo o di una società.
La città ed il territorio sono strutturati in diversi livelli di Qualità che si misurano solo nella dimensione e complessità dei Servizi che vengono offerti in quel “luogo” ed in quel "momento".
Purtroppo c’è ancora chi pensa che le città sono quelle delle Accademie dell’antica Grecia e dei Fori dell’antica Roma o forse quelle racchiuse dentro le mura e torri medievali.
Secondo alcuni quelli erano i luoghi dove si è realizzato il modello dell’urbanistica perfetta , dove si è costruita la città ideale dei palazzi, delle tipologie abitative e della organizzazione della civitas .
Peccato che tutto ciò corrispondeva anche a città in preda al degrado e al caos diffuso .
Erano quelle le città dove la comunità era sempre in stato di conflitto sociale ed in stato di miseria; dove spesso il bello era espressione del potere dominante e della ingiustizia sociale.
O forse la civiltà si è fermata nel romanticismo ottocentesco? Purtroppo non sono riuscito a capire quale è il modello di sviluppo a cui fare riferimento se non quello preso a “a prezzemolo” ……. secondo quanto basta!!!!
Peccato che questi “antichisti” siano nati nel secolo attuale: a loro auguro di Rinascere nell’epoca in cui non c’erano le macchine maledette, i grattacieli brutti, le autostrade impattanti e i centri commerciali falsi . Potranno allora godersi quel paesaggio di pastori e di caprette, dei borghi a misura d’uomo, senza pali dell’Enel e senza tutta questa cementificazione .
AUGURI …!!!
Io preferisco ancora restare qui con tutte le contraddizioni ed i conflitti della città attuale cercando di immaginarmi soluzioni possibili per stare meglio ORA, non IERI .
.ps. ho visto il video dell’intervento di Libenskind
e devo dire che anche il brutto non ha età…!!!!!.
In generale quando le modificazioni o i progetti sono senza alcuna giustificazione
il risultato è di fantasia e non è condiviso per questo è un contrasto……
mi fa pensare alla pittura cubista ….è solo un fatto cerebrale e non condiviso come tutta la pittura da esso derivata.
il passante
Come diceva Joseph Sternbau, in contradditorio con Charl Wouhyns "rivolgersi al presente senza passato non ha futuro". Chi è questo Sternbau? Diciamo che viene dallo stesso immaginario da cui proviene Charl Wouhyns. Anch'io ho voluto fornire la mia dotta citazione all'amico "passante" che ho il sospetto passi spesso vicino al mio studio.
Ma per venire al merito mi soffermerò solo su un punto: se siamo d'accordo su Libeskind possiamo anche andare d'accordo e tentare di fare un concorso insieme.
Saluti
Pietro
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